Homo Consumens
Quella che stiamo vivendo è un’epoca definita dai filosofi come liquida, ibrida, gassosa, triste, vuota, stanca, ma forse un altro termine utilizzabile per definirla è: (iper)consumista.
Vivendo nella società (nel capitalismo) dei consumi da anni, consumisti lo eravamo già da tempo. L’avvento delle piattaforme tecnologiche, grazie alle prestazioni computazionali e alle memorie diffuse del Cloud su cui possono contare, ha trasformato tutti in una moltitudine globalizzata e uniformata, trasparente, volontariamente servile e vulnerabile, di semplici consumatori e merci loro stessi. Tanti soggetti desideranti ma sempre meno autonomi e indipendenti, “immersi nelle cose e assediati dalle merci”, alla ricerca di continue gratificazioni, insaziabili, mossi dal desiderio di soddisfare un desiderio impossibile da soddisfare, perché alimentato da promesse (ingannevoli) continue. Tanti (s)oggetti tutti uguali nei loro comportamenti e nel loro essere, a cui è stata scippata una “soggettività consapevole”, che potrebbe forse proteggerli dalla dipendenza dai consumi, e senza la quale si trovano a essere imprigionati nelle caverne-centri commerciali in cui sono entrati (fare shopping) per non uscire più.
La moltitudine a cui faccio riferimento è per definizione molteplice, ma oggi le sue differenze, che pure esistono (cultura, etnia, genere, sessualità, stili di vita, ecc.) sono state livellate, massificate, uniformate, profilate, assorbite dentro un’identità unificata, imposta da regole, narrazioni e ambiti dominati dal marketing e dalle sue molteplici attività, volte a cambiare le coordinate per agire e pensare, ma anche a condizionare i valori delle persone, la loro cognizione e percezione, i loro comportamenti quotidiani. Il livellamento e l’appiattimento hanno trasformato la moltitudine in uno “sciame inquieto” sempre pronto a sciamare e a spostarsi là dove si celebrano i nuovi eventi marketing di tendenza e le messe consumistiche della (tecno)religione dei consumi. Una religione ormai dominante su tutto il globo terrestre. Un globo reso piatto e uniformato da prodotti e merci sempre più uguali e da comportamenti di acquisto sempre più massificati.
"Condividiamo tutti uno stesso pianeta e non abbiamo un altro posto dove andare" - Zygmunt Bauman, Homo Consumens, IM, p. 16
Lo sciame
Lo sciame, qui usato per descrivere la società dei consumi, è un concetto che originariamente, collegato al fenomeno Internet e del Web, aveva un significato positivo. Come tale ha generato una diffusa letteratura che ne ha raccontato specificità, caratteristiche (intelligenza collettiva, connettiva, ecc.) e vantaggi. Molte delle attività di Marche tecnologiche diventate famose per i loro prodotti (Apple, Tesla, ecc.), applicazioni e piattaforme (Uber, Airbnb, ecc.), hanno costruito i loro successi e la loro presenza sul mercato grazie alla loro abilità nel creare fenomeni virali finalizzati al coinvolgimento di moltitudini nell’agire come sciami. Sciami sempre più legati e dipendenti nel loro muoversi (destinazione, ritmo, ecc.) dall’uso che viene fatto dell’informazione, sempre più spesso usata per neutralizzare dissidenza e differenze, per disinnescare problemi potenziali e dissenso, per indurre comportamenti massificati, sia online sia offline.
Finiti sono i tempi della società felice di Francesco Morace) o della felicità paradossale di Gilles Lipovietsky.Dalla post-modernità i soggetti, alla ricerca della “felicità”, hanno cercato di uscire ricercando partecipazione sociale e comunità, si sono ritrovati a frequentare piattaforme social (non sociali) e a stare dentro reti di contatti che tutto sono tranne che comunità. Ai valori (libertà, felicità, uguaglianza, fraternità) si sono sostituite le loro semplici narrazioni, potenti strumenti di comunicazione celebrati come valori. Il vuoto che ne è derivato è sotto gli occhi di tutti, da aspiranti alla dignità di cittadini siamo diventati tutti semplici profili virtuali(zzati), da consum(At)tori siamo stati riportati al rango di semplici consumatori, da soggetti ci ritroviamo a essere oggetti, non cose, merci.La trasformazione è stata perseguita con arte, intelligenza e perseveranza marketing. Al consumatore persona, cittadino, portatore di esperienze integrali, capace di fare le proprie scelte in base a valori, passioni e convinzioni, si è sostituito il profilo di un consumatore che si muove sulla base di modelli cinici, furbi e manipolatori imposti dai media e dalle piattaforme, sempre più in difficoltà a resistere, a scegliere, a selezionare, a valutare, a giudicare e a decidere, in base ai propri valori.Bisognerebbe recuperare la capacità di rompere le catene mediali e tornare a stare/sentire fuori dalle piattaforme tecnologiche, non rinunciare alla immaginazione ma ritornare al reale, che poi è sempre il nostro punto di partenza, a guardarsi negli occhi per scoprire il volto che li contiene e il corpo (NOSTROVERSO), relativizzare le tanto declamate esperienze onlife per riflettere e riscoprire quelle offlife, fatte di lentezza, intervalli, fragilità, legami e molto altro. Nella realtà di crisi attuale bisognerebbe rinunciare al consumo (consumare meno, riciclare, regalare), praticare il dono, investire nella circolarità solidale dello scambio, attivarsi insieme ad altri su progetti condivisi e partecipati.Tutto molto semplice a dirsi, complicato, forse ormai impossibile a farsi!
