Dopo debacle di tale portata, l’attenzione pubblica, in preda allo shock emozionale, si concentra spesso sulle responsabilità politiche, talvolta sfociando in letture ideologiche ai limiti del complottismo. Ciò che conta qui è invece esaminare il processo di intelligence: verificare se sia sottoposto a un autentico vaglio critico o se, al contrario, si sia ridotto a un’ideologia scientista incapace di cogliere la complessità del reale.
La necessità di una critica epistemologica al processo di intelligence emerge quindi come condizione imprescindibile per costruire uno strumento metodologico in grado di produrre analisi affidabili, oggettive e sistematiche. Solo attraverso il metodo critico è possibile elaborare conoscenza utile al decisore, riducendo l’incertezza e permettendo risposte efficaci in contesti ad alto rischio e in rapido mutamento.
ABSTRACT
Il presente saggio affronta il rapporto tra intelligence e metodo, proponendo una prospettiva critica a fronte dei recenti fallimenti. L’analisi si articola attraverso più livelli di approfondimento, corrispondenti alle sezioni numerate del lavoro, con l’obiettivo di mostrare come una critica epistemologica sia non solo utile, ma necessaria per comprendere e operare efficacemente in contesti internazionali complessi.
- Che cosa si intende per intelligence: il saggio definisce intelligence come insieme di attività e prodotti finali, destinati a ridurre l’incertezza per il decisore. Viene illustrato il ciclo di raccolta, elaborazione e disseminazione delle informazioni, evidenziando l’importanza della centralizzazione, dell’oggettività, della protezione delle fonti e della tempestività del prodotto. Particolare attenzione è riservata all’OSINT (Open Source Intelligence), la cui crescente rilevanza è motivata dall’incremento esponenziale delle informazioni disponibili e dalla necessità di selezionarle e valutarle criticamente.
- Il processo di intelligence: si descrive il ciclo di intelligence come processo metodico che trasforma dati grezzi in informazioni affidabili, capaci di guidare decisioni operative. Lo scritto sottolinea l’importanza di una valutazione critica dei dati da parte dell’analista, tanto in termini di credibilità delle fonti che di fondatezza delle notizie, evidenziando come errori metodologici possano portare a gravi ripercussioni.
- Intelligence e metodo critico: viene esplorato il rapporto tra metodo scientifico e attività di intelligence, contestualizzandolo nella tradizione epistemologica del pensiero scientifico e filosofico moderno. La rivoluzione scientifica, con figure come Bacone, Cartesio e Galileo, ha introdotto l’uso sistematico dell’osservazione, della matematizzazione e della deduzione come strumenti per costruire conoscenza affidabile. Il saggio mette in luce come il metodo scientifico possa cadere nello scientismo se applicato senza consapevolezza critica, e come le discipline umanistiche, e in particolare l’ermeneutica, possano contribuire a una più lucida comprensione della realtà complessa.
- Dal metodo critico alla critica al metodo: viene discussa la possibilità di applicare il metodo critico allo stesso metodo scientifico, introducendo le riflessioni di Paul Feyerabend sull’anarchismo teorico e sui limiti delle regole metodologiche fisse. Si evidenzia come l’adozione di approcci controinduttivi e la considerazione di principi alternativi possano rafforzare il processo di intelligence, evitando riduzionismi e rigidità concettuali.
- Per una critica epistemologica al processo di intelligence: la sezione finale propone una riflessione sulla complessità dei sistemi contemporanei, sottolineando che la realtà non può essere ridotta a elementi statici o isolati. Il saggio richiama studi di Prigogine e Heisenberg per dimostrare che l’approccio riduzionista del metodo scientifico tradizionale è insufficiente per analizzare fenomeni emergenti e interconnessi. L’adozione di un metodo critico, integrato con strumenti ermeneutici e capacità di aggiornamento continuo, consente di elaborare un’analisi più aderente alla complessità effettiva, riducendo gli errori e aumentando l’efficacia delle decisioni.
In sintesi, il lavoro mostra come il rafforzamento della componente critica nel processo di intelligence, unito a un approccio metodologico flessibile e interdisciplinare, rappresenti la chiave per migliorare l’affidabilità e l’efficacia dell’analisi informativa, evitando i limiti derivanti dall’applicazione dogmatica del metodo scientifico e affrontando la complessità dei nuovi scenari internazionali.
Che cosa si intende per intelligence
Il concetto di intelligence, ormai diffuso anche nella lingua italiana, indica l’insieme delle attività volte a raccogliere, interpretare e diffondere informazioni in modo che possano essere utilizzate concretamente per obiettivi specifici. Non è un caso che la sua matrice latina inter-legere rimandi al cogito, al pensiero. In altre parole intelligence significa pensare, comprendere: interpretare le informazioni a disposizione e farlo attraverso un'analisi sintetica che abbia come risultato un prodotto affidabile, in altre parole conoscere[1]. Intelligence è analizzare, spiegare, tradurre: l'analista è il primo attore dell'intelligence. Ma intelligence non è solamente l'attività di raccolta ed elaborazione delle notizie ma anche e soprattutto il prodotto finale di questo lavoro e le strutture e le persone che lo svolgono.
Secondo il Glossario dell'intelligence si tratta del
prodotto dell’elaborazione di una o più notizie di interesse per la sicurezza nazionale. In questa accezione, corrisponde al termine informazione, come utilizzato dal Legislatore italiano nella legge istitutiva del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.
Il vocabolo, largamente impiegato anche in ambito nazionale, ha valenza generica; viene quindi spesso accompagnato da aggettivi intesi a specificarne finalità (strategica, tattica, operativa ecc.), natura (situazionale o previsionale), fonte di provenienza o materia cui si riferisce (economico-finanziaria, militare ecc.).
Si intende poi anche l'insieme delle funzioni, delle attività e degli organismi coinvolti nel processo di pianificazione, ricerca, elaborazione e disseminazione di informazioni di interesse per la sicurezza nazionale.[2]
L'intelligence può quindi essere di tipo strategico, quando l'obbiettivo dell'analisi interessa uno spettro amplio di fenomeni, per lo più a livello internazionale. Parliamo invece di intelligence tattica se l'analisi mira a condurre una attività in un campo ristretto, locale o settoriale[3]. Allo stesso modo può essere finalizzata alla comprensione di una situazione complessa e composta da più variabili, oppure proporsi lo scopo di immaginare uno scenario futuro e prevederne lo sviluppo a partire dai dati di partenza e dagli storici in archivio. Il tutto ha varie applicazioni: dalla politica alla finanza, dallo scenario militare a quello economico, dall'ambito locale a quello internazionale e globale.
La raccolta e l'elaborazione delle informazioni, di qualunque tipo si tratti, è comunque finalizzata al rafforzamento dei processi decisionali dei vertici politici, amministrativi, militari ed economici con lo scopo di individuare le soluzioni operative più rapide ed efficaci. Lo scopo di tutto questo è quindi fornire un supporto alla decisione: dare al decisore finale, colui che si assume la responsabilità della scelta o è incaricato a farlo, sia esso un politico o il presidente di un consiglio di amministrazione, strumenti chiari e sintetici per operare in un tempo breve e in maniera efficace. In altre parole, lo scopo dell'intelligence è la riduzione del grado di incertezza in relazione a un problema reale o potenziale: colmare un gap conoscitivo, fare chiarezza, così da costituire il terreno fertile per la decisione ottimale.
L’efficacia del lavoro di intelligence dipende in larga misura dalla fase iniziale: porre il giusto interrogativo è il presupposto per ottenere un prodotto finale realmente utile all’elaborazione delle decisioni. Imparare a formulare la domanda corretta così da acquisire l'adeguata informazione e elaborarla.
I principi guida dell'intelligence sono pertanto: il controllo centralizzato, la rispondenza all'input, l'oggettività dell'output, lo sfruttamento sistematico e protezione delle fonti, l'accessibilità e la tempestività del prodotto e la possibilità di una costante e continua revisione del risultato.
Vediamo ora nel dettaglio i singoli aspetti. Si presuppone un controllo centralizzato del lavoro, così da evitare una duplicazione delle mansioni e uno spreco di risorse, in altre parole è necessaria una gestione economica degli sforzi in atto. È poi importante che le risposte ottenute dal lavoro di intelligence siano consone alle richieste dal decisore finale, l'analista deve centrare il target che gli è stato precedentemente indicato dall'input. Tanto l'informazione di partenza, quanto il risultato finale, devono essere privi di qualsiasi pregiudizio e purificati dai preconcetti che inevitabilmente viziano i processi valutativi: l'analista deve limitare il giudizio soggettivo e puntare alla massima oggettività possibile. Le fonti, indipendentemente dalla loro tipologia, devono essere sfruttate al massimo delle loro possibilità: si consiglia pertanto una conoscenza profonda delle loro capacità e limitazioni, così da operare un'assegnazione metodica dei compiti di ricerca. Allo stesso tempo tutte le fonti devono essere adeguatamente protette in base al loro valore a alla loro potenzialità, così da impedire che vengano contaminate. Il prodotto finale deve garantire un'alta accessibilità grazie a una chiarezza espositiva e sistematica: non dimenticando che il decisore non ha disposizione i mezzi e i tempi dell'analista, ne tanto meno possiede un linguaggio specifico e una conoscenza approfondita dell'argomento. È fondamentale la tempestività: un'ottima analisi risulta del tutto inutile se arriva troppo tardi al decisore: un analista capace sa bilanciare tempo di ricerca e completezza dell'analisi. Non bisogna infine dimenticare che un prodotto di analisi non è mai qualcosa di chiuso e definitivo perché si riferisce a un orizzonte in continuo mutamento. Occorre quindi costruire uno studio che sia costantemente aggiornabile e possibile di revisione in base alle informazioni che continuano a essere prodotte ed elaborate.
Analizziamo quali sono gli ingredienti chiave che permettono all'intelligence di svolgere il proprio lavoro. Il dato – in gergo specifico data – è l'elemento di partenza, una pietra grezza che da sola non ha nessun valore o contiene un potenziale che non è immediatamente riconoscibile o classificabile. Il lavoro dell'analista consente di indirizzare la ricerca e trasformare il dato grezzo in qualcosa di comprensibile e utilizzabile ai fini della ricerca: è quella che viene definita valorizzazione. Al termine di questo processo il dato diventa notizia – information – si tratta di un elemento informativo generico che non è ancora stato elaborato e valutato. Le notizie, che sono alla base di ogni produzione informativa coprono gli argomenti più vari e provengono da fonti differenti ma sono circoscritte a un momento spazio-temporale ben definito. Una volta elaborata dall'analista la notizia diventa informazione – intelligence. Il valore di quest'ultima è il risultato della valutazione dell'analista che giudica la fondatezza della fonte e la verosimiglianza della notizia, inserendo il tutto in ambito di sistema e mettendolo in rapporto con l'input che ha dato il via alla ricerca.
