Go down

Le organizzazioni ci appaiono lisce, rifinite. Ma sono invece rugose, segnate da crepe e fenditure. A questi luoghi di solito ignorati dalla ricerca bisogna guardare. Le possibilità di cambiamento e di reale presenza umana stanno negli interstizi.
(Questo testo è stato scritto, per quanto ricordo, attorno al 1995. E' stato pubblicato l'1 gennaio 1998 sul sito www.bloom.it, e cioè nel momento in cui il sito ha preso vita).

A partire:

  • da una esplicitazione del funzionamento reale delle grandi organizzazioni
  • dalla ricostruzione di un diffuso percorso di crescita di nuove organizzazioni

è possibile proporre un modello utile ad osservare in modo non consueto le grandi organizzazioni, mettendo a fuoco opportunità trascurate in particolare

  • dal punto di vista dell'innovazione
  • dal punto di vista della gestione delle risorse umane.

Scenario

Nel mondo dell'industria, dei servizi, delle organizzazioni no-profit, ci muoviamo all'interno di uno scenario sovrappopolato. Le organizzazioni saturano gli spazi, si sovrappongono e si intersecano. Si controllano e si soffocano l'una con l'altra.
Ci troviamo di fronte a organizzazioni iper-articolate, burocratizzate, lente, malamente conosciute anche dalle funzioni aziendali deputate a conoscerle. Caratterizzate da sempre più alta dissipazione di energia, sempre meno capaci di produrre ricchezza, capaci di produrre solo a costi preventivamente calcolati e non comprimibili, in grado di muoversi solo su percorsi prefissati, per tappe predefinite.
Il dire che il sistema é efficace perché esiste e sopravvive significa sostituire la riproduzione alla produzione, la conservazione all'innovazione, la sopravvivenza alla competizione.
L'inefficienza genera inefficienza che genera inefficienza che genera inefficienza.
Le grandi strutture sono impermeabili al lavoro di smontaggio/alleggerimento/cambiamento. La ricerca e l'intervento sull'organizzazione sono subordinati a un modello riproduttivo. Gli interventi orientati al mutamento restano all'interno della meta-organizzazione, ovvero sempre sotto la cupola dell'ideologia che ha prodotto l'organizzazione. Le funzioni aziendali deputate a promuovere lo sviluppo -siano funzioni interne o consulenti- fanno parte di quella stessa classe dirigente che governa le organizzazioni: lavorando per il mutamento negherebbero le condizioni della propria sopravvivenza.
I mutamenti sono finalizzati alla modifica dei rapporti di potere, non allo sviluppo e alla creazione di ricchezza.
Dato lo scenario sovrappopolato, é sempre più difficile trovare spazi per creare nuove organizzazioni.
Data la saturazione degli spazi, é sempre più difficile trovare ambiti di crescita e di espansione all'interno delle organizzazioni.
La superficie non é 'liscia' come viene fatta apparire. Il tessuto non uniforme ma a pelle di leopardo: all'interno delle stessa organizzazione esistono aree di efficienza e sacche di inefficienza, luoghi di sviluppo, di stagnazione, di recessione. Ma le procedure aziendali collegano le zone presupponendo un tessuto uniforme.
L'innovazione schumpeteriana é bloccata dal peso della burocrazia.
In nome della propria sopravvivenza l'organizzazione rinuncia ad utilizzare il desiderio di fare, le pulsioni, le emozioni, la creatività dei soggetti lavoratori dipendenti.
Ma d'altronde

  • i soggetti lavoratori non riescono a rinunciare al bisogno di oggettivarsi (lavorare, costruire, produrre)
  • l'organizzazione esprime un 'biologico' orientamento alla propria sopravvivenza. Ma lo esprime per lo più attraverso comportamenti 'segreti' e 'clandestini', comportamenti che gli strumenti di controllo e di regolazione standard (procedure, sistemi valutativi) non sono in grado di rilevare.

Pars construens

Dalla parte del nuovo
Si dovrà accettare come dato di realtà questo contesto bloccato e fatiscente. Si dovrà accettare con lucidità l'impossibilità di modificare il panorama dominato dalle grandi organizzazioni. Si dovrà evitare di prenderle a modello, e di confrontarsi frontalmente con loro.
D'altronde, si dovrà apprendere ad operare prescindendo da tutto ciò che le organizzazioni complesse hanno apparentemente reso indispensabile, ma che in realtà non ha a che fare con l'obiettivo istituzionale o con il business (e che invece ha a che fare solo con l'autoperpetuazione della grande organizzazione).
Il nuovo sta negli interstizi, nel potenziale sprecato dalle grandi organizzazioni. Il fattore di successo é la capacità di organizzare (coordinare a un fine) questo potenziale.
La strategia interstiziale: occultato e spesso inutilizzato nelle grandi organizzazioni, c'é già tutto quello che serve a individuare e a gestire nuovi business. E' antieconomico replicare. Serve ottimizzare. Quelle che appaiono come disfunzioni ineliminabili delle grandi organizzazioni sono trasformate in opportunità dagli imprenditori interstiziali.

Dalla parte delle grande organizzazione
La grande organizzazione preferisce non vedere gli interstizi. E di fronte agli interstizi tende a vedere superfici lisce e semmai crepe da suturare. Ma é un atteggiamento vano. Anche proceduralizzando in modo rigido i comportamenti dei propri dipendenti, non riuscirà a vincolarne efficacemente i comportamenti. Infatti la procedura non può imporre 'per decreto' che il soggetto lavoratore sia soddisfatto del ruolo che l'organizzazione é in grado di offrirgli. Né può imporre al soggetto lavoratore modalità vincolanti per quanto riguarda l'uso del proprio tempo 'libero'.
Apparentemente il modello interstiziale é un modello parassita. Gli interstizi non esiterebbero senza le grandi strutture. Ma dove si crea ricchezza rispettando le regole del mercato si deve parlare solo di competitività.
La grande organizzazione trae vantaggi dalla presenza sul mercato di piccole organizzazioni solo parzialmente strutturate. Vende loro i propri servizi 'hard': produzione, logistica. distribuzione, fatturazione -servizi dove contano le economie di scala, le sinergie, i grandi volumi di pezzi trattati.
O grande organizzazione riesce a competere in velocità e in dinamismo con le organizzazioni più agili, o perde mercato nei settori 'soft', dove conta la qualità della prestazione lavorativa, l'originalità, la tempestività. Manterrà forse le quote di mercato dominante, ma perderà la leadership in tutti i settori al di fuori di quello dei 'servizi' a basso valore aggