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Un racconto che parla di algoritmi, di traumi, di solitudine, di (in)felicità, verità, parole, poesia, scelte, di rivoluzione, in una parola di Miria, la protagonista di questa storia che condivido con i lettori di Stultiferanavis.


Il “Grande Chill” - lo chiamavano amichevolmente - l’algoritmo perfetto che aveva mappato ogni trauma, ogni ansia, ogni dolore, e lo aveva neutralizzato chimicamente con un protocollo e una pastiglia o, in base ai casi, una semplice, banale, iniezione di serotonina sintetica, a rilascio controllato.
​Erano tutti impeccabilmente felici, si diceva. Volendo essere più precisi, erano tutti in uno stato di pacata indifferenza.

Miria, invece, aveva un problema. Sedeva ogni mattina sul bordo del suo letto ipoallergenico, guardava il sole entrare dalla finestra schermata, e la sua dannazione era vivere in un mondo che aveva bandito le dannazioni. Ricordava, in lampi fugaci e non autorizzati, il bruciore straziante di un addio, la felicità incontenibile di un desiderio realizzato. Erano sensazioni lontane come la vita su un altro pianeta, ma c'erano, e lei ci si aggrappava, sentendosi sempre più un'aliena, o una specie di eretica di un medioevo futurista.

Un giorno, in un vicolo dimenticato dove ancora resisteva la vecchia puzza di pioggia (fenomeno ormai solo riprodotto in laboratorio su territori selezionati), trovò una cosa strana, un reperto che avrebbe dovuto essere consegnato al Ministero del Mondo Antico, secondo le normative vigenti, perché avrebbe valutato se distruggerlo, o esporlo in qualche museo: era una lacrima. Era lì, sul cemento, una microscopica goccia che lei riconobbe subito, non poteva sbagliarsi su certe cose. Era trasparente, eppure le sembrò la cosa più colorata che avesse mai visto.

Miria si inginocchiò.

Toccò quel frammento di antica sofferenza con la punta del dito, e un brivido le percorse la spina dorsale. Non era adrenalina da ansia nè da entusiasmo. Era… verità! La mise delicatamente in una di quelle provette sterili che tutti avevano sempre con sè per prelevare farmaci sfusi ai distributori automatici e decise che l'avrebbe tenuta lei. Prese anche un'altra decisione: da quel giorno avviò la sua ricerca segreta. Cominciò a frugare, ogni notte, nei vecchi archivi digitali, cercando le parole proibite: rimorso, nostalgia, crepacuore, sconforto. Non voleva assolutamente dimenticare che fosse esistita tanta sofferenza nel mondo, fino a vent'anni prima, quando lei era una ragazzina. Miria non si rassegnava a credere che tutti gli altri avessero davvero smesso di soffrire (si vedeva dal fatto che avessero smesso anche di gioire), erano solo sedati! Sedati. E inconsapevoli, si ripeteva. ​Miria stava cercando una chiave, un modo, un tasto, qualcosa, qualsiasi cosa per riattivare il sentire, pur sapendo che avrebbe dovuto ritrovare, nel caso, anche le emozioni spiacevoli, e più di come le sentiva lei (che per qualche motivo ancora riusciva), cioè solo ovattate e poco chiare. ​Aveva la coscienza che, in un mondo di calma imposta e artificiale, tornare a sentire poteva essere l’unica vera coraggiosa forma di libertà. Non trovò un interruttore, né una formula magica nei documenti criptati che aveva pian piano saputo decodificare (era pur sempre una delle informatiche più quotate del continente). Cercava, cercava... Ecco cosa trovò: frammenti di una poesia antica che descriveva il lutto come un buco nero nello stomaco, la melodia di una canzone che parlava di un amore non corrisposto, il video sgranato di una donna che piangeva dal ridere. Questi file non le bastavano per riattivare le emozioni, non di certo, però Miria si disse che erano testimonianze. Aveva ormai capito che il Grande Chill (la denominazione corretta era "Protocollo Universale di Salute Pubblica a Protezione dalle Emozioni e dalle Sensazioni per il Quieto Benessere Collettivo") non aveva eliminato il dolore dall'esistenza, lo aveva semplicemente reso inaccessibile. Miria quella notte prese un'altra (pericolosa) decisione: smettere di assumere la sua dose ciclica di Serenità Regolata.

​La mattina dopo, si svegliò sapendo di aver fatto una scelta radicale. Il suo corpo, nel giro di due o tre giorni, reagì con un leggero tremore, una nausea sottile, qualche capogiro: i primi segnali della vita che si ribellava al controllo. Anche quella mattina si alzò, si vestì. Nell'uscire di casa, un uomo la incrociò e le sorrise con la sua perfetta placidità standard.

Miria ricambiò il sorriso. Ma sotto quella maschera di cortesia sociale, sentì qualcosa: un lieve pizzicore nella pancia. Non era gioia, non era tristezza. Era eccitazione, immaginando ciò che sarebbe arrivato: un primo litigio, una prima delusione, forse un vero, intenso, amore. Sapeva che l'aspettava un cammino difficile, fatto di alti e bassi vertiginosi in quel mondo che aveva meticolosamente spianato le vite privandole di ogni difficoltà. Inoltre - e non era un dettaglio - doveva stare attenta a non farsi beccare da funzionari governativi che avrebbero potuto ricoverarla coattivamente, sapendola scoperta dai farmaci. ​Ma camminando verso il sole, Miria si sentì pronta, per la prima volta dopo molti anni. Pronta ad accogliere tutto, il terribile e il meraviglioso. Avvertì ancora la solitudine ma stavolta ne fece motivazione a proseguire, incoraggiamento a cercare altri e altre ribelli: non poteva essere la sola, in quel mondo perfetto, ad aver scelto di rimanere imperfetta e umana. Avrebbe incontrato altri umani imperfetti e avrebbero condiviso le loro profondità e la loro leggerezza.

Forse, un giorno, avrebbero persino fatto la rivoluzione.



Pubblicato il 20 novembre 2025

Anna Salzano

Anna Salzano / Psicoterapeuta e Scrittrice

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