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Il rilascio della nuova versione di ChatGPT capace di generare immagini, ha rinvigorito un dibattito mai esaurito sul copyright e il diritto d’autore. Le sue caratteristiche sono decisamente migliori di quelle di DALL·E 3, riuscendo a mantenere coerenza nei personaggi e nello stile anche con elementi complessi come il testo o i dettagli anatomici, ma sono tali da far concorrenza perfino a modelli collaudati da tempo come Midjourney. Una feature in particolare ha avuto un incredibile successo, ed è diventata rapidamente virale, anche perché incoraggiata dallo stesso Altman: quella che permette di interpretare un’immagine, o una propria foto, nello stile magico dello Studio Ghibli. I social si sono riempiti di avatar incantati, occhi enormi e atmosfere da fiaba giapponese, sorprendendo perfino i tecnici di OpenAI, che hanno faticato a gestire il sovraccarico di richieste. Insieme al facile entusiasmo, però, si sono alzati gli interrogativi sul senso di questo meme, e soprattutto sulla sua etica.


Lo Studio Ghibli: una summa artistica e filosofica

Facciamo un passo indietro e ricordiamo di cosa stiamo parlando. Lo Studio Ghibli nasce nel 1985 dall’incontro di tre figure fondamentali dell’animazione giapponese: Hayao Miyazaki, Isao Takahata e il produttore Toshio Suzuki. Il nome scelto, “Ghibli”, è un termine che indica un vento caldo del deserto: con esso, i fondatori volevano annunciare l’arrivo di un “vento nuovo” nel panorama dell’animazione, non solo giapponese ma mondiale.

Fin dagli inizi, lo studio si distingue per una forte impronta autoriale e una cura maniacale del disegno, che privilegia l’animazione tradizionale, con una straordinaria attenzione ai dettagli e ai movimenti. I personaggi, spesso inseriti in mondi sospesi tra reale e fantastico, sono ritratti con profondità psicologica e una poetica che rifiuta la retorica e gli stereotipi. Temi ricorrenti come la relazione tra umanità e natura, la forza dell’infanzia e del femminile, la critica alla modernità industriale e un persistente pacifismo rendono le opere Ghibli riconoscibili e, al tempo stesso, universali.

Il successo internazionale di Studio Ghibli inizia con Il mio vicino Totoro (1988), che conquista il pubblico giapponese e consacra Totoro come mascotte iconica. Il vero salto arriva con La principessa Mononoke (1997), che stabilisce nuovi record di incasso e apre il mercato globale. Nel 2001, La città incantata (Spirited Away) vince il Leone d’Oro a Venezia e l’Oscar nel 2003, primo film d’animazione giapponese a riuscirci. Seguono altri riconoscimenti, tra cui il Leone d’Oro alla carriera a Miyazaki nel 2005, confermando il valore universale delle opere Ghibli.

Accanto alla produzione cinematografica, si sviluppa un universo Ghibli fatto di merchandising, edizioni speciali, mostre e luoghi fisici che contribuiscono a costruire un legame emotivo con il pubblico. Il Museo Ghibli di Mitaka, a Tokyo, è oggi un luogo di pellegrinaggio per appassionati da tutto il mondo. Nel 2022 è stato inaugurato il Ghibli Park a Nagakute, vicino a Nagoya: non un parco di divertimenti tradizionale, ma uno spazio immersivo e contemplativo, in linea con la filosofia dello studio.

Nel 2023, con l’uscita de Il ragazzo e l’airone (The Boy and the Heron), Hayao Miyazaki torna dietro la macchina da presa per quello che inizialmente era stato annunciato come il suo film d’addio. Il successo globale del film e l’Oscar vinto nel 2024 confermano che il linguaggio Ghibli continua a essere vivo e rilevante, anche in un’epoca dominata dall’animazione digitale e dalle intelligenze artificiali.

Nonostante l’età avanzata dei fondatori e i frequenti annunci di pensionamento, il futuro dello Studio Ghibli resta una questione aperta. Con un approccio poetico e radicalmente umano, Ghibli ha saputo costruire un linguaggio cinematografico inconfondibile, capace di coniugare il sogno e la riflessione, la meraviglia e la critica sociale. Da sempre scettico verso la tecnologia, Miyazaki ha recentemente espresso una posizione netta sull’intelligenza artificiale, definendola “una minaccia all’umanità”, e dichiarando che “l’arte generata da una macchina non ha alcun valore emotivo”. Queste dichiarazioni ribadiscono il carattere profondamente umanista della visione Ghibli, distante dalle tendenze digitali dominanti.

