Indice della serie: Di opere d’autore, autori e trasformautori
- Introduzione
- Epistemologia dell’opera d’autore (qui)
- Autore, sostantivo plurale (qui)
- L’AI come autore trasformatore o trasformautore (qui)
Introduzione
In questi giorni il tema dell’autorialità è stato portato in primo piano dal caso del libro “Hypnocracy”, dopo le recenti rivelazioni pubbliche sull’identità di Jianwei Xun e sul processo che ha portato alla pubblicazione. L’operazione orchestrata da Andrea Colamedici (come ormai sanno tutti) rappresenta un caso eclatante di autorialità dubbia se non proprio problematica, e, secondo alcuni, perfino scorretta.
Allargando lo sguardo, il tema è di importanza fondamentale nella riflessione sulle prerogative umane, alimentata dall’interazione con l’AI generativa, ed è oggetto di dibattito, anche acceso, in molti ambiti professionali. Infatti, il tema si intreccia con la paura legittima di vedere sempre più ridotto l’ecosistema di senso di cui vorremmo essere protagonisti, e dal quale derivano prosaicamente le opportunità lavorative che impattano la nostra personale economia.
Altro tema collegato è la tutela del diritto d’autore, il riconoscimento della poetica e del genio di artisti (vedi il caso dello Studio Ghibli e di Miyazaki, di cui ho scritto qui), e, pur con le dovute differenze, la difesa della propria identità che riguarda tutti noi.
Tuttavia, se l’Intelligenza Artificiale alza la temperatura del dibattito attuale su questo tema, non possiamo trascurare quanto fosse aperto a interpretazioni rivoluzionarie molto prima. Michel Foucault, filosofo e storico francese, studioso dei rapporti tra potere, sapere e società, ha scritto nel 1969 il celebre saggio “Che cos’è un autore?”. Foucalut aveva abbandonato l’idea romantica dell’autore che garantisce il senso dell’opera, per mostrare che le strutture che ne regolano il senso (il linguaggio, i codici, i discorsi) non sono nemmeno universali o eterne. Da post-strutturalista, le considera storicizzate, contingenti, mobili, e spesso prodotte dal potere: “Il senso di un testo si genera nelle reti del discorso, non nella mente di un individuo”.
Restando a “Hypnocracy”, tra i tanti temi trattati nel libro, quello dell’identità e del ruolo dell’autore (le due sono distinte ma legate tra loro, come vedremo più avanti), sono stati trattati col libro. Il libro, cioè, insieme a tutto il processo di generazione e pubblicazione, costituisce esso stesso un “esperimento meta-narrativo” per rilevare e comprendere la complessità epistemologica dell’opera, dell’autore e del processo autoriale. Un esperimento obiettivamente molto riuscito, di cui avevo già scritto qui e qui.
Sempre in questi giorni, si è aggiunto anche il caso di Claudio Cerasa e de “Il Foglio AI”, “il primo quotidiano al mondo realizzato interamente con l’intelligenza artificiale”, con la pubblicazione del resoconto dell’esperimento, in forma di (auto)intervista tra lui e l’AI. All’inizio del 2025, l’AI è stata utilizzata in ogni aspetto della redazione del giornale, e ha assunto pienamente il ruolo autoriale, riferisce Cerasa, mostrando perfino caratteristiche prettamente umane, che l’intervista stessa fa trapelare. Ciò nonostante, nel resoconto vengono anche rimarcati i limiti e l’inaffidabilità, e quindi la necessità di una collaborazione con l’umano per arrivare ad un risultato di qualità.
Le parole di Cerasa sono a dir poco entusiastiche, ma hanno trovato echi positivi in tutto il mondo, dimostrando che una maggiore consapevolezza del processo generativo assistito dall’AI, ridimensiona la reazione negativa di paura e rifiuto, e apre invece a nuove prospettive da esplorare. Anche in questo caso l’opera, ovvero il giornale “Il Foglio AI”, è stata veicolo di una meta-narrazione sull’impatto dell’AI nel mondo del giornalismo, e la funzione autore è stata interpretata dal giornalista umano come originatore dell’iniziativa, guida, garante della correttezza delle informazioni, e co-autore insieme all’AI.
Infine, a conferma di quanto il tema sia diffuso anche nella vita quotidiana di tutti noi, in questi giorni mi è stato raccontato un altro episodio. L’autorialità messa in discussione, questa volta, è relativa ad un articolo appena pubblicato in rete e subito rilanciato da una persona con la lodevole intenzione di farne da “curatore”. Questi però ne ha smontato la costruzione esplicativa e narrativa, estraendo alcune frasi e riproponendole appena rimaneggiate, come proprie riflessioni personali. Analizzato il caso con strumenti oggettivi, basati su AI, il grado di sovrapposizione dei concetti è risultato 98%. Alcuni lettori hanno commentato cadendo nell’equivoco, e questo ha generato scuse non richieste e modifiche al post, per quanto eccessive a apparentemente stizzite.
Cito quest’ultimo caso non perché sia stata travisata l’identità dell’autore (il riferimento era presente in modo inequivocabile), ma la costruzione di senso dell’opera, e il ruolo dell’autore. Riprendendo Foucault, la manipolazione ha riguardato il discorso che l’opera voleva sviluppare e aprire ai contributi esterni, del quale l’originatore, con un impegno non trascurabile, si era reso funzione-autore. Da un lato, è stata smembrata l’opera che comprendeva la selezione delle fonti, l’elaborazione, l’architettura della presentazione, il corredo di immagini per rafforzare il messaggio, fino alle modalità scelte per la pubblicazione. Dall’altro, è stata strappata la rete di rimandi agli autori citati e ai lettori, che avrebbero potuto arricchire l’analisi con i loro commenti, com’era nelle intenzioni originali. Il post risultante risulta essere una meta-narrazione imperniata sulla figura del curatore, che si sovrappone alla narrazione originale, non per chiarirne, ma per sottrarne il senso.
In sintesi, guarderemo tre esempi di opere d’autore che sollevano tutte la questione dell’autorialità. In tutti i casi, non è tanto l’identità dell’autore l’aspetto più interessante. Andrea Colamedici ha usato lo pseudonimo Jianwei Xun. Claudio Cerasa ha indicato esplicitamente l’AI come redattore degli articoli del giornale. Nel terzo caso la manipolazione ha riguardato solo parzialmente l’attribuzione dell’articolo all’autore originale.
Invece, in tutt’e tre i casi, il tema portato al centro dell’attenzione, più o meno consapevolmente, è stato quello dell’opera d’autore stessa, della funzione autore, e del patto di fiducia con il lettore circa il senso dei contenuti. Infatti, “Hynocracy” non è solo un libro ma un’operazione complessa che mira a far riflettere sull’uso attuale dello storytelling, attraverso un lbro che ha per oggetto anche il ruolo dell’AI generativa nel costruire la narrazione stessa e nell’attribuzione di senso. “Il Foglio AI” non è solo un giornale ma un’altra meta-narrazione, con analoghe finalità, e con modalità più trasparenti e quindi meno artificiose. Nel terzo caso, il post del “curatore” è ancora una meta-narrazione (anche questa volta intenzionale, ma lasciata occulta) che interferisce con la funzione autore originale, deviandola e togliendo senso all’articolo rilanciato.
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Segue con Epistemologia dell’opera d’autore: qui