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Di psicoterapia, di bellezza e di cambiamento


Sedeva di fronte a me, le mani intrecciate, lo sguardo perso in un punto invisibile della stanza. Era venuta per un dolore che non aveva nome, una crepa che le si era aperta dentro dopo anni di vita impeccabile, di molti sorrisi di circostanza, e di una casa che faceva risplendere ogni giorno. "È come se avessi vissuto in un acquario," mi disse. "Vedevo il mondo, ma non lo toccavo. E soprattutto non mi toccava. Ora - non so come, nè perchè - la parete di vetro si è rotta, e io sono qui, a boccheggiare fuori dall'acqua."

È tornata in seduta, ogni settimana, per tre anni, Elisa. Mi ha raccontato di un'esistenza in cui ogni emozione era stata soppesata, ogni decisione calcolata per non turbare gli equilibri di nessunə attorno a lei. Le piacevano le metafore con l'acqua; un giorno mi disse: "Prima la parete dell'acquario era tra me e il mondo, ora sento più una parete tra me e me, forse una frattura interna, una specie di diga interiore per contenere litri di lacrime non versate". Capimmo insieme che quel bacino di lacrime depositate conteneva le parti di lei che aveva ignorato, svilito, trascurato, per troppo tempo. Iniziammo a esplorare queste parti, a dar loro un nome, a dar loro ascolto, e valore.

Un giorno, Elisa arrivò con un sasso in mano. Un sasso di fiume che aveva trovato, ora che aveva scoperto che le piaceva passeggiare. "L'ho raccolto," mi disse, "e ho pensato che è come me. Un tempo sarà stato roccia ruvida, spigolosa, dai contorni irregolari, poi l'acqua, un pochino alla volta l'ha smussato, levigato, ora è liscio, e credo piaccia molto di più a chi lo vede, ma non è più la stessa pietra di una volta, si è snaturata nel diventare sasso di fiume, molto più simile a tutti gli altri sassi di fiume". Fu un punto di svolta. Avevamo parlato molte altre volte di come Elisa fosse stata la "classica brava bambina", di quelle diligenti, che non danno problemi, che fanno sempre quel che viene loro richiesto. Il giorno in cui mi portò il sasso, pianse tanto, e fu la prima volta, in seduta, la prima volta da anni - mi confessò. Finalmente la diga interna che bloccava le lacrime non occorreva più. Potè dirmi, ma soprattutto dirsi, che quando lei aveva tredici anni, sua madre perse la sorella (sua zia). Da allora, le ripetè quotidianamente: "Hai visto tua cugina? Ha fatto talmente impazzire mia sorella che l'ha fatta ammalare per i dispiaceri e lo stress!".

Posso ridere. E anche se sono sasso, posso essere leggera. So di essere amata

Elisa ricordava benissimo la sofferenza di sua madre, e il rancore che portò sempre alla nipote (solo una povera ragazza rimasta orfana di madre a sedici anni, non certo un mostro, ma una semplice adolescente). Ora potè ricordarsi anche quanto quelle parole di sua madre la terrorizzassero, la invalidassero. Ora potè finalmente rendersi conto di come l'angoscia di procurare altro dolore a sua madre, qualora non fosse stata la figlia "perfetta", avesse bloccato per decenni, sul nascere, ogni suo desiderio, ogni sua esigenza.

Tutto ciò che non era "nel binario", "in regola", "socialmente accettato", Elisa lo ricacciava in un angolino di sè, dove non nuocesse. Ora, con consapevolezza nuova - consapevolezza adulta - potè finalmente scollegare la sua libertà, la sua realizzazione, il suo benessere, dall'angoscia di procurare del male (a sua madre). E questo fu un passaggio fondamentale, preziosissimo.

Da lì, potemmo lavorare poi su come questa angoscia terribile che l'aveva accompagnata così a lungo, con cui era cresciuta, seppur ora scardinata, si portasse dietro, inevitabilmente, altro strascico: anche se non temeva più di far del male a qualcunə, prendendosi cura del suo benessere, adesso si accorgeva chiaramente della sua paura di deludere le persone che l'amavano.

Accompagnai in questa fase, Elisa, mentre si sperimentava in timidi passi che prima mai avrebbe potuto considerare; le chiesi di fare cose per cui si immaginava conseguenze catastrofiche, cose che nella sua testa significavano perdere l'immagine positiva che la sua famiglia aveva di lei: una sera andare a letto prima di marito e figlia, se era stanca, o un pomeriggio passarlo a riposarsi, e magari un weekend decidere di andare via con un'amica, o altre "trasgressioni" così. Man mano che le metteva in atto, Elisa trovava conferma reale che, chi la amava, suo marito, le sue amiche, sua figlia, non metteva affatto in discussione la stima per lei, men che meno l'affetto.

Qualche amica, lungo il cammino, in effetti si allontanò, o forse fu Elisa che si distaccò da chi posava uno sguardo giudicante sul suo fiorire. E Elisa, infatti, fiorì. Nell'ultima seduta, mi salutò con un sorriso bellissimo. Mi donò il suo sasso, su cui aveva dipinto una smorfia scherzosa, insieme un bigliettino: "Posso ridere. E anche se sono sasso, posso essere leggera. So di essere amata".


Pubblicato il 10 agosto 2025