Follia è la guerra che è ritornata sovrana nella nostra vita quotidiana, nei nostri incubi notturni e nel nostro immaginario, un grande Altro che ci tormenta e ci sovrasta. Follia è la disattenzione colpevole e la noncuranza verso il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature che stanno cambiando l’ambiente vitale della Biosfera nel quale contiamo di rimanere a lungo ma non rimarremo. Folle è la crescente diffusione della povertà, delle disuguaglianze sociali, della precarietà, di nuove forme di schiavitù e dell’assenza di lavoro. Folle è il diffondersi di forme autoritarie, tecnofasciste ed etnocratiche di governo e di populismi vari, che crescono e si alimentano sulle paure indotte dalle migrazioni in atto, sulla pulizia etnica ed etica, sulle promesse securitarie e sulla passività di moltitudini di persone che hanno disimparato ad agire da cittadini. Follia è l’immersione quotidiana in un surplus informativo che sta alienando gli umani, sempre più assimilabili a macchine e ad automi, dalla conoscenza. Follia è pensare di dominare la tecnica, considerandola un semplice strumento, quando è la tecnica, la sua vera essenza, a dominare noi imponendoci le sue norme di impiego e di senso.
La nave dei folli su cui sembriamo tutti imbarcati è una nave diventata digitale, con il timone e la bussola bloccati, destinazioni certe, finalità chiare: profittoe fruttamento (Lelio Demichelis)
Questa follia dilagante si presta a diverse interpretazioni, attraverso l’uso di metafore. Per descrivere la nostra era tecnologica e digitale, l’Era delle macchine e dell’automatizzazione, dei metaversi e delle intelligenze artificiali la metafora della Nave di Folli è forse quella più adeguata, forse prevedibile e quindi facile da abusare.
Riferita all’opera Narrenschiff di Sebastian Brant (1494) e ai dipinti di Hieronymus Bosh, la nave dei folli è una allegoria medievale che si può applicare anche all’era digitale.
Una allegoria utile a descrivere una società alla deriva, governata dalla “follia” algoritmica (pensate ai droni che inseguono una persona fino a quando riescono a ucciderla), nella quale i “folli” si ritrovano a navigare (surfare, postare, interagire, “promptare”) senza meta, abbandonati al loro destino, nella convinzione di essere sani perché “ancora vivi” (qui il riferimento è a Philip Dick e ai suoi molteplici racconti nei quali si interroga sull’esistenza della realtà della realtà).
La nave dei folli digitale
La nave digitale che, per la sua velocità “circumnavigazionale” dello spazio mondo, sembra procedere a propulsione nucleare, ha al suo timone algoritmi, Big Data, Cloud, intelligenze artificiali, ma soprattutto tecnocrati, tecnocapitalisti High Tech, che hanno costruito e varato la nave riempiendola di marchingegni, automatismi e meccanismi che non possono essere governati dai passeggeri della nave. A essi è permesso, come su una nave da crociera, continuare a consumare (contenuti e non solo), a interagire con i loro dispositivi tecnologici personali, a esistere e a (soprav)vivere dentro flussi continui di informazioni apparentemente senza fine.
“Questo chiamo lo specchio dei folli, / in cui ogni fesso si riconosca; / Chi si specchia con onestà, impara bene / che non dovrebbe tenersi per saggio …” (Das Narrenschiff di Sebastian Brant - 1494)
Rispetto alla nave dei folli medievale sulla quale erano i pazzi a comandare, la nave dei folli digitale è organizzata in modo da far credere ai passeggeri di essere al timone, anche se non lo sono.
La nave digitale è in realtà una nave alla deriva, su mari desertificati dalla crisi climatica. Una nave senza vele e timoni, ingegnerizzata da far paura, con automatismi altamente razionalizzati e tecnologie all’avanguardia, incurante delle moltitudini dei suoi passeggeri. Una che naviga senza vele (non ne ha bisogno) con la bussola sempre orientata al profitto, allo sfruttamento delle risorse, di esseri umani e dell’intera biosfera nella quale è inserita come oggetto tecnologico.
Ai passeggeri di questa immensa nave non è data altra possibilità che di lasciarsi trasportare, incuranti e inconsapevoli come sono della destinazione verso cui la nave li sta trasportando.
«La follia, scriveva Nietzsche, è rara negli individui ma regolare nelle società e nei tempi — la normalità del conformismo diventa dunque la falsa libertà …» (Franco Bagaglia)
Se sulla nave di Brant la follia era riferita all’avarizia, alla vanità, all’eccesso, sulla nave digitale follia è la passività e la dipendenza dal dispositivo tecnologico, è l’individualismo e il narcisismo alimentato dall’ossessione dei MiPiace, è l’illusione malata di essere protagonisti mentre si è semplici entità subalterne, è la bulimia informativa che esclude ogni forma di pensiero critico utile alla conoscenza e alla (tecno)consapevolezza.
Nella metafora originale a essere esiliati erano i vagabondi, i malati, i poveri, i migranti, tutti coloro che davano fastidio ei benpensanti e che erano come tali considerati diversi, “strani”, folli. Oggi a essere emarginato è il pensiero critico, mentre la follia più diffusa è quella delle camere dell’eco, conformista, omologata, diventata forse per questo mainstream.
Chi oggi abita i molteplici metaversi digitali non sa di essersi imbarcato su una nave (digitale) che ha costruito per lui una realtà parallela nella quale rifugiarsi impedendogli di affrontare i problemi del (suo) mondo reale. Si sta sulla nave, come una specie di Arca di Noè, per un viaggio collettivo verso mondi virtuali mentre l’intera biosfera soffre e il mondo brucia. Sulla nave si viaggia inseguendo la promessa di una libertà infinita senza avere consapevolezza delle forme di controllo a cui ci si è assegnati salendo a bordo. Pura illusione è anche una vita comunitaria, resa complicata se non impossibile dall’organizzazione proprietaria e gerarchica che caratterizza la nave.