Come abbiamo visto, il punto di partenza e il punto di arrivo dell'intelligence è l'informazione, questa viene prima estrapolata dal flusso quotidiano che attraversa la società, elaborata dall'analista, fino a giungere a un prodotto finale che non è altro che un informazione più precisa e mirata a certo obbiettivo di indagine. Nel corso del tempo l’informazione ha sempre avuto un peso determinate in quanto consiste nello scambio di dati che sta alla base della vita sociale, a maggior ragione oggi in quella che non a caso è stata definita “società dell’informazione” Da una parte infatti il libero scambio di informazioni è la condizione senza la quale non è possibile parlare di società libera, dall'altra il controllo dell'informazione è un fondamentale strumento di potere. Nell’ambito degli studi sull’intelligence, le informazioni vengono solitamente suddivise in due grandi categorie: quelle accessibili al pubblico (open source), che comprendono sia notizie di dominio comune che dati più difficili da reperire, e quelle riservate, soggette a vincoli di legge e destinate a restare confidenziali. Vi è inoltre quella che viene definita area grigia: in questo caso siamo di fronte a una serie di informazioni non secretate ma che per essere raggiunte hanno bisogno di uno sforzo economico o l'appartenenza a gruppi precisi che non divulgano al loro esterno il patrimonio informativo.
Per quanto riguarda le fonti l'intelligence si classifica in: Umint, ovvero il risultato diretto ottenuto dai rapporti e dalle operazioni di agenti sul campo; Sigint se i dati provengono dallo spettro magnetico; Techint per le informazioni raccolte con mezzi tecnologici; Masint per i dati ottenuti da misurazioni del campo acustico e delle radiazioni; Medint per quanto riguarda l'ambito medico, biologico, scientifico e ambientale, OSINT ovvero l'analisi delle fonti aperte.[4]
Quest'ultima è quella che rappresenta l'ambito più interessante per il nostro studio, soprattutto perché la società contemporanea è, più di ogni altra nella storia, caratterizzata da un continuo e invasivo scambio di informazioni e dove il problema non è tanto raggiungere i dati, che per lo più sono disponibili, quanto selezionarli e interpretarli. Per questo motivo ci dedicheremo con maggiore attenzione allo studio dell'OSINT.
Con l’acronimo OSINT (Open Source Intelligence) si fa riferimento all’insieme delle attività di raccolta e analisi di dati provenienti da fonti liberamente accessibili, in contrapposizione ai modelli di intelligence basati su informazioni riservate o coperte. Secondo il glossario dell'intelligence si intende: la ricerca e l’elaborazione di notizie di interesse per la sicurezza nazionale tratte da fonti aperte. L’eccezionale crescita delle notizie pubblicamente disponibili registrata negli ultimi anni ha conferito all’OSINT una significativa rilevanza anche nell’ambito delle attività di informazione per la sicurezza ai fini dell’analisi integrata di fenomeni e situazioni di interesse (vedi ALL-SOURCE INTELLIGENCE), consentendo altresì di focalizzare le altre discipline intelligence sulle fonti “coperte”. L’attività OSINT viene strutturata in fasi che ricalcano il ciclo intelligence: la peculiarità delle fonti impiegate e la vastità del loro no- vero richiedono, peraltro, peculiare attenzione tanto nel- l’individuazione preventiva e nella selezione delle fonti rilevanti, quanto nella determinazione del loro grado di attendibilità.[5]
In realtà l'OSINT è un termine tecnico che designa un attività vecchia come la società umana, solamente che, come abbiamo visto, viste le caratteristiche dell'attuale modello postindustriale oggi assume un peso differente rispetto al passato. Caratteristica dell'OSINT è la capacità di lavorare su una grande mole di dati, per lo più derivanti dal mondo del web, che sono si disponibili a tutti – o quasi - ma che spesso sono disomogenei e contraddittori. In questo senso assume un’importanza fondamentale il metadato, una sorta di targa che indica quando il dato è stato prodotto e la sua origine, così da farci arrivare alla fonte e valutarne l'attendibilità.
È possibile suddividere l'OSINT in una serie di sottocategorie a seconda dei tipi di informazioni che si ricavano dalle fonti aperte: Open Source Data (OSD) , dati grezzi, non ancora valutati o analizzati e provenienti direttamente da fonti primarie quali registrazioni, fotografie, immagini satellitari ecc.); Open Source of Information (OSIF), informazioni generiche derivate dalla disseminazione e dalla convalida mediante il raffronto di differenti fonti aperte; Open Source of Intelligence (OSINT), dati e notizie tratti da rapporti e relazioni di comitati accademici, think tank, relazioni tecniche, documenti anche non ufficiali predisposti da organi governativi o da enti di ricerca specializzati; Open Source of Intelligence Validated (OSINT – V), informazioni sottoposte al ciclo intelligence e convalidate dal lavoro dell’analista.
Come abbiamo anticipato, la maggior parte dei dati OSINT provengono dal web ma è necessario specificare che per web non si intende solamente quello che utilizziamo tutti i giorni dal nostro pc per leggere le notizie e scrivere e-mail. Questo è il cosidetto surface web: la zona accessibile dai motori di ricerca e che contiene intorno ai 2 miliardi di pagine indicizzate. Oltre a questo esiste quello che viene definito il deep web: la zona del rete che non è raggiungibile dai motori di ricerca regolari e contiene informazioni situate all'interno di basi dati private, contenuti dinamici, articoli accademici, dizionari e people finders. Si ritiene che il suo contenuto ecceda di 500 volte quello del surface web.
Una volta avuto accesso a un numero così grande di dati occorre elaborarli, e questo necessità una procedura precisa e rigorosa che garantisca un dato finale affidabile e accessibile. Per garantire questo standard e farlo tempestivamente si ricorre a un metodo di analisi specifico, è quello che si definisce il processo o ciclo di intelligence.
Il processo di intelligence
Con il termine “ciclo di intelligence” si indica l’insieme delle attività che permettono di identificare i bisogni informativi e raccogliere dati pertinenti da diverse fonti. In seguito avviene la trasformazione in informazioni, queste ultime vengono analizzate e interpretate dall'analista e diventano intelligence, conoscenza, così da poter essere a disposizione del decisore. Il ciclo di intelligence può essere visto come un processo continuo che trasforma le richieste informative iniziali in decisioni operative attraverso una sequenza coordinata di fasi.[6] Come tutti i processi si tratta di una serie di operazioni concatenate tra loro e che necessita precisione e chiarezza in ogni singolo passaggio, occorre quindi un metodo che ne certifichi il risultato.
