È la pace della sera che ci annuncia il giungere della notte. (E. Minkowski)[1]
1933, École pratique des Hautes Études di Parigi.
Koyré[2] lascia la cattedra di filosofia delle religioni all’improvviso, per l’università del Cairo, e propone Alexandre Kojève[3] come supplente. Saranno sei anni che non saranno dimenticati; le lezioni sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel incideranno profondamente sul pensiero filosofico e intellettuale francese:
Nelle aule dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes Kojève lesse e interpretò Hegel in maniera senza dubbio étonnante, trasformando il testo hegeliano in un’antropologia filosofica e la dialettica hegeliana in una pratica politica rivoluzionaria, davanti a un pubblico esterrefatto e al tempo stesso grandemente affascinato e che annoverava fra i suoi nomi, come si desume dall’annuario dell’Ecole, Jacques Lacan, Georges Bataille, Maurice Merleau-Ponty, Raymond Queneau, Gaston Fessard, Eric Weil, Raymond Aron, Georges Gurvitch, Jean Hyppolite, Robert Marjolin, a volte André Breton e una volta anche Hannah Arendt[4].
Fino al 1933, eccezion fatta per la Coscienza infelice nella filosofia di Hegel[5] pubblicata da Jean Wahl[6] nel 1929, Hegel non aveva trovato, in Francia, un terreno accogliente e fecondo: solo nel 1945 Simone de Beauvoir, a riguardo, scriverà «avevamo scoperto la realtà e il peso della storia; ora ci interrogavamo sul suo significato»[7]. Cosa era cambiato? La spiegazione di questa fiammata hegeliana la fornisce, in modo convincente, Judith Butler nel suo Soggetti di desiderio[8], individuando nel contesto storico segnato dal conflitto mondiale una chiave interpretativa cruciale: «Se la mia indagine dovesse rientrare nella sociologia della conoscenza, dovrei allora indagare circa le condizioni storiche legate alla Seconda guerra mondiale in Europa, condizioni che indussero a quel tempo una svolta entusiastica nei confronti di Hegel». In questo contesto, Butler individua nel pensiero di Hegel una «visione espressa dalla fenomenologia di una soggettività attiva e creativa, di un soggetto in viaggio rafforzato dal lavoro di negazione» che costituisce «una fonte di speranza durante quegli anni segnati da una crisi sia personale sia politica». In particolare, la filosofa sottolinea come Hegel fornisca «un modo di discernere la ragione nel negativo, ossia di far derivare un potenziale trasformativo da ogni esperienza di fallimento» evidenziando come «la Fenomenologia di Hegel continuava a dar spazio a una concezione della negazione come principio creativo». Infatti, secondo Butler, «il negativo equivaleva anche alla libertà e al desiderio umano, alla possibilità di creare di nuovo; il nulla [nothingness] a cui la vita umana era stata consegnata, quindi, coincideva nello stesso tempo con la possibilità del suo rinnovarsi». Possiamo comprende, allora, la potenza, in quel contesto storico, di un pensiero in cui «il negativo si manifesta, in termini hegeliani, non come mera morte, ma come continua possibilità del divenire».
La lettura di Kojève della Fenomenologia è una lettura assolutamente personale: partendo dall’assunto hegeliano secondo cui «l’oggetto dell’analisi filosofica è parzialmente costituito dall’analisi stessa, Kojève analizza Hegel non in quanto figura storica dall’esistenza completamente indipendente, ma, piuttosto, come proprio compagno dell’incontro ermeneutico in cui entrambe le parti vengono trasformate rispetto la loro posizione primigenia»[9]. Il contesto storico-sociale è la luce sotto la quale una nuova dimensione della Fenomenologia prende forma; l’influenza di Heidegger e degli studi che lo stesso Kojève aveva affrontato con Jaspers, nel suo periodo in Germania, partecipano a questa nuova interpretazione, tanto da permettere che venga percepita come un’interpretazione fenomenologico-esistenziale[10]. Al centro, il soggetto concreto come fulcro dell’analisi, un soggetto che si determina proprio alla luce della dialettica servo-padrone, un soggetto che agisce nel mondo: «La Fenomenologia letta da Kojève assume pertanto la forma di un’antropologia storica che descrive l’uomo nel suo divenire»[11].