La stultuferanavis
A questa nave digitale si oppone oggi la STULTIFERANAVIS, un’altra nave dei folli, che al testo di Narrenshif di Brant e alle opere di Bosh si ispira, ma aspira a una diversa navigazione, in contrapposizione a quella levigata, insonorizzata e senza marosi della portaerei, perché così ormai possiamo pensarla, digitale che ha imbarcato tutto, oggetti e soggetti, mercificando, consumerizzando e artificializzando gli uni e gli altri.
«La nave può essere vista come una follia, un sogno, una assurdità, una proposta senza soluzioni, ma anche come una espressione di saggezza, critica, etica ed estetica, dalla postura artistica, poetica e filosofica.» (Carlo Mazzucchelli)
La STULTIFERANAVIS alla follia dilagante contrappone il senno della ragione, nella consapevolezza che oggi, in un mondo in cui domina l’ignoranza, la follia è essere saggi. Il varo è avvenuto nel porto di Buona Esperanza, perché è alla speranza che il progetto si richiama, definibile come un “turbamento della mente e del cuore, un tonico quotidiano capace di moltiplicare le energie umane” (Giuseppe Goisis).
La nave, che sa di avventurarsi in mari tumultuosi, non vede alcuna presenza di algoritmi timonieri, o tecnocrati alla guida, non esiste nemmeno una destinazione predefinita o stocasticamente profetizzabile. Ci saranno itinerari e destinazioni diversi, che emergeranno di volta in volta come scelta dall’incontro di persone con culture diverse, dalla condivisione di approcci, saperi e percorsi transdisciplinari, dalla sete di conoscenza e di verità, dalle visioni, dalle aspettative e dalle interrelazioni di tutti coloro che si imbarcheranno e di tutti loro con i territori (contesti) da essi visitati.
«Per affrontare i tempi malati e ignoranti che stiamo vivendo non rimane che agire da folli, la follia oggi è essere saggi, affidarsi al lume del pensiero umano, della parola e della poesia.» (Carlo Mazzucchelli)
Chi sale sulla nave è probabilmente un folle perché sa di lasciare il certo per l’incerto, il determinato per l’incerto e l’indefinito, ma è un “folle” con una visione del mondo, diversa da quelle omologate dominanti, che vuole condividere con altre persone, in relazione tra loro, tutte alla ricerca di senso e di libertà, dentro categorie interpretative e di costruzione della realtà, che facciano emergere l’insensatezza esistenziale del nostro essere gettati nel mondo in preda al caos, globalizzato, tecnologico e complesso attuale, e diano corpo e anima a un diverso un diverso senso comune, umano e umanistico.
Mentre la nave digitale è fatta per individui sempre più cyborg, esseri umani protesizzati e potenziati, calcolabili e prevedibili, prometeici, senza più pulsioni spirituali, mistiche o trascendentali, la STULTIFERANAVIS è abitata da persone disincantate, capaci di coltivare il pensiero critico e profondo, il dialogo socratico, l’arte di porre e porsi delle domande sulle questioni fondamentali. A bordo si possono trovare persone solid(e)ali, collaborative, empatiche, umane, compassionevoli, non semplici ologrammi, avatar o profili digitali. Persone mai sottomesse (subalterne) a pratiche, logiche e comportamenti prevalentemente utilitaristici, ludici, produttivisti, algoretici e computazionali.
«Bisogna essere dei folli o dei saggi ad andar per mare in tempi tempestosi.»(Carlo Mazzucchelli)
I folli che salgono a bordo della nave sanno che la navigazione potrebbe portare all’incontro con uragani, tempeste, burrasche, maremoti, cicloni e onde capaci di affondare qualsiasi vascello in navigazione, eppure ugualmente si imbarcano. Nel farlo dimostrano il coraggio di partire veramente, per non rimanere in surplace come capita oggi a molti che, rimanendo ancorati ai loro spazi virtuali, pur aumentando la velocità con cui si muovono, finiscono come Alice per non andare da nessuna parte?
Folli si possono considerare anche i costruttori del progetto.
In tempi come quelli attuali, influenzati da un diffuso narcisismo, individualismo, cinismo e nichilismo immergersi in un nuovo progetto culturale non può che essere una follia. È la follia del saggio che sceglie di alimentare la speranza costruendo e dando forma a nuovi (futuri) possibili. L’intenzione è quella di dare un senso (etico prima ancora che estetico) alla vita, alla propria e a quella degli altri, in un periodo nel quale il senso non si sa più cosa sia. Il coraggio è più facile da esercitare se il viaggio lo si fa insieme ad altri, persone in carne e ossa, non semplici profili smaterializzati o avatar digitali. Persone, cittadini di un mondo reale, stanche della (sudditanza) finta cittadinanza online, con le quali non ci si relazioni in modo astratto ma, coltivando l’incontro, ci si confronti, si dialoghi e ci si metta in sintonia, per far lavorare la mente e scaldare l’anima, per andare al cuore delle cose, per dare un senso alle parole e al linguaggio usato nel conversare, per chiamare fatti, entità e situazioni con i loro nomi, per condividere valori, visioni del mondo e progetti futuri.
Una volta preso il largo e allontanatisi dalla terraferma si può guardare il naufragio algoritmico degli spazi "terrestri" virtualizzati dal mare, dimenticare isterie varie, malattie psichiche diffuse, nevrosi e paranoie collettive, di cui oggi in molti soffriamo e semplicemente mettersi in coperta esponendosi al sole e alla brezza delle onde.