Il ciclo si apre con la definizione delle informazioni necessarie da parte del decisore, fase nota come fabbisogno informativo, che viene poi suddiviso in obiettivi specifici. Questo primo passo è fondamentale per pianificare la ricerca n e per concentrarla in un ambito specifico, limitando il rischio di essere dispersivi.
Lo stadio successivo consiste nella pianificazione informativa ovvero nell'individuazione delle attività e delle risorse necessarie a una adeguata risposta all'input del decisore. Si tratta qui di scegliere le risorse umane e finanziare da destinare alla ricerca.
La terza fase è quella della ricerca vera e propria: attraverso le varie metodologie e le diverse fonti vengono setacciati i serbatoi di informazione così da operare una vera e propria raccolta di dati.
Successivamente, nell’ultima fase, quella dell'elaborazione, l'elemento base rappresentato dalla notizia viene confermato ed elaborato fino a dare vita al prodotto finale: l'informazione.
Chi riceve il prodotto di intelligence valuta se le informazioni rispondono efficacemente al fabbisogno iniziale, più che giudicare gli aspetti tecnici del lavoro dell’analista. In altri termini, ci si chiede se le risposte fornite dall'analista sono consoni alle domande, se rispondono a criteri di completezza e veridicità, se sono oggettive ed esenti da preconcetti o vizi ideologici. Infine, non meno importante, se sono state rispettate le tempistiche di consegna necessarie per operare una decisone efficace. Questa valutazione permette al decisore di dare un giudizio sul valore dell'operato dell'analista, indicare possibili lacune informative e, con l'intento di colmarle, riavviare il processo che proprio per la sua capacità di rinnovarsi e riattivarsi viene definito ciclo.
Al di là questo fondamentale passaggio non possiamo non sottolineare come il vero cuore del ciclo di intelligence sia processo informativo, ovvero la pianificazione, la ricerca e l'elaborazione dei dati. In particolare quest’ultima, per la sua importanza e complessità, rappresenta il focus su cui occorre prestare maggiore attenzione.
Di questo momento fanno parte tutte quelle operazioni che hanno il fine di trasformare il dato originario, di qualsiasi tipo si tratti - un'immagine, una registrazione o una serie di dati informatici - in una notizia scritta e intellegibile in maniera chiara ed esaustiva. Si tratta di un passaggio fondamentale in quanto il decisore non sempre dispone delle capacità tecniche che permettano la lettura di una informazione espressa in un media ad alta componente tecnica. D’altra, questo processo di traduzione, intervenendo sull’originale, corre il rischio di falsificarlo, di commettere errori o di essere incompleto. Per scongiurare questi casi occorre quindi una valutazione tecnica fatta dall'analista e dai suo collaboratori, che prima di proporre il prodotto al decisore, attraverso una enumerazione, valutino criticamente il lavoro da loro stessi svolto.
La valutazione delle informazioni avviene su due livelli: la credibilità della notizia e l’affidabilità della fonte. Molti servizi di intelligence occidentali utilizzano una griglia di valutazione sviluppata durante la Guerra Fredda, ancora oggi in uso in diversi contesti NATO[7].
I livelli di affidabilità e fondatezza consentono di classificare tanto le fonti che le notizie in base alla loro credibilità e conferma esterna in una scala che va da altamente affidabile e confermata fino a non classificabile o dubbia. Questa griglia aiuta gli analisti a comunicare con chiarezza il grado di attendibilità delle informazioni.
La prima parte della matrice è finalizzata all'attendibilità della fonte e la seconda fissa i livelli di fondatezza della notizia. Per entrambe le parti i livelli sono sei.
Vediamo ora nel dettaglio come è composta la matrice
I livelli di affidabilità sono suddivisi in:
A – affidabile, la fonte ha mostrato di essere affidabile e competente
B – normalmente affidabile
C – abbastanza affidabile, esistono dei dubbi sulla piena credibilità della fonte che peraltro fornito notizie che poi si sono rivelate veritiere
D – usualmente non affidabile, sebbene abbia sporadicamente fornito notizie fondatezza
E – non affidabile
F – non classificabile
Per quanto riguarda la fondatezza della notizia la matrice si struttura nel seguente modo:
1 – notizia confermata, perché riscontrata da altre fonti, logica e coerente con il patrimonio informativo dell'organismo di intelligence sul soggetto e sul tema
2 – probabilmente vera: sebbene non confermata, la notizia appare logica e coerente con il patrimonio informativo accumulato sul soggetto e sul tema
3 – possibilmente vera: la notizia, non confermata, risulta ragionevolmente logica e concorda con alcuni elementi informativi già disponibili
4 – di dubbia fondatezza: la notizia, non confermata, appare possibile ma non logica e non trova riscontro in altri elementi informativi
5 – improbabile: la notizia non appare logica ed è contraddetta da altre informazioni
6 – non classificabile
Il processo di intelligence presuppone la costruzione di un modello: la validità di un modello dipende dalla sua capacità di misurare la realtà e di simularla, ovvero di essere messo alla prova. Per fare un modello occorre una tassonomia.
Intelligence e metodo critico
Come abbiamo visto precedentemente il compito dell'intelligence, e dell’analista in particolare, è quello di fornire competenze al decisore. Queste ultime devono rispondere a determinati criteri di validità e gli standard in oggetto possono essere raggiunti attraverso una procedura che altro non è che l’applicazione di un metodo.
