Pagina di diario — 18 maggio

La mente, per sua natura, tende al vagabondaggio. Oscilla tra l’ansia per ciò che potrebbe accadere e il rimpianto per ciò che è stato. Questo flusso continuo, se non riconosciuto, alimenta uno stato latente di stress, talvolta persino di alienazione. Praticare la mindfulness significa spezzare questo incantesimo: riportare dolcemente l’attenzione al momento presente, al respiro, a un suono, a una sensazione corporea. Una forma di vigilanza affettuosa, che non corregge, ma accoglie.

In libreria con la paura di sbagliare acquisto

Il fenomeno Ipnocrazia c'è stato, inutile negarlo, oggi già un po' sbiadito, dentro una realtà che ormai consuma e digerisce tutto, senza preoccuparsi molto che ciò che viene digerito sia vero o sia falso. Più che la tema dell'autorialità legata a un testo generato in modalità ibrida umano-macchina, è interessante riflettere su ciò che è rimasto di quell’evento. Sicuramente una maggiore difficoltà a fare delle scelte, a scegliere quale sia “la realtà” a cui credere. Il che si traduce anche in un malessere più profondo, la perdita di riferimenti solidi, di idee forti perché sostenute da fonti cert(ificat)e, di valori come verità, autenticità, identità e non solo.

I tempi sono cambiati, sono diventati privi di senso?

Perduto il senso, siamo alla ricerca di senso. Annegati nelle contraddizioni, cerchiamo la coerenza che sempre emerge dalla ricerca di senso, per Sè, per le proprie vite, per le cose che si fanno. Sommersi dal non senso siamo in costante sofferenza, perché percepiamo la difficoltà a dare un senso a ciò che non ce l'ha, in particolare se si riflette sulle cose del mondo e le tante crisi, in primis quelle ambientali e consumistiche, che sperimentiamo e delle quali siamo anche responsabili. La domanda sbagliata da porsi è dove si trovi il senso di cui abbiamo bisogno. Inutile anche chiedere indicazioni, si finirebbe per esacerbare persone anch'esse alla costante ricerca di senso e di persone a cui chiedere dove si trovi. Non rimane che partire da sè stessi, dal linguaggio, ridando un senso alle parole (lo dice anche Papa Leone XIV), ridare senso alla propria vita (non quella digitale), vivere, amare, ammirare la bellezza, ribellarsi, ecc. ecc., in una parola esistere.

Il pudore appeso a un filo

Il pudore come oggetto vintage che striscia tra gli stendini, si appende con due mollette blu e resta lì, come un manifesto non firmato della nostra identità.
Ci ricorda che non tutto ciò che può essere mostrato deve necessariamente esserlo.
Che c’è bellezza anche nel mistero, nell’intimità che sceglie il buio per asciugarsi.

Virtute siderum tenus

Guardare le stelle non è solo un atto contemplativo. È un gesto di ricerca, una domanda silenziosa rivolta al cosmo e, al tempo stesso, a noi stessi.

Bauli e Labirinti, Labirinti e Bauli

Grazie al baule-labirinto si naviga nella complessità, dentro la transdisciplinatierà delle conoscenze e dei saperi che il baule racchiude. I suoi contenuti non sono esoterici, sono per tutti, non sono anonimi, tutti hanno un autore, raccontano le sue storie ed esperienze, il suo vissuto, le sue conoscenze e i suoi saperi. Per accedere al baule e frugarci dentro non bisogna essere dei guru, degli esperti, dei sacerdoti laici, tutti possono avere la possibilità (opportunità) di coglierne i “connotati” conoscitivi dei contenuti disponibili, connessi all’esperienza di chi li ha generati.

Chi ha paura di Franz Anton Mesmer?