Il divenire dell’uomo sarà un concetto fondamentale per articolare, e prima fondare, il tema del desiderio e, di conseguenza, del riconoscimento. Ma non solo. Il divenire kojèviano, questo movimento incessante che caratterizza l’umano, questo passaggio che presuppone un non ancora, e come tale una mancanza, e il movimento per raggiungerlo, alla luce anche dell’Heidegger di Essere e Tempo, è ciò che sarà per Sartre il fondamento stesso della libertà: la non coincidenza di sé con se stesso, questa mancanza ontologica, questa propria mancanza d’essere, costituisce per Sartre ciò che lo porta a dire «Quello che noi abbiamo espresso in termini di mancanza può esprimersi in termini di libertà. Il per-sé sceglie perché è mancanza, la libertà è tutt’uno con la mancanza, è il modo concreto della mancanza di essere. […] L’uomo è fondamentalmente desiderio di essere»[12].
E un processo è anche, soprattutto, quello indicato da Hegel quando individua la Natura e la Storia come due momenti di una unità in divenire e il Reale nel suo movimento dialettico, ed è a partire da questo unicum, dove natura e storia sono solo formalmente differenziate, che Kojève opera il suo distacco: «per Hegel natura, vita, spirito, storia non sono termini antitetici, ma determinazioni dialettiche dell’universale e la natura è lo Spirito non ancora cosciente di sé, che tramite il processo della vita intraprende un cammino, la propria storia, che lo porterà al sapere assoluto»[13] mentre per Kojève «il mondo naturale, nel quale l’uomo ha esistenza solo come animale, è l’origine incancellabile e tutta terrena che il soggetto deve aufheben per distinguersi dall’animale e costruirsi il proprio mondo»[14].
quando l’uomo è diventato uomo e si è distinto dall’animale?
La domanda di fondo, attraverso cui Kojève legge e quindi interpreta la Fenomenologia, è allora: quando l’uomo è diventato uomo e si è distinto dall’animale? quale è stato il gesto, l’atto che lo ha determinato come tale? Secondo Lanzillo, affrontare il concetto di uomo permette di comprendere tutti gli altri concetti hegeliani, perché, con le parole di Kojève,
Si può dire che la filosofia di Hegel abbia un carattere dialettico perché cerca di render conto del fenomeno della Libertà o, che è lo stesso, [...] dell’Azione umana cosciente e volontaria; oppure, che è ancora lo stesso, perché vuol rendere conto della Storia. Insomma, questa filosofia è «dialettica» perché vuole rendere conto del fatto dell’esistenza dell’Uomo nel Mondo, rivelando o descrivendo l’Uomo com’è realmente, e cioè nella sua specificità irriducibile o in quanto essenzialmente differente da tutto ciò che è soltanto Natura[15].
L’uomo di Kojève è capace di trasformare il mondo naturale in mondo proprio, è capace di agire creativamente, di modificarsi: «Siamo così di fronte a una lettura della Fenomenologia come fosse un testo di antropologia filosofica, poiché protagonista di quelle pagine diventa un’umanità che si converte, che diviene altro da sé»[16]. L’uomo di Kojève «è nato, e la Storia è cominciata, con la prima Lotta che porta all’apparizione di un Signore e di un Servo»[17]; non è un animale perché nella sua lotta trova il suo orizzonte: la richiesta imperativa di riconoscimento, il suo essere desiderante non di un oggetto, come gli animali, ma del desiderio stesso dell’Altro, di essere riconosciuto come uomo. Il quarto capitolo della Fenomenologia è l’origine di questa concezione antropologica dell’azione umana, ed è qui che il lavoro ermeneutico di Kojève trova il suo luogo d’elezione, dove «le strutture del desiderio, dell'azione, del riconoscimento e della reciprocità si rivelano come condizioni dell'esistenza storica a livello universale. Per Kojèv la Fenomenologia realizza il telos della cultura occidentale giacché dà inizio a una concezione antropocentrica dell'esistenza storica. [...] Il telos della storia era quello di rivelare le strutture che rendono la storia possibile»[18].
Il Tempo (vale a dire il Tempo storico, con il ritmo: Avvenire → Passato → Presente) è dunque l’Uomo nella sua realtà integrale empirica, cioè spaziale: il Tempo è la Storia dell’Uomo-senza-il-Mondo. Infatti, senza l'Uomo non ci sarebbe Tempo nel Mondo; una natura che non ospitasse l'uomo sarebbe solo uno Spazio reale. Certo anche l’animale ha dei desideri, in funzione dei quali agisce, negando il reale: mangia e beve, proprio come fa l’uomo. Ma i desideri dell’animale sono naturali: si rivolgono verso ciò che è, e ne sono determinati; […]. Nel suo insieme, cioè nella sua realtà, l’Essere non viene modificato da questi desideri «naturali», non muta essenzialmente in funzione d’essi: resta identico a se stesso, ed è quindi Spazio, non Tempo. Certo, un animale trasforma l'aspetto del Mondo naturale in cui vive. Ma muore, e rende alla terra quel che ha preso. […] l’Uomo, invece, trasforma il mondo essenzialmente mediante l’Azione negatrice delle sue Lotte e del suo Lavoro; e quest’azione nasce dal Desiderio umano non-naturale che si rivolge verso un altro desiderio, cioè verso qualcosa che non esiste realmente nel Mondo naturale[19].