Spesso si sente dire che l'unico metodo di conoscenza affidabile sia quello scientifico, quello della fisica o, in un campo più largo, quello applicato dalle scienze naturali. Questo atteggiamento rischia però di sfociare in una forma di scientismo che ci allontana dalla reale possibilità di accedere alla verità. Proviamo a capire il metodo scientifico a partire dalla sua origine così da individuarne la contingenza storica.
Il metodo scientifico - che come abbiamo visto sta alla base del processo di intelligence e della sua attendibilità - è il risultato di un complesso periodo storico che solitamente viene indicato con il nome di rivoluzione scientifica e che ha il suo culmine nel XVI e XVII secolo ma che risale a un tempo molto anteriore e che secondo alcuni storici della scienza può considerarsi ininterrotto.[8] Si tratta di un evento epocale: rappresenta il definitivo abbandono della scienza medievale, e con essa di quella antica soprattutto di matrice aristotelica, e probabilmente supera per importanza ogni avvenimento storico dall'origine del Cristianesimo.
La rivoluzione scientifica è così radicale da cambiare alle fondamenta il modo di riflettere, e non solo per quello che riguarda il mondo fisico, giungendo alla creazione del pensiero moderno e con esso del metodo per validare ciò che è vero e ciò che non può dirsi tale. Non si tratta tanto della nascita di nuove teorie astronomiche, fisiche o mediche ma piuttosto di un vero e proprio cambio di mentalità: gli uomini che ne furono gli artefici mutarono il loro atteggiamento mentale e lo fecero in maniera irreversibile. Le teorie non furono tanto il frutto di nuove osservazioni – le stelle e i pianeti erano in cielo da prima dell'uomo e lo stesso vale per la modalità di caduta di un grave o il galleggiamento di un dato oggetto – ma derivarono dal sorgere di concezioni mentali radicalmente diverse dalle precedenti. I fatti, noti da sempre, vennero così inquadrati in un nuovo sistema di relazioni che creò un diverso disegno del mondo e della sua struttura, frutto di una differente struttura organizzativa della mente, di una nuova epistemologia.
Il moderno metodo scientifico nasce in contrapposizione a quello medievale che era fondato sulla pura e semplice trasmissione letteraria, tanto che oggi si tende a non chiamarla scienza ma piuttosto filosofia della natura. Si trattava infatti più che altro in commenti a una serie di testi antichi che trattavano di questioni fisiche o astronomiche. Sebbene nel Medioevo miglioravano le osservazioni dei fenomeni naturali, gli autori si limitavano a compilare libri di tipo descrittivo senza elaborare una teoria, in quanto erano soddisfatti dalle antiche tesi di Aristotele e dei suoi successori. Dal punto di vista metodologico i due principali protagonisti della svolta furono Bacone e Cartesio: il primo rafforzò il metodo induttivo e cercò di ridurlo a un insieme di principi coordinati, il secondo mise la matematica al vertice delle scienze e creò un nuovo metodo deduttivo su cui fondare il ragionamento. Si tratta di due metodi radicalmente opposti, uno basato sull'induzione e uno sulla deduzione.
Solamente all'inizio del XVII secolo Bacone mise in dubbio il vecchio modo di intendere il rapporto tra osservazione e teoria, dimostrando che l'osservazione doveva venire prima. Ma furono Galileo e Cartesio a compiere un ulteriore passo nella direzione della scienza moderna introducendo in maniera decisiva la matematica. Per Cartesio la scienza poteva definirsi tale solo se possedeva ordine e misura e la matematica rappresentava ai suoi occhi la scienza generale che metteva ordine e misura alle singole particolarità del mondo fisico. Galileo pensava che la matematizzazione della realtà l'uomo potesse giungere a un sapere assoluto del mondo fisico, questo intendeva con le famose parole «il mondo è un libro scritto in caratteri matematici».
Ma per quale motivo queste discussioni non rimangono relegate nell'ambito meramente speculativo e intervengono a gamba tesa nella formazione del mondo moderno? Perché la rivoluzione scientifica fu in grado di propagandare se stessa e seppe vendersi: la sua forza fu il mostrare l'utilità pratica dei suoi risultati e questa spinse gli scienziati e le società scientifiche ad ottenere il patrocinio dei re. Da qui la volontà di applicare il metodo scientifico a ogni campo del pensiero va di pari passo con la volontà di servirsi della scienza in campi quali l'industria e l'agricoltura e in generale lo sviluppo della passione moderna per la tecnica.
Questo modificò radicalmente la concezione della storia e del passare del tempo. Se prima della rivoluzione scientifica e della sua applicazione alla tecnica il mondo era inteso come qualcosa di statico, dopo la sua affermazione i mutamenti divennero così frequenti da interessare i passaggi da una generazione all'altra, da essere percepiti a occhio nudo. Il risultato fu la nascita di una società che prendeva fiducia nei propri mezzi conscia che, se aveva superato la tradizione greco-romana e quella cristiana, poteva ora immaginare un futuro radioso, il ragionamento che sta alla base del concetto di progresso. La concezione della storia secondo gli antichi, o almeno fino al Rinascimento, consisteva tutto sommato in un percorso di progressiva decadenza: così per le società come nel mondo fisico, i corpi venivano visti nella loro progressiva decomposizione. La scienza pre-rivoluzionaria era strutturata in armonia con la natura e, visto che i corpi hanno una naturale tendenza alla disintegrazione, si pensava che anche il tempo e la storia non potessero produrre nulla di realmente positivo, tanto meno vi era l'idea che la civiltà potesse progredire senza fine. Per esempio Machiavelli era così convinto della necessità di imitare i romani tanto da mostrare disprezzo nei confronti della polvere da sparo che questi non avevano mai utilizzato, il tutto a discapito del valore aggiunto di questa in ambito militare. In realtà l'idea del progresso è frutto di un processo di secolarizzazione dell'antica posizione religiosa per cui in un più o meno lontano futuro si sarebbe realizzato il sommo bene così allo stesso modo la storia tenderebbe al bene ultimo. Inoltre, a differenza di Machiavelli, i moderni compresero che oggetti quali la bussola, il cannocchiale, la polvere da sparo e l'artiglieria erano valevoli e utili tanto quanto le invenzioni del passato.
