TESTI
Un antropologo di fronte all’evoluzione dell’IA
Mi sembra che spesso il dibattito sull’IA, dopo un inizio promettente, si faccia di giorno in giorno, nel classico scontro “bipolare” fra favorevoli e contrari, sempre meno ricco di idee e sempre più appesantito da pensieri stereotipati che ben poco sono in grado di aggiungere di significativo al dibattito stesso. Poche sono le eccezioni, alcune recenti fortunatamente intercettate da Stultiferanavis, che ho letto con estremo interesse e che in alcuni casi ho anche commentato con l’umiltà dell’anziano che ha vissuto fin dall’inizio della sua storia l’evoluzione della tecnologia informatica, di cui sono figli e nipoti la rete di internet, i social media e, in ultimo, almeno fino a questo momento, l’IA stessa con le sue applicazioni virtuali e materiali.
Chi è l’uomo? Tracce di una domanda inquieta.
Alla fine della sua tesi complementare sull’Antropologia dal punto di vista pragmatico di Kant, Michel Foucault pone una serie di domande che, più che concludere un lavoro accademico, aprono una linea di frattura. Ci si chiede, in quelle pagine, se sia possibile pensare un sapere sull’uomo che non presupponga già una struttura metafisica del soggetto; se la finitezza, tanto centrale nel pensiero moderno, sia davvero un fondamento o piuttosto un effetto; se l’antropologia possa costituirsi come una scienza critica, senza diventare una nuova teologia secolarizzata del soggetto.