Se il destino dell’essere umano è «di non essere ciò che è (in quanto essere statico e dato, in quanto essere naturale, in quanto carattere innato) ed essere (ossia, divenire) ciò che non è»[20], se, in altre parole, l’Io «è divenire intenzionale, evoluzione voluta, progresso cosciente e volontario. È l'atto di trascendere il dato che gli è dato e che esso stesso è»[21], allora possiamo comprendere come gli esseri umani siano Tempo, imperituramente proiettati verso il non ancora, costante superamento di sé. E possiamo comprendere quale tempo intenda Kojève: «il tempo vissuto, l'esperienza del tempo condizionato dal modo con cui gli agenti creano, attraverso le loro speranze, paure e memorie, un'esperienza specifica del futuro, del presente del passato. L'esperienza del desiderio, in particolare, fa emergere l'avvenire (futurity): “il moto generato dall’Avvenire è il moto generato dal desiderio”»[22]. Già con Bergson avevamo compreso che «la durata reale (o tempo vissuto), (è) intesa come il tempo immanente alla coscienza, come negazione di ogni quantità ovvero come pura progressione qualitativa degli stati psichici di ciascun individuo all’interno della quale si compenetrano tutti gli stati passati»[23] , e Minkowski[24] aveva mostrato che «nel divenire l’io si afferma in quanto personalità vivente»[25], e presentato l’avvenire come inesauribile: «neanche le onde del divenire lo raggiungono; andando verso l’infinito, perdendosi nella lontananza, lasciano al di fuori un margine vuoto e stabile la cui visibilità resta, malgrado il suo allontanarsi, perfetta. È questo margine che ci fa parlare di orizzonte, esso conferisce il suo vero carattere al fenomeno dell’avvenire»[26]. Con Kojève, e la sua lettura di Hegel, cogliamo il senso del Desiderio come «presenza di un’assenza»[27], laddove «il desiderio postula se stesso come vacuità determinata, ossia come vuoto di un qualche specifico oggetto o Altro, è esso stesso una sorta di presenza»[28] e come tale votato al superamento di sé, al divenire: «il desiderio rivela quindi l’essenziale temporalità degli esseri umani»[29].
“Che cosa posso sapere?” “Che cosa devo fare?” e “Che cosa mi è lecito sperare?”
La domanda che si pone oggi, a partire dall’elaborazione di Kojeve, con uno sguardo a Kant e alle sue domande “Che cosa posso sapere?” “Che cosa devo fare?” e “Che cosa mi è lecito sperare?”, allora, è, necessariamente: siamo ancora nella possibilità di desiderare nel momento in cui possiamo avere ogni risposta con un semplice gesto, un invio sulla tastiera, interrogando una delle intelligenze artificiali? Cosa stiamo sperando? Possiamo ancora essere in grado di interrogarci sul “che cosa devo fare”? O arriveremo a interrogare una macchina? Quale risposta potremmo mai trovare alla quarta domanda introdotta da Foucault nel suo lavoro di tesi secondaria per il dottorato[30]? Siamo in grado oggi di comprendere come possiamo avere cura dell’essere umano, questo allotropo empirico-trascendentale? Alla fine, queste domande, le domande, si rivelano ancora attuali e forse ancora più interroganti.
Bibliografia
- Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi edizioni, Milano 1996.
- Butler, Soggetti di desiderio, Editori Laterza, Roma-Bari 2009.
- Dumoulié, Il desiderio. Storia e analisi di un concetto, Einaudi, Torino 2002.
- Filoni Alexandre Kojève, Belfagor, vol. 61, no. 3, Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l, 2006.
- G.F. Frigo, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, Milano 1996.
- G.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Bompiani, Firenze 2019.
- Heidegger, Essere e tempo, ed. Longanesi, Milano 2019.
- M.L. Lanzillo, La dialettica signoria-servitù e il desiderio di riconoscimento. Alexandre Kojève lettore di Hegel, Il Mulino Riviste web, Fascicolo 2, aprile-giugno 2020.
- Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi, Torino 2021.
- Minkowski, Il problema del tempo vissuto, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2017.
- Minkowski, Il tempo vissuto, Giulio Einaudi Editore, Torino 2004.
Note
[1] E. Minkowski, Il tempo vissuto, Giulio Einaudi Editore, Torino 2004, p.156.
[2] Alexandre Koyré, emigrato russo, aveva studiato in Germania frequentando gli ambienti della fenomenologia; trasferitosi a Parigi divenne uno dei maestri francesi della storia filosofica delle scienze, nominato nel 1930 directeur d’études all’Ecole pratique des Hautes Etudes. Cfr. M.L. Lanzillo, Alexandre Kojève, Il Mulino Riviste web, Fascicolo 2, aprile-giugno 2020.
[3] Sulla formazione culturale e filosofica di Kojève cfr. l’importante ricostruzione di M. Filoni, Il filosofo della domenica. La vita e il pensiero di Alexandre Kojève, Torino, Bollati Boringhieri, 2008.
[4] M.L. Lanzillo, La dialettica signoria-servitù e il desiderio di riconoscimento. Alexandre Kojève lettore di Hegel, Il Mulino Riviste web, Fascicolo 2, aprile-giugno 2020, p.235.
[5] In Italia: La coscienza infelice nella filosofia di Hegel, Milano, Istituto Librario Internazionale, 1972.
[6] Jean Wahl (1888-1974) è stato un filosofo francese, professore alla Sorbona dal 1936 al 1967, salvo una drammatica interruzione durante la Seconda guerra mondiale. Allievo di Bergson e Boutroux, ha introdotto in Francia il pensiero di Kierkegaard e di Whitehead, oltre ad aver contribuito al rinnovamento novecentesco degli studi hegeliani. Nel 1946 fonda il Collège Philosophique, per lungo tempo punto di ritrovo del mondo culturale parigino. Filosofo e poeta, il suo pensiero ha notevolmente influenzato lo sviluppo della filosofia francese e molti autori, tra i quali Lévinas, Sartre e Deleuze. Cfr nota in Mimesis edizioni.
[7] J. Butler, Soggetti di desiderio, Editori Laterza, Roma-Bari 2009, p. 68.
[8] Ivi, pp. 69-70.
[9] Ivi, p.70.
[10] Cfr M. Filoni Alexandre Kojève, Belfagor, vol. 61, no. 3, Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l, 2006, pp. 289– 312 e G.F. Frigo, Postfazione a Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, Milano 1996, p.759.
[11] Ivi, p.236.
[12] J.P. Sartre, L’essere e il nulla, Il saggiatore, Milano 1980, p. 726, in C. Dumoulié Il desiderio. Storia e analisi di un concetto, Einaudi, Torino 2002.
[13] M.L. Lanzillo, La dialettica signoria-servitù e il desiderio di riconoscimento. Alexandre Kojève lettore di Hegel, Il Mulino Riviste web, Fascicolo 2, aprile-giugno 2020, p.238.
[14] Ivi, p.237.
[15] A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi edizioni, Milano 1996, p.598-599.
[16] M.L. Lanzillo, La dialettica signoria-servitù e il desiderio di riconoscimento. Alexandre Kojève lettore di Hegel, Il Mulino Riviste web, Fascicolo 2, aprile-giugno 2020, p.239.
[17] A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi edizioni, Milano 1996, p.214.
[18] J. Butler, Soggetti di desiderio, Editori Laterza, Roma-Bari 2009, p.72.
[19] A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi edizioni, Milano 1996, p.461.
[20] Ivi, p.19.
[21] Ibidem.
[22] A. Kojèv, cit., in J. Butler, Soggetti di desiderio, Editori Laterza, Roma-Bari 2009, p.80.
[23] A. Molaro, Il divenire e le «esigenze dell’essere. Minkowski fra etica e psicopatologia, in E. Minkowski, Il problema del tempo vissuto, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2017.
[24] È interessante notare che Minkowski pubblicò, con fondi propri, il suo Le temps vécu per la prima volta a Parigi nel 1933, presso l’editore D’Artrey.
[25] E. Minkowski, Il tempo vissuto, Giulio Einaudi Editore, Torino 2004, p.42.
[26] Ivi, p.78.
[27] A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi edizioni, Milano 1996, p.457.
[28] J. Butler, Soggetti di desiderio, Editori Laterza, Roma-Bari 2009, p.80.
[29] Ibidem.
[30] Cfr. M. Foucault, Introduzione a I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, Einaudi, Torino 2021.