Un passo fondamentale verso l'affermazione dell'idea di progresso fu poi il vedere che determinate forme di conoscenza, o le loro applicazioni tecniche, l'uso e l'accumulo di informazioni si perfezionavano tramite la continua revisione dei risultati dando luogo a una sempre maggiore efficienza. La storia della scienza moderna è la stria della nostra modernità e dei suoi successi nei campi della conoscenza, della previsione e della valutazione rischio.
Ritornando al nostro caso, se fosse vero che il metodo scientifico-matematico è l’unico in grado di portare a una conoscenza certa, nascerebbe infatti un serio problema in quanto il trattamento delle informazioni che sta alla base del processo di intelligence è molto più vicino a una disciplina umanistica piuttosto che scientifico-quantitativa. Vediamo qui di entrare sulla soglia della questione di un metodo scientifico in grado di non cadere nello scientismo e per farlo seguirò gli la via tracciata da un breve ma incisivo testo scritto a quattro mani da uno storico della filosofia, Dario Antiseri, e un’esperto analista di intelligence, Adriano Soi, e dal titolo Intelligence e metodo Scientifico[9]. La pubblicazione del libro di Antiseri e Soi ha il grande merito di aver messo in luce lo stretto rapporto tra intelligence e metodo ponendo al centro la questione epistemologica. Intelligence e metodo Scientifico ha aperto un nuovo spazio per pensare il lavoro di intelligence, il mio modesto contributo vuole essere quello di partire dalle considerazioni dei due autori e proporre alcuni interrogativi che alimentino e producano una riflessione feconda in merito al rapporto tra epistemologia e intelligence.
Una via di accesso alla questione può essere la messa in discussione della presunta - radicale e manichea - differenza di metodo fra scienza e discipline umanistiche. Una questione che è stato oggetto di un dibattito lungo e in molti casi controproducente. Scienza e discipline umanistiche infatti non sono in opposizione, si basano entrambe infatti su congetture e verifiche: questo vale tanto per la comprensione di un testo che per l'elaborazione di una teoria scientifica a partire da dati quantitativi. Già Popper sosteneva che «elaborare la differenza fra scienza e discipline umanistiche è stato a lungo una moda ed è diventato noioso. Il metodo di risoluzione dei problemi, il metodo delle congeutture e delle confutazioni sono praticati da entrambi. È praticato nella ricostruzione di un testo danneggiato, come nella costruzione di una teoria della radioattività[10]».
Secondo l’epistemologo austriaco, citato ripetutamente nel libro di Antiseri e Soi, il metodo scientifico è una sorta di sistematizzazione e organizzazione razionale del del metodo prescientifico, antico quanto l'uomo, che consiste nell'imparare dagli errori e fare in modo di non ripeterli. A differenza delle tecniche di validazione precedenti il metodo scientifico ha tra i suoi presupposti fondamentali la discussione critica, una confronto possibile grazie al linguaggio e alla cultura che ne è il prodotto sedimentato nella storia. «Per mezzo del linguaggio si rende possibile la critica, e per mezzo della critica noi abbiamo poi sviluppato la cultura[11]».
Sempre secondo Popper: «la scienza non è assimilazione di dati sensibili che entrano in noi attraverso gli occhi, le orecchie e così via, e che noi poi in qualche modo mescoliamo, connettiamo mediante associazioni e quindi trasformiamo in teorie, che sono opera nostra. […] Il mondo non ci dà alcuna informazione se non ci presentiamo davanti a esso con questo atteggiamento interrogativo: noi chiediamo al mondo se questa o quella teoria sia giusta o falsa. La cosa essenziale nella scienza è l’atteggiamento critico. Dapprima, quindi, costruiamo teorie, e poi queste teorie le critichiamo[12]».
La teoria di Popper è quindi riassumibile in tre passi problema-teoria-critica: incappiamo in un problema, tentiamo di risolverlo ed elaboriamo una teoria, impariamo dai nostri sbagli emersi durante la discussione critica e i tentativi di risoluzione del problema. Il metodo esemplificato sopra è così applicabile a tutti gli ambiti di ricerca: di fronte a un problema non possiamo fare altro che tentare di comprendere la situazione, elaborare una teoria, e poi verificare la veridicità e la precisione dell'idea che ci siamo fatti. Ciò che non deve spaventarci è la possibilità che la nostra teoria sia errata, infatti il metodo critico sta proprio nella capacità di individuare tramite la prova gli errori presenti nella teoria e così correggerli.
Se prendiamo atto che il metodo scientifico, con tutto il suo bagaglio di certezza e veridicità che si porta appresso, e il metodo delle scienze umanistiche coincidono, allora, per la proprietà transitiva possiamo affermare che esiste un solo metodo che ha l’obiettivo di conoscere in maniera certa.
Ritornando a pensare alla tipologia di dati che dobbiamo elaborare quando parliamo di intelligence, e quindi di scrittura nella maggior parte dei casi, ci poniamo la domanda se non è forse il caso, più che al metodo della fisica, di affidarci alle teorie interpretative dei testi scritti. Tra queste la più adatta appare essere l'ermeneutica, una teoria interpretativa molto antica che nel Novecento trova nelle opere di Hans Georg Gadamer un ottimo modello di sistematizzazione. Come sottolineano Antiseri e Soi: il rapporto tra ermeneutica gadameriana e metodo scientifico è già ampiamente riconosciuto da Popper che ha mostrato nelle sue opere che «l’interpretazione dei testi (ermeneutica) lavora con metodi schiettamente scientifici[13]».