Mesmer fondò a Parigi una Società dell'Armonia costituita come una società segreta i cui aderenti dovevano pagare una cospicua quota. Erano medici assai facoltosi ma anche persone dell'alta società e Mesmer, che fino ad allora aveva vissuto modestamente separato dalla sua ricchissima moglie, divenne benestante. Guarì anche persone famose che scrissero favorevolmente su di lui. La fortuna sembrava essere giunta dopo tante peripezie. Ma nel 1784, il governo ordinò un'inchiesta e La Societé Royale nominò una commissione di nove scienziati per formulare un ultimo giudizio sul suo lavoro e la sua teoria.

Il peso della leggerezza: quando ridere non è solo una questione di superficie

Ridere è una di quelle azioni che facciamo senza pensarci troppo. Un gesto semplice, spontaneo, quasi automatico. Ma dietro quella leggerezza si nasconde qualcosa di più complesso. Perché non tutte le risate sono uguali, e non tutte ci portano nello stesso posto. C’è la risata che ci distrae e quella che ci rivela qualcosa. La differenza? Sempre la stessa: il significato che scegliamo di darle.

Marilyn Monroe, la donna oltre il mito

Marilyn Monroe è stata una delle attrici più famose del cinema della golden age di Hollywood. È stata una delle donne più ammirate del mondo per la sua grande bellezza. È stata anche una delle donne più sfruttata e strumentalizzata come vedremo.

Il sentimento del reale: non addomesticare il leone

Il sentimento del reale: con quest’espressione Donald Winnicott – lo psicoanalista che ha cambiato il nostro modo di pensare che cos’è un bambino, il significato della violenza delle emozioni, come diventare sé stessi – apre a una dimensione dell’esperienza che riguarda il sentirsi vivi. Il volume contiene scritti inediti di Winnicott, scelti tra quelli più in sintonia con le inquietudini del nostro tempo. Ne emerge un Winnicott determinato a proporre le novità che ritiene di avere introdotto nella psicoanalisi: il “primitivo” nella formazione della psiche, l’inconscio come inesauribile riserva di energie, le affinità con il lavoro degli artisti che attingono all’immaginazione per conquistare il sentimento del reale.

Navigando e vagabondando

Una riflessione sull’iniziativa della Stultiferanavis associata alla scelta di navigare vagabondando, con l’invito a tutti gli spiriti liberi di salire a bordo (“Via sulle navi […] c’è ancora un altro mondo da scoprire! […]” direbbe Nietzsche). L’invito è a salpare per lasciarsi indietro il paesaggio desolante a cui ci siamo assuefatti, per provare a ridare dignità a un intelletto sempre più ridotto al semplice computare, per mettersi alla prova in un viaggio non facile, in compagnia di altre presone in carne e ossa, sfidando onde e tempeste. Ci si imbarca, si sale a bordo, ci si mette in mare senza sentirsi obbligati a tornare, neppure se e quando si dovessero incontrare delle tempeste. Che senso avrebbe infatti pensare di tornare dopo che ormai si è partiti. Conta molto di più alzare lo sguardo e vagabondare sulle onde, con consapevolezza, determinazione e coraggio.

Vedere i margini

Il successo, così come viene descritto nelle nostre comunità professionali, ha sempre avuto qualcosa di equivoco. Lo abbiamo rincorso come misura dell’efficienza, del talento, della capacità di portare risultati. Eppure, più ne parliamo, più mi sembra evidente che il suo stesso concetto abbia generato un cortocircuito. Quando lavoro con team di sviluppo, con project manager, con chi si occupa di trasformazione digitale o di coaching Agile, sento spesso parlare di “valore”, di “output”, di “riconoscimento”. Ma raramente si mette in discussione la cornice che definisce tutto questo. È come se ci muovessimo tutti all’interno di un acquario, certi di avere il pieno controllo del nostro nuoto, mentre ignoriamo le pareti di vetro che ci contengono.