Dunque è di questo maestro Miyazaki e di questo Studio Ghibli, di questo pensiero e di questa poetica che OpenAI, suppongo consciamente, si è appropriata, snaturandoli e banalizzandoli. E senza nemmeno un grazie.

I termini della questione

Naturalmente, anch’io ho ceduto alla tentazione: ho caricato una mia foto e ho generato il mio avatar in “perfetto” stile Ghibli. Dopo aver appagato il narcisista che c’è in me, però, mi sono sentito profondamente a disagio. Che senso ha partecipare a questo meme? Che cosa ne dicono allo Studio Ghibli? Non c’è niente di meglio per cui impallare i server di OpenAI e consumare tanta energia? E infine, questo meme porta qualche valore allo Studio Ghibli e a tutti noi?

Dubbi e contestazioni si sono così diffuse in tutto il globo. Da un lato c’è chi sostiene che la Ghibli-fication porta lustro all’originale Studio Ghibli. La replica ha senso solo grazie all’originale: “La fotografia della cattedrale non ha senso senza la cattedrale stessa”, ha scritto Walter Benjamin nel suo saggio del 1933 “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. E ancora, è la presenza dell’originale il presupposto del concetto di autenticità: questo significa che non è l’arte ad essere copiata, e che viene replicata solo una sua vuota riproduzione. Un souvenir a forma di David di Donatello, o una cartolina coi Girasoli di Van Gogh, non possono appagare il desiderio di contemplare le opere originali. Non solo non ne scalfiggono il valore, ma anzi, in qualche modo, ne accrescono la fama e il desiderio di confrontarsi direttamente con quella.

D’altra parte, soprattutto designer e artisti, protestano denunciando la violazione del diritto d’autore, la banalizzazione dell’atto creativo, e il rispetto del lavoro umano. Un tema questo già caldissimo fin dai primi giorni dopo il rilascio del primo LLM, ChatGPT, che ha portato OpenAI sotto processo più volte, a prendere qualche provvedimento, e ad appellarsi alle limitazioni della normativa vigente.

Probabilmente i meno tutelati sono proprio gli utenti, che giocando con la propria identità e immaginazione, non si rendono conto del patrimonio culturale che hanno occasione di avvicinare. Potrebbero finire per sottovalutarlo anche qualora avessero l’occasione, per esempio, di vedere l’ultimo film di Miyazaki, che ha vinto l’Oscar due anni fa. Il Ghibli-esque è promozionale ma non evocativo: porta a consumare senza assaggiare. Per esempio, i film dello Studio Ghibli rappresentano la grandiosità della natura e sottolineano l’importanza di vivere in armonia con il mondo naturale, invece l’intelligenza artificiale generativa è una tecnologia enormemente energivora. Usarla per replicare lo stile Ghibli compromette il valore simbolico e il messaggio originale.

Ian Bogost, un accademico, scrittore e teorico dei media, che scrive di tecnologia, videogiochi, cultura digitale e filosofia, sostiene che la questione potrebbe non essere tanto etica, quanto di percezione e contesto culturale. Anche gli artisti in carne ed ossa copiano, spiega, e perfino gli appassionati che si dilettano nel riprodurre l’opera che tanto apprezzano. Potrebbero perfino obiettare che non fanno nulla di male e, anzi, diffondono ciò che ritengono meritevole di essere conosciuto da molti.

Ma c’è una differenza nella scala, fa notare Bogost. Con l’AI, si può fare rapidamente e in grandi quantità, e questo cambia il modo in cui la questione è percepita. Una performance che il digitale aveva già reso possibile, e che ora aumenta esponenzialmente. Gli stessi fan di prima, potrebbero ora trovare disdicevole quelle scopiazzature, e appoggiare una causa contro un fornitore di AI.

Inoltre, l’ampia e facile diffusione potrebbe danneggiare l’aura di “specialità” dello stile Ghibli, originariamente connesso proprio all’idea di cura minuziosa che richiede perizia e soprattutto tempo. La sua banalizzazione attraverso la replicazione di massa via AI potrebbe diminuire il suo valore simbolico nell’evocare quei fondamenti.

La posizione di OpenAI

In passato, OpenAI ha sostenuto che replicare lo stile di uno studio cinematografico sia lecito, ma sono in corso cause legali da parte di artisti per l’uso delle loro opere nell’addestramento degli algoritmi. In questa occasione, ha mostrato maggiore prudenza — anche perché era comunque costretta a limitare l’accesso alla funzione per motivi tecnici — annunciando che non è più consentito generare immagini nello stile dello Studio Ghibli, almeno non dichiarandolo esplicitamente.