Ciò che accomuna ermeneutica e metodo è il quel nucleo critico che consente a entrambe di correggere una teoria, ovvero il suo essere strutturata in modo da permetterne la verifica fattuale. In altre parole una teoria deve poter essere sottoposta alla prova dei fatti: una teoria è controllabile quando vi è la possibilità di dedurre conseguenze che possono essere facilmente confrontabili con i fatti a nostra disposizione.
Dal metodo critico alla critica al metodo
Se il nucleo del metodo consiste nella sua potenza critica possiamo domandarci ora se la questa funzione può essere applicata al metodo stesso. Il problema della critica al metodo rappresenta una sfida intellettuale particolarmente stimolante: da una parte il metodo infatti è una del più grandi conquiste della tradizione occidentale, dall'altra l'idea di una serie di principi vincolanti che guidi l'attività di ricerca si scontra con il fatto che qualunque norma metodologica ed epistemologica viene di per sé violata, prima o poi.
In questo spinoso ginepraio ci può venire in aiuto il punto di vista espresso dal filosofo Paul Fayerabend il quale sostiene che la scienza consiste, al di là di quello che ci insegnano a scuola, in una pratica sostanzialmente anarchica: ed è proprio quello che possiamo chiamare “anarchismo teoretico” che rappresenta il più forte motore di sviluppo del “progresso” scientifico. «La scienza è un'impresa essenzialmente anarchica: l'anarchismo teorico è più umanitario e più aperto a incoraggiare il progresso che le sue alternative fondate sulla legge e sull’ordine». Questo concetto, espresso nell’introduzione di Contro il metodo parte da una serrata critica all'empirismo che aveva preso piede negli anni Settanta del Novecento. Fayerabend contesta a Popper la possibilità di fare affidamento a un linguaggio neutrale su cui basare il falsificazionismo. Al di là di quanto afferma Popper in favore della creatività, la sua teoria appare a Fayerabend rigida e schematica, una critica già espressa da importanti pensatori e storici della scienza quali Imre Lakatos e Thomas Kuhn. Neppure questi ultimi offrono però a Fayerabend un'alternativa soddisfacente: tanto la teoria di Kuhn, espressa nel classico La struttura delle rivoluzioni scientifiche, che alterna fasi positive di ricerca ad altre dove governa un paradigma, quanto la visione di Lakatos che aleterna fasi di tenacia e di proliferazione come cicli distinti.
Per Fayerabend l'unica via percorribile è quella di ammettere ogni principio ammissibile così come in poesia o in arte. Le regole sono di per sé limitazioni, concorrono necessariamente alla costruzione di una gabbia. Di conseguenza, così facendo, si costringe l’informazione a un percorso forzato, questa non viaggia indisturbata dal mondo esterno al nostro apparato interpretativo ma è classificata prematuramente negandone la complessità che la costituisce. «Un mezzo complesso, comprendente sviluppi imprevisti, richiede procedimenti complessi e presenta difficoltà insuperabili a un'analisi la quale operi sulla base di regole che siano state costituite in anticipo e senza tenere conto delle condizioni sempre mutevoli della storia[14]».
Tutto questo ragionamento parte dal presupposto che la scienza non conosce meri fatti ma che questi entrano nella nostra coscienza attraverso un determinato ordine logico, sono in altri termini idealizzati. Il desiderio di conoscenza necessita il rifiuto di ogni regola e di ogni tradizione rigida. Vi sono casi in cui è bene non solo ignorare la norma ma fare il suo contrario. Quella che Fayerabend chiama la “voce della ragione”, che dovrebbe guidarci nei momenti di confusione, spesso non è che un «effetto postumo casuale dell'insegnamento ricevuto». L’idea di un metodo fisso adatto a una realtà che fissa non è implica una visione troppo ingenua che lavoro che attende l'analista.
Il metodo controinduttivo che consiste nell’introdurre e elaborare ipostesi che siano in contraddizione con le teorie può rappresentare una strada metodologica che integra e rafforza il processo di intelligence proprio a partire da una critica metodologica.
Per una critica epistemologica al processo di intelligence
Le scienze, nella loro accezione classica, hanno il merito di aver garantito un'affidabilità del prodotto di analisi ma hanno il grave limite di averlo fatto attraverso un modello riduzionista. Il problema non è superficiale ma strutturale. Ciò è avvenuto poiché in primis il riduzionismo costituisce la base del modello scientifico, e perché con il tempo le scienze hanno relegato la filosofia, e il suo metodo critico, in un angolo sempre più angusto. Non è difficile ravvisarne il motivo: la filosofia ha nel suo status ontologico la necessità di mettersi continuamente in discussione, mantenere aperto il processo che permette il raggiungimento della verità, un sistema che male si accorda con la necessità applicativa che ha trovato il metodo scientifico al di fuori dell'ambito strettamente teorico.
Di fronte alla contemporaneità, un paradigma storico che siamo soliti descrivere come immensamente complesso e articolato, dove i vecchi canoni vengono meno di fronte al moltiplicarsi delle variabili e alla quantità di informazioni in ballo, urge l'esigenza di un superamento di un modello di analisi riduzionista e la costruzione di un nuovo sistema di pensiero che tenga conto della complessità. Per prima cosa occorre mettere a fuoco cosa comporta classificare una data situazione come complessa, cosa la caratterizza, quando possiamo definirla tale. Utilizzando una semplice immagine possiamo immaginare una matassa di filo, o meglio ancora una matassa composta di fili differenti, fittamene intrecciata tanto da essere difficilmente dipanabile. La scienza classica opterebbe per una soluzione pragmatica, sulla scia di quella operata da Alessandro Magno per il nodo di Gordio, ma non sempre è possibile operare in questo modo.