Il sapere è sparso ovunque e, spesso, ci passa accanto senza fermarsi

C’è una malinconia sottile che accompagna chi cerca di pensare nell’epoca del rumore. Non una tristezza patetica, ma quella forma strana di lucidità che si prova quando si guarda troppo a lungo una stanza vuota e ci si accorge che qualcosa manca, anche se non si sa bene cosa. È da lì che nasce questa riflessione, scritta in un’ora incerta, quando la luce non è più giorno ma non è ancora sera. Non ha pretese, se non quella di offrire un piccolo varco nel muro compatto delle risposte automatiche. È una passeggiata interiore tra ciò che resta dell’arte, della conoscenza e del silenzio, in un tempo che sembra aver perso il senso del limite. Fulcenzio Odussomai, che scrive queste righe non per insegnare ma per continuare a cercare, sa bene che ogni parola è una provvisoria tregua nel caos, un gesto di resistenza contro la vertigine del troppo.

try { meaning } catch(error) { virtue }

In questo dialogo immaginario fuori dal tempo, Fulcenzio Odussomai – filosofo apocrifo e artigiano del pensiero – incontra due figure emblematiche della storia del digitale: Alan Turing, matematico visionario, e Steve Wozniak, ingegnere creativo e giullare del silicio. Ne nasce una conversazione inattesa, intensa e ironica, dove l’errore non è più un nemico ma un maestro, un varco, una soglia di comprensione. Tra aforismi, confessioni e intuizioni, il bug si trasforma in figura simbolica della condizione umana e della progettazione consapevole. Un dialogo sul fallimento come forma di conoscenza, e sul codice come metafora dell’esistenza.

Il tempo è adesso. Grazie, Papa Francesco

Oggi ho deciso di scrivere al Papa. Non solo per omaggiarlo, ma per ringraziarlo. Ora che ha lasciato questa vita terrena, sento il bisogno profondo di raccogliere il testamento civile che ci ha lasciato con le due encicliche Laudato si’ e Laudate Deum. In un mondo in fiamme – con 56 guerre in corso, una crisi climatica ignorata, e una società sempre più anestetizzata – ha avuto il coraggio di dire la verità con la forza mite della sua voce. «Tutto è connesso.» «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.» «La contemplazione della bellezza ci porta a uscire da noi stessi.» Parole che ci interrogano e che restano. ✍️ Ho trasformato queste riflessioni in una lettera aperta. È un gesto di memoria, ma anche un invito a non perdere la direzione.

Libertà è partecipazione

Non c’è nulla di più importante della Libertà e su questo credo che possiamo essere tutti d’accordo, ma è fondamentale comprenderne il vero senso e capire che quando si parla di Libertà s’intende qualcosa che deve appartenere a tutti indistintamente e, per questo motivo, è ovvio che, pure se può sembrare una contraddizione, non può esistere vera Libertà senza il rispetto delle regole.

L’eredità di Bergoglio: l’uomo al centro, anche nell’era dell’Intelligenza Artificiale

Se c’è una frase che mi ha folgorato negli ultimi anni, mentre cercavo di conciliare il mio amore per la tecnologia con la mia ossessione per un futuro più umano, è stata quella di Bergoglio al G7: “𝑳’𝒖𝒐𝒎𝒐 𝒏𝒐𝒏 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒊 𝒄𝒊𝒃𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒈𝒐𝒓𝒊𝒕𝒎𝒊”. Oggi, mentre il mondo piange la sua scomparsa, voglio ricordarlo così: come il Papa dell’Innovazione, il primo Pontefice tech-aware che ha osato mettere in guardia i potenti sull’IA con la stessa urgenza con cui parlava di povertà e guerre.

L'eredità letteraria di Papa Francesco

Durante la giornata di ieri ho letto post meravigliosi in memoria di Papa Francesco. Ma oggi vorrei ricordarLo attraverso la Sua profonda passione per la poesia ✍️ e la letteratura, testimoniata dall'opera "Viva la poesia!", curata da Antonio Spadaro per le Edizioni Ares.