Go down

La coda al supermercato. Un non-luogo, un non-tempo. Un limbo dove l'umanità si condensa in una fila di carrelli, stracolmi o stravuoti, e sguardi persi, o fissi su cellulari (che più o meno è la stessa cosa), a scandire un'attesa che valutiamo sempre troppo lunga.


Eravamo lì, in un pomeriggio di luglio che prometteva temporale ma regalava solo un'afa appiccicosa. Davanti a me, una signora anziana con un cestino contenente un litro di latte, un pacco di biscotti e un quotidiano spiegazzato. I suoi capelli grigi, raccolti in uno chignon un po' sbilenco, sembravano raccontare storie di giornate solitarie; non so perché me la immaginavo in una casa, da sola coi suoi tre gatti, ma mi sembrava strano non avesse acquistato cibo per loro, quindi rimisi in discussione la mia fantasia. Ogni tanto la signora si voltava, con un'espressione severa, forse imbronciata - non capivo bene - supposi fosse dovuta ad una sorta di disapprovazione per il suo posto in quella processione che non dava giustizia alla sua spesa minimale; quell'attesa, lei no, non la meritava, questo mi immaginavo volesse comunicare senza parole. Se fosse stata dietro a me, probabilmente l'avrei fatta passare, non per senso di giustizia - avevo anch'io poche cose - e nemmeno per rispetto verso l'età (mi pareva un gesto superfluo, era in forma, a vederla, chissà anzi che avrebbe pure potuto offendersi per la precedenza in quanto "anziana"). Però l'avrei fatta passare per quel suo sguardo scontroso dietro a cui intravedevo tanta tristezza. Probabilmente mi sbagliavo, come a immaginarmi i suoi tre gatti. Decisi di dirottare la mia curiosità sul ragazzo dietro di me (trentenne, direi, insomma per me un fanciullo): cuffie, pollice veloce sullo schermo del telefono, nel carrello bibite e surgelati monoporzione che promettevano cene veloci e senza pensieri. Non alzava lo sguardo, non un cenno che si fosse accorto di essere "spiato". Era lì, ma forse non c'era.

In una coda, si annidano frammenti di esistenze, si riuniscono tragedie e storie liete, senza che nessunə sappia, o forse d'improvviso si svelano in un gesto

Io osservo. È una deformazione professionale, forse, o semplicemente la curiosità innata per le pieghe del reale; a pensarci, direi entrambe (che poi vanno a braccetto e si caricano a vicenda). Una coda, per me, è come visitare una mostra di artistə di cui non so nulla e cercare di entrare nel loro mondo, per comprenderlo, senza giudizio (non mi aggiungerebbe nulla, invece mi toglierebbe l'allenamento di uno sguardo, desideroso sì di cogliere un senso, ma con equanimità). In una coda, si annidano frammenti di esistenze, si riuniscono tragedie e storie liete, senza che nessunə sappia, o forse d'improvviso si svelano in un gesto, in un sospiro, in una frase abbozzata, o in una improvvisa valanga di parole perché quella persona, in quel momento, non può che confessarsi, a voce alta, e segnalare cosa sta passando, come a chiedere almeno uno sguardo dedicato, almeno un cenno di empatia, almeno un "mi dispiace, condoglianze".

La cassiera, una ragazza giovane con gli occhi stanchi e un sorriso che sembrava più un tic nervoso, scorreva i prodotti con una velocità quasi meccanica. Bip. Bip. Bip. Ogni suono un passo in avanti, un'illusione di progresso (intendo, meno tempo da aspettare ancora. No, forse non intendevo solo questo). La signora anziana, a un certo punto, tossì. Una tosse secca, quasi timida. Nessuno ci fece caso. Il ragazzo dietro di me continuava a scrollare lo schermo. La signora tossì ancora, e si vedeva che cercava di trattenersi, come per non disturbare. Sentii l'impulso di chiederle se avesse bisogno di un po' d'acqua, magari andavo a prendergliela. Ma la parola mi morì in gola. Non so se perché non tossì più. Era più come se un velo invisibile ci separasse, un'etichetta non scritta sembrava imporre il silenzio, l'isolamento di ciascunə nella propria bolla di attesa. Per un attimo, fantasticai anche sulla voce dell'altoparlante che diffondesse l'annuncio "Sì ricorda ai clienti di non interagire più del consentito con le altre persone che fanno la spesa, in particolare di non rompere le... ehm... bolle di attesa, in cassa. Grazie".

Condividevamo lo stesso spazio, la stessa aria condizionata infastidiva senza distinzioni le gole scoperte, anche di chi non se ne rendeva conto, eravamo accomunatə dallo stesso destino di dover pagare per il nostro sostentamento.

Eravamo vicinə, ma distanti anni luce.

Quando fu il turno della signora, la cassiera le chiese, con un tono neutro, se avesse la tessera. Lei scosse la testa e, in un moto di fierezza, aggiunse: "No, signorina, io non le capisco queste cose." E vai, le aveva dato il gancio, poteva nascere una piccola conversazione (in un attimo la mia memoria andò alle chiacchiere quotidiane di quando ero piccola, col fornaio, poi con la fruttivendola, e quando si aggiungeva la tappa, anche con il gelataio, tutti nella via sotto casa). La cassiera non raccolse l'invito, annuì, senza battere ciglio, e passò al conto. Quindici euro e trenta. La signora tirò fuori un astuccio di stoffa e con dita un po' tremanti contò e ricontò le monete, una per una. Un gesto antico, in un mondo che correva troppo veloce per contare spiccioli. In quella coda più occhi in contemporanea si alzarono al cielo (ma quale cielo?) e ricaddero sulla scena, contrariati e nervosi. Avevano forse perso cinquantotto secondi circa a pazientare per la conta degli spicci.

Uscii dal supermercato con la mia spesa, il temporale non era ancora arrivato. Ma l'aria era più pesante, carica di una consapevolezza amara. La coda, quel pomeriggio, mi aveva spiattellato in faccia un pezzo di verità che non mi piace, a cui però avevo partecipato senza proferire parola.


Pubblicato il 29 luglio 2025