In ambito di analisi abbiamo a che fare con delle informazioni e queste non possono essere sottoposte al processo gordiano. Cartesio, padre del razionalismo e di conseguenza uno dei maggiori ispiratori del metodo scientifico, credeva che per rendere chiaro e distinto un oggetto complicato bastasse analizzarlo nei suoi elementi costitutivi, in altre parole ridurlo nelle sue componenti minime che nella loro semplicità risultano intuibili senza possibilità di errore[15]. Il problema di questo metodo sta nel fatto che ha la necessità, per essere attuato, di scomporre l'oggetto e in questo modo non ci troviamo più tra le mani una matassa di filo, ma semplicemente un numero di fili che da soli hanno una natura ben differente rispetto all'oggetto di partenza. In altre parole, perché un'analisi sia tale occorre che non modifichi la struttura dell'oggetto che vuole conoscere, in caso contrario non potremmo dirci soddisfatti del risultato, che sarebbe pertanto inattendibile e traviante. Pensiamo a un organismo vivente: questo non può essere ridotto a nessuno dei suoi organi né compreso attraverso lo studio di questi e neppure pensabile senza l'interazione con l'ambiente.
Quella che si definisce unità complessa è un'entità che non può essere ridotta alle parti che la compongono, ma che emerge dalle interazioni di cooperazione e competizione che avvengono tra queste. In altre parole il vero centro del problema è lo sviluppo dell'oggetto in un sistema, più che il sistema stesso. Come affermava Hegel «il Vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo». La scienza classica ha la sua forza nella capacità di ridurre la realtà fisica a una struttura matematica invariabile, ricondotta sostanzialmente alla geometria euclidea. Ma nella realtà ciò che distingue gli oggetti non è la materia che li costituisce, ne tanto meno le parti che lo compongono. Ciò che determina un oggetto è l'ordine e l'interrelazione tra le parti, pensiamo alle teorie di Deleuze e Guattari a proposito del rizoma.
È proprio il concetto di ordine che sta al centro delle analisi più acute menti dei nostri tempi: quella di Ilya Prigogine. La sistematica riduzione dell'oggetto di ricerca a qualcosa di statico, non soggetto a variazioni, pone il metodo scientifico classico di fronte a un problema. Il fatto che l'obbiettivo finale della ricerca scientifica sia quello di giungere a una legge invariabile stabilisce di contro che tutto ciò che varia non può essere considerato come scientifico. Ma la realtà non è composta da elementi semplici, strutturati e stabili bensì da parti in continua evoluzione. Fin dall'Ottocento si dà per scontato che ogni sistema è in uno stato di omeostasi: è in continuo rapporto con ciò che vi sta fuori, in altre parole è aperto. Se diamo per certo che i sistemi sono sempre aperti allora le teorie che li descrivono devono essere allo stesso modo fluide, in divenire e quindi necessariamente incomplete.
In questo senso è interessante la riflessione di Heisenberg che dichiara l'impossibilità di esaurire la realtà all'interno di una teoria. Per il fisico tedesco una teoria può essere chiusa, come nel caso di quella newtoniana, ma non può essere completa perché inevitabilmente l'oggetto a cui si riferisce viene meno nelle sue interrelazioni interne, con gli oggetti che lo compongono, ed esterne, con gli oggetti che lo circondano.[16]
La condizione per comprendere la realtà è quindi necessariamente storica. Una storia cronica e sincronica allo stesso tempo che mostra come la realtà sia sempre in divenire: in altre parole è evento. Occorre ripensare il metodo che sta alla base del processo di intelligence a partire dall’evento e dalla sua eccezionalità, dalla sua capacità di generare il nuovo, il non ancora sperimentato.
Note
[1] Non è un caso che la rivista ufficiale dell'intelligence italiana si chiami Gnosis https://gnosis.aisi.gov.it/.
[2] Presidenza del Consiglio dei Ministri Glossario di intelligence. Il linguaggio degli organi informativi, Roma 2012. https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/wp-content/uploads/2013/12/Glossario-intelligence-2013.pdf
[3] Secondo la famosa definizione di Von Clausewitz «La tattica è dunque la dottrina dell’impiego delle forze armate nel combattimento, la strategia è la dottrina nell’uso dei combattimenti per lo scopo della guerra». Vedi in merito il classico del 1837 C. Clausewitz Della guerra, Einaudi, Torino 1998.
[4] C. Masci e L. Piacentini, L’Intelligence fra conflitti e mediazione, Cacucci Editore, Bari, 2010, pagg. 116- 123.
[5] Presidenza del Consiglio dei Ministri Glossario di intelligence. Il linguaggio degli organi informativi. Cit.
[6] Secondo i protocolli NATO, il ciclo di intelligence comprende le fasi di direzione, raccolta, elaborazione e diffusione, come delineato nell'AJP-2.1 (Allied Joint Doctrine for Intelligence, Surveillance and Reconnaissance). jadl.act.nato.int
[7] Ibidem.
[8] Vedi H. Butterfield Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998.
[9] G. Soi, e D. Antiseri, Intelligence e metodo scientifico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014.
[10] K. R. Popper, La teoria del pensiero oggettivo, in Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pag. 242.
[11] K. R. Popper, Il futuro è aperto, Milano, Bompiani, 2002. p. 62
[12] Ibidem pag. 75
[13] Ibidem pag. 40
[14] P. K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Milano, Bompiani, 2011 pag.16
[15] R. Cartesio Opere filosofiche, vol I, Laterza, Roma-Bari 1998, p.303.
[16] Vedi W. Heisenberg, Il concetto di teoria chiusa nella scienza in Oltre le frontiere della scienza, Editori Riuniti, Roma 1984.