Fare una call non significa “vedersi su Teams e parlare”. Significa creare uno spazio ordinato di collaborazione, in cui ogni partecipante sa perché è lì, quanto tempo dovrà restare e quali risultati si attendono da lui. Il project manager che non cura questi dettagli non sta gestendo un progetto: sta provocando il caos.
Un buon invito comincia dal titolo. Deve dire subito di cosa si parlerà, in modo preciso: “Call di allineamento sprint 32”, non “Call veloce”. Poi la data, la durata e il link di accesso: informazioni ovvie, ma spesso incomplete. Il cuore dell’invito è l’agenda: l’ordine dei temi da affrontare. Tre o quattro punti, con tempi indicativi, bastano per dare struttura e serietà.
L’agenda è la bussola della call; senza di essa, il tempo si dilata, le conversazioni si disperdono e la riunione si trasforma in una chiacchierata collettiva senza memoria.
Nell’invito va anche chiarito lo scopo: che cosa vogliamo ottenere da quell’incontro. Non “parlare del progetto”, ma “validare le attività completate e assegnare le prossime”. Aggiungere i materiali da consultare prima della call, e indicare i ruoli — chi modera, chi espone, chi ascolta — completa il quadro.
Tutto qui. Nessuna magia, nessun framework segreto, solo educazione organizzativa. Ma è proprio questa che manca in molte aziende, dove si scambia la complessità per importanza e la confusione per dinamicità.
Una call ben condotta inizia in orario, segue l’agenda e termina nei tempi previsti. Alla fine, le decisioni vengono sintetizzate e condivise, possibilmente con un breve verbale. È il modo più semplice per costruire fiducia e responsabilità tra colleghi: tutti sanno cosa è stato detto, deciso e da chi.
Il project manager che padroneggia quest’arte non ha bisogno di esibire certificazioni. Sa che la vera leadership si misura nella qualità del tempo condiviso, non nel numero di meeting organizzati. Ogni invito è un atto di rispetto: verso il tempo altrui e verso il proprio mestiere.
Finché continueremo a confondere la professionalità con la frequentazione di convegni e aperitivi, le nostre call resteranno quello che sono: chiacchiere travestite da lavoro.
Edgar Morin, La natura della natura
Primo volume della monumentale Méthode, il libro di Morin indaga il principio d’organizzazione che regge la complessità del reale. La mente, secondo il filosofo, non è un archivio di dati ma un sistema vivente che genera ordine a partire dal disordine, costruendo legami, modelli e connessioni. Chi si occupa di progetti dovrebbe leggere queste pagine come un manuale invisibile di project management cognitivo: comprendere come il pensiero organizza il mondo è la premessa per organizzare bene anche il lavoro.