C’è un modo sottile e persistente con cui il potere ha sempre difeso se stesso: concedendo eccezioni. Con una mano apre, con l’altra richiude. Concede il gesto simbolico, ma impedisce l’effetto sistemico. Così, l’eccezione diventa rassicurazione, non minaccia. Ed è proprio questo il destino che toccò a Elena Cornaro, la prima donna laureata in filosofia, nel 1678.
Un traguardo, si dirà. Ed è vero. Ma da solo, un traguardo non basta a spostare il baricentro della storia. Perché quella laurea — discussa in greco e in latino nella solenne aula dell’Università di Padova — fu fin dall’inizio una concessione vigilata. Il padre, nobile veneziano, aveva chiesto per la figlia il dottorato in teologia. La risposta fu netta: improponibile. Una donna teologa avrebbe screditato l’intera istituzione. Dopo mesi di trattative, si arrivò a un compromesso: filosofia, non teologia. Silenzio, non cattedra.
La Cornaro ottenne il titolo, ma non l’uso. Le fu riconosciuto il sapere, ma non la possibilità di trasmetterlo. Nessuna docenza, nessun corso, nessuna scuola. Era una laureata senza eredità. E in questo, più che nella cerimonia, sta il vero significato del suo gesto: fu autorizzata a sapere, purché non producesse conseguenze.
Il caso della Cornaro è tanto più rilevante quanto più si rivela esemplare. Non è un incidente della storia, ma una modalità costante con cui le istituzioni culturali — accademiche, religiose, politiche — hanno gestito la differenza sessuale: non negando il valore individuale, ma impedendo che si trasformasse in ruolo, autorità, struttura.
Non è sola, la Cornaro, in questa traiettoria.
Ipazia di Alessandria, filosofa e matematica, fu assassinata nel V secolo da una folla inferocita. Il suo crimine non fu tanto il contenuto del pensiero, quanto l’insopportabile visibilità: una donna che insegnava pubblicamente, in un mondo in cui la parola femminile doveva rimanere privata.
Trotula de Ruggiero, nel Medioevo salernitano, scrisse testi medici fondamentali. Ma per secoli si ritenne che “Trotula” fosse un uomo. La sua autorialità venne oscurata per evitare di riconoscere che anche una donna potesse curare, pensare, insegnare.
Sor Juana Inés de la Cruz, nel Messico coloniale del XVII secolo, fu costretta al silenzio dalle gerarchie ecclesiastiche dopo aver difeso il diritto delle donne allo studio. Le sue lettere, colte, ironiche, taglienti, sono ancora oggi uno dei manifesti più potenti del sapere negato.
Laura Bassi, un secolo dopo la Cornaro, ottenne sì una cattedra a Bologna, ma con pesanti limitazioni: pochi corsi, tenuti in privato, sotto sorveglianza. La sua funzione fu riconosciuta solo a condizione che restasse secondaria, accessoria.
Émilie du Châtelet, brillante fisica e filosofa francese, fu letta e apprezzata solo in quanto compagna di Voltaire. La sua traduzione e il suo commento dei "Principia" di Newton rimasero a lungo ignorati perché “troppo scientifici” per una donna.
Più vicina a noi, Simone Weil fu sistematicamente esclusa dal canone accademico per l’originalità scomoda del suo pensiero. Ebrea, mistica, operaia, antifascista, scrisse per tutta la vita testi di altissima intensità teorica senza trovare un luogo che li ospitasse davvero.
Sono storie diverse, ma legate da un filo comune: la presenza di un sapere che esiste, che insiste, ma che viene mantenuto ai margini, tollerato solo se non cambia nulla. Non è la mancanza di competenza a escludere, ma la provenienza di quella competenza. È la grammatica stessa della legittimazione a rifiutare il soggetto femminile. Il sapere può essere permesso, purché non sia "autorevole". Può essere raffinato, purché non sia "incisivo".
In questo senso, Elena Cornaro non è una statua da onorare, ma una domanda ancora aperta. Come sarebbe cambiata la filosofia europea se il suo discorso avesse avuto ascolto? Quante voci sono state soffocate prima ancora di potersi articolare?
Non si tratta solo di biografie femminili negate, ma di una genealogia del sapere monco, in cui la differenza sessuale ha operato come criterio implicito di selezione e di esclusione. A testimoniarlo, con finezza e rigore, è anche il saggio di Giorgia Salatiello, "La differenza sessuale. Una questione filosofica" (Armando Editore), che mostra come la razionalità occidentale si sia fondata su un soggetto preteso neutro, ma in realtà definito al maschile.
Il sapere negato non è solo ciò che è stato vietato. È ciò che è stato riconosciuto senza conseguenze.
È il sapere concesso a condizione che non diventi prassi, dialogo, istituzione.
È la laurea della Cornaro. Un titolo, senza eredi.
Una voce, senza aula.
Un sapere, senza futuro.