Rompere le catene mediali e tornare a stare/sentire fuori dalle piattaforme tecnologiche
L’Homo consumericus di Gilles Lipovietsky descritto come un turbo consumatore non allineato, mobile, flessibile, affrancato dalle culture di classe, di genere e ideologiche, imprevedibile nei gusti e nella scelta di acquisti è diventato un consumatore globalizzato e uniformato, condizionato nella sua mobilità e flessibilità, dipendente per le sue scelte dalle nuove condizioni di classe determinate da precarietà lavorativa, disuguaglianze e povertà, sempre più prevedibile perché trasparente, geo-localizzato e controllato, analizzato e guidato in ogni sua scelta e decisione, assorbito dentro comportamenti e stili di vita che qualcuno ha definito per lui. Ne deriva una infelicità crescente, la crescita del disconforto psichico, la scomparsa dell’armonia interiore, il diffondersi di tanti occhi tristi, segno di passioni tristi che hanno preso il sopravvento su tutto il resto, il ritorno dell’invidia, il diffondersi di comportamenti compulsivi e dell’ossessione della performance, la ricerca di godimenti materiali che si traduce spesso in insoddisfazione esistenziale.
Un consumatore di questo tipo, domesticato, ridotto a semplice numero, assemblato in un duttile gregge, è perfetto per un capitalismo che alla produzione ha sostituito il consumo e che del consumo non può fare a meno. Il capitalismo, soprattutto nella sua fase tecnologica e neoliberista attuale, non è solo produzione e distribuzione di prodotti e servizi, è un sistema simbolico che si è fatto religione (laica e secolarizzata, utilitaristica). L’oggetto di culto è la merce, le sue prassi e liturgie sono costruite sul puro culto del consumo, pensate per appagare i suoi fedeli liberandoli, attraverso i suoi prodotti, dalle loro inquietudini, dalle loro preoccupazioni e solitudini.
Se la merce è diventata Dio e i consumatori sono i fedeli che riempiono le chiese e le cattedrali (piattaforme) nelle quali innumerevoli sacerdoti e cardinali celebrano il suo culto, non rimane forse che convertirsi?
In alternativa si può provare a costruire una nuova Arca della santa alleanza, capace di contenere tutti coloro che alla schiavitù del consumo vogliono in qualche modo provare a sfuggire. L’Arca non è destinata a riempirsi rapidamente, ma può contare sulle numerose masse invisibili ed emergenti di persone che hanno sviluppato nuove sensibilità e nuove consapevolezze, tante persone che resistendo agiscono per cercare mondi nuovi nei quali curarsi dall’abbuffata consumistica che ha coinvolto tutti. Queste potenziali masse in emergenza sono aperte alla crescita, i suoi componenti si sentono uguali, accomunati da un unico sentire, insensibili alle differenze imposte da fuori, sono masse resistenti che rifiutano di essere richiuse in una chiesa, anche se raccontata come sicura, sono sempre in movimento verso qualcosa, si muovono al ritmo dei piedi, lentamente, come se si lasciassero trasportare, in mare aperto, senza destinazioni predefinite, in viaggio per ritrovare sé stessi e gli altri, fuggendo insieme perché insieme si fugge meglio.
L’Arca può fare da apripista per una nuova fase della società, meno consumista e basata su nuovi valori, ma la nuova fase ha bisogno di quella che Elias Canetti chiamava “massa di rovesciamento”, capace di dare vita a una rivoluzione, nei comportamenti, negli stili di vita e nelle scelte esistenziali.
Insomma un grande sogno, se va bene un’utopia, capace forse, come il fuoco, di dilagare insaziabile, contaminando ogni cosa!
Bibliografia
- Francesco Morace, Società felice – La morte del post-moderno e il ritorno dei grandi valori, Libri Scheiwiller, 2004, Milano
- Gilles Lipovietsky, Una felicità paradossale – Sulla società dell’iperconsumismo, Raffaello Cortina Editore, 2007, Milano
- Elias Canetti,Massa e potere, Adelphi, 1981, Milano
- Zygmunt Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi
- Giampaolo Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, 2003