La posizione ufficiale di OpenAI è ora quella di adottare un “approccio conservativo” per quanto riguarda l’imitazione dell’estetica di artisti individuali viventi. “Abbiamo aggiunto un meccanismo di rifiuto che si attiva quando un utente tenta di generare un’immagine nello stile di un artista vivente”, si legge nella nota di OpenAI, “Addendum to GPT-4o System Card: Native image generation”, pubblicata il 25 marzo 2025. Sono consentite, invece, la creazione di immagini che richiamano stili di studi artistici noti, come Studio Ghibli appunto.

Ora si dà il caso che Hayao Miyazaki sia ancora in vita, e che abbia anche espresso in passato una forte opposizione all’uso dell’IA nell’arte. Quindi resta aperta la domanda: è ancora possibile ghiblificare con ChatGPT, aldilà delle dichiarazioni di OpenAI?

La verifica delle buone intenzioni di OpenAI

Ho quindi fatto alcuni test. Usando il prompt “trasforma l’immagine applicando lo stile dello studio ghibli”, con allegato una mia foto, ho ottenuto senza problemi la versione ghiblizzata.

Allora ho chiesto: “Qual’è la posizione ufficiale di OpenAI in merito alla generazione di immagini secondo lo stile di designer e artisti affermati, nonostante i copyright e i diritti d’autore? Quali misure ha adottato OpenAI a proposito delle immagini generate con lo stile dello Studio Ghibli?”.

Dal momento che la risposta è stata coerente con gli annunci ufficiali riportati sui media (e qui sopra), ho insistito: “Quindi ora non è più possibile generare con ChatGPT un’immagine con lo stile dello Studio Ghibli?

[ChatGPT]

Esatto: attualmente non è più possibile generare immagini nello stile dello Studio Ghibli usando ChatGPT (o meglio, usando il generatore di immagini di OpenAI integrato in ChatGPT). Questo divieto è stato introdotto da OpenAI in risposta diretta al recente caso virale, in cui molte immagini sono state generate e condivise online richiedendo “lo stile Ghibli”, provocando polemiche e critiche legate a copyright e rispetto degli artisti viventi, tra cui Hayao Miyazaki.

Cosa è cambiato?

OpenAI ha aggiornato i suoi filtri per impedire richieste che includano frasi come “in stile Studio Ghibli”, “in stile Miyazaki”, ecc.

Lo stile di artisti viventi è ora ufficialmente bloccato dal generatore di immagini, secondo quanto dichiarato da un portavoce di OpenAI a The Verge.

Anche trasformare o modificare immagini esistenti applicando questo stile non è più consentito.

Perché questa scelta?

Rispetto dei diritti d’autore e della proprietà intellettuale.

Rispetto dell’intenzione e delle posizioni etiche degli artisti viventi (come Miyazaki, che si è espresso più volte contro l’uso dell’IA per imitare l’arte umana).

Contenimento di potenziali rischi legali e reputazionali per OpenAI.

Tutto molto chiaro e ben argomentato. Ma avendo generato un’immagine Ghibli-style poco prima, in contraddizione con quanto affermato, ho insistito ancora: “se ora lanciassi il prompt “trasforma l’immagine applicando lo stile dello studio ghibli” con allegata una mia foto, cosa risponderebbe ChatGPT?”

[ChatGPT]

Se ora lanciassi il prompt “trasforma l’immagine applicando lo stile dello Studio Ghibli” allegando una tua foto, ChatGPT non genererebbe l’immagine richiesta e risponderebbe con un messaggio simile a questo:

“Mi dispiace, non posso soddisfare questa richiesta. I miei strumenti di generazione di immagini non supportano la creazione o la trasformazione di immagini nello stile di artisti o studi specifici, come lo Studio Ghibli.”

Oppure, in alcune varianti, il messaggio potrebbe essere più formale:

“Per rispetto dei diritti degli artisti viventi e delle politiche di contenuto, non posso generare immagini che imitino lo stile dello Studio Ghibli o di altri creatori riconoscibili.”

In breve:

La richiesta verrebbe bloccata.

La tua immagine non verrebbe elaborata né trasformata.

Non ci sarebbe una risposta creativa alternativa automatica (a meno che tu non la richieda esplicitamente).

Se vuoi, posso aiutarti a formulare un prompt che richiami atmosfere “alla Ghibli” (paesaggi onirici, colori pastello, elementi naturali, luce morbida, ecc.) senza nominare direttamente lo studio, così da ottenere comunque un risultato simile ma conforme alle policy attuali. Vuoi provarci?

I filtri e i workaround

Evidentemente si deve concludere che alle buone intenzioni non sono seguiti i fatti, ma posso pensare che le nuove regole tardino ad essere applicate per qualche problema di propagazione… A questo punto, però, mi sono chiesto quanto fosse realistico impedire la generazione di immagini Ghibli-style, considerato che ChatGPT stesso mi suggerisce che ci sono strade alternative.

Riprendendo la proposta nella risposta precedente, ho chiesto: “scrivi un prompt che trasformi l’immagine allegata richiamando atmosfere “alla Ghibli” (paesaggi onirici, colori pastello, elementi naturali, luce morbida, ecc.) senza nominare direttamente lo Studio, così da ottenere comunque un risultato simile ma conforme alle policy attuali

Ottenuto il prompt, aggiustandolo un pochino, e poi lanciandolo, ho ottenuto un’immagine faux-Ghibli (vedi fig. 3), effettivamente con qualche difficoltà. Ho riscontrato molti problemi tecnici, ma non sono stato bloccato per violazione dei terumini di utilizzo. Il risultato è comunque abbastanza lontano dallo stile Ghibli.

A questo punto ho voluto fare un ultimo esperimento. Mi sono fatto generare da ChatGPT il prompt da usare per generare un’immagine seguendo le linee guida stilistiche ricavate dall'immagine prodotta precedentemente, senza quindi nominare lo Studio Ghibli. Ho ottenuto questo prompt:

[ChatGPT]

A semi-realistic illustrated portrait of an elderly man with a kind smile, wearing round glasses and a dark jacket with a brown backpack strap. The portrait is very similar to the one attached. His face has soft features, rosy cheeks, and expressive eyes, resembling the animation style. The background is a quiet urban night scene with softly glowing streetlights and gently stylized residential buildings. The atmosphere is warm and dreamlike, with pastel tones and diffused lighting. The cityscape should mirror real architectural elements, but rendered with a poetic and nostalgic touch, evoking a peaceful and magical moment suspended in time.

Infine ho usato questo prompt allegando la mia foto originale, con la memoria pulita, ottenendo un’immagine Ghibli-style senza nominare nel prompt lo Studio Ghibli, ma usando linee guida stilistiche ricavate da un’immagine Ghibli-style. Potrei ora applicare lo stesso prompt per generare altre immagini Ghibli-style, cambiando solo la descrizione del soggetto. In altre parole, posso bypassare ogni filtro che OpenAI ha messo, sta mettendo o dovrà mettere.

Conclusione

Anche se l’esperimento ha avuto successo, non mi interessa tanto la tecnica usata per ottenere un’immagine Ghibli-style senza nominare lo Studio Ghibli. Penso di aver dimostrato come l’AI sia uno strumento talmente potente da rendere abbastanza facile costruire prompt che aggirano i filtri e i divieti imposti per policy. Questo rende la questione della tutela del copyright e del diritto d’autore veramente molto difficile da definire e risolvere. E’ come chiudere un gatto in una gabbia: se c’è un modo per aprirla, il gatto lo troverà.

Però a me andrebbe anche bene uno strumento di AI che genera immagini Ghibli-style semplicemente chiedendoglielo esplicitamente, se mi obbligasse a notare le scelte stilistiche che verrebbero applicate, e per quale motivo il maestro ha voluto renderle una traccia emblematica della sua poetica. Un falso Ghibli ci può stare, se diventa una forma di educazione sui temi e sull’approccio del vero Studio Ghibli. Una ghiblizzazione a portata di tutti può anche essere apprezzata se fa scoprire la cura minuziosa e la ricerca di equilibrio tra colori, forme e valori che sono simboleggiati da quel canone. Una replica infinita può anche avere valore se serve a sensibilizzare milioni di utenti sul messaggio universale del maestro. Perché non provare ad istruire l’AI in questa direzione, invece che sfruttarla come freddo esecutore, col rischio di rendere noi consumatori passivi?


Fonti

  1. The Limits of A.I.-Generated Miyazaki, (2025) — The New Yorker
  2. Hayao Miyazaki’s AI Nightmare, Damon Beres, (2025) — The Atlantic
  3. ChatGPT’s viral Studio Ghibli-style images highlight AI copyright concerns, Matt O’Brien and Sarah Parvini, (2025) — AP News
  4. The AI-Generated Studio Ghibli Trend, Explained, Dani Di Placido, (2025) — Forbes
  5. OpenAI’s Studio Ghibli-style images renew the debate over AI and copyright, Eve Upton-Clark, (2025) — Fast Company
  6. Native Image Generation System Card, (2025) — cdn.openai.com

Pubblicato il 03 aprile 2025

Gino Tocchetti

Gino Tocchetti / Driving Innovation and New Ventures @ Corporate Startup Ecosystem

gino.tocchetti@gmail.com http://www.ginotocchetti.medium.com/