C'era una volta, in una città fatta di cemento e fretta, un uomo di nome Enrico. Enrico aveva un problema: la sua vita era infestata dai Dovrei. Dovrei andare in palestra, Dovrei risparmiare.
Dovrei essere più estroverso, più felice, più... qualcos'altro. La sua casa era piena, in ogni angolo, di Dovrei non realizzati: una cyclette impolverata, libri di finanza mai aperti, numeri di ragazze che non aveva mai chiamato, pentole a vapore per cucinare sano, mai usate, e via dicendo. Ogni mattina, Enrico si alzava e, prima ancora di bere il caffè, sentiva lo scherno di tutti i Dovrei che lo guardavano, accusatori, dai vari punti della casa in cui si erano ormai fin troppo ambientati.
Poi uscivano dai loro rifugi notturni, saltellando, come piccoli gnomi invisibili che gli tiravano la manica e gli canticchiavano all'orecchio: "Non stai facendo abbastanza, sai fare solo promesse che non mantieni, sei un chiacchierone inaffidabile, blablabla blablabla". Un giorno, sovrappensiero per qualche nuovo Dovrei che stava cercando di identificare, Enrico sbagliò strada mentre andava a lavoro, e si ritrovò, senza accorgersene, su una via che non conosceva.
Non fece in tempo a rendersene conto che la strada si fece sempre più stretta; così, era difficile fare manovra per ritornare indietro. Proseguì alla ricerca di uno slargo ma finì su un sentiero ancora più angusto, non più asfaltato, sconnesso e pieno di curve. Provò ad attivare il navigatore ma non si avviava. Mentre cercava di capire dove fermarsi per svoltare e riprendere la direzione, l'auto addirittura si spense.
Era in panne, e pure il cellulare decise di scaricarsi totalmente. A Enrico venne un po' di ansia. Per fortuna, si accorse che, poco più avanti, in fondo al sentiero, c'era una casetta. Ci arrivò a piedi e bussò alla porta. Aprì una vecchia signora."Chi sei?", gli chiese. "Sono Enrico" rispose lui. E non si sa come nè perchè, gli venne di istinto specificare: "Sono Enrico, quello dei Dovrei". La signora sorrise. Le rughe le si disegnarono intorno agli occhi, come i rami di un albero secolare. "Allora sei nel posto giusto", disse. "Qui vendiamo i Non-Dovrei". Enrico la guardò, confuso. "E come funzionano?". "Non funzionano", rispose la signora, "sono fatti per non funzionare. In pratica, puoi semplicemente smettere di fare, smettere di rincorrere, smettere di sforzarti di essere chi non sei.
Ecco, tieni, prendi intanto questo Non-Dovrei qui, è un campione omaggio, così vedi come ti trovi". Enrico prese l'omaggio, ringraziò e salutò. Si dimenticò di chiedere aiuto per la macchina e decise di tornarsene a casa a piedi.
Chiamò a lavoro, riferì che non stava bene; lasciò lì dov'era l'auto, che si rese conto fosse in un punto dove in realtà non era di ingombro (prima il sentiero gli era parso molto più stretto), pensò che ci avrebbe poi, con più calma, mandato un carro-attrezzi (tanto lavorava per un'assicurazione, era agevolato). Si incamminò, per poi svoltare l'angolo e scoprire di essere praticamente già a casa. Si controllò la tasca e verificò di avere quel Non-Dovrei.
Si prese il tempo per guardarlo meglio: era piccolo, leggero, quasi trasparente. Quando rientrò, e gli gnomi dei Dovrei naturalmente subito cominciarono a rumoreggiare, lui tirò fuori il suo Non-Dovrei e lo mise sul tavolo. Poi se ne tornò a letto, a fare un pisolino, sentì che ne aveva davvero molto bisogno. Si svegliò dopo diverse ore, era già pomeriggio inoltrato. C'era qualcosa di strano, molto strano, ma cos'era? Gli venne da chiamarla "pace". Dov'erano gli gnomi?
Si guardò in giro: la cyclette era ancora impolverata, i libri erano ancora lì, tutto era dove lo aveva lasciato. Ma erano solo oggetti, non accusavano nè deridevano nessuno. Enrico sentì ancora una strana sensazione, ci mise qualche istante per decifrare cosa fosse, poi ecco, arrivò chiarissimo: era un desiderio, piccolo ma intenso, il desiderio di uscire a fare una passeggiata. Non c'erano Dovrei dietro a cui il desiderio si nascondeva: nè un Dovrei essere più in forma, nè un Dovrei evitare la noia, ma nemmeno nessun altro Dovrei, c'era solo ed esclusivamente il piacere di andare a passeggiare.
E niente... Lasciamo Enrico alla sua vita. Magari noi diciamoci che la scontata morale di questa storia non è che dobbiamo smettere di fare le cose ma che, a volte, la cosa più coraggiosa, più semplice, e piu salutare che possiamo fare, è smettere di vivere lassù nel mondo delle idee e scendere giù, nel mondo reale, dove possiamo essere reali anche noi, con i nostri limiti, le nostre difficoltà, i nostri desideri, le nostre risorse, i nostri bisogni, le nostre paure, eccetera eccetera. Insomma, la morale della storia è che non siamo robot, e che dobbiamo accettare di essere umani, tutto qui.
Peraltro la cosa potrebbe persino piacerci, anzi, io ci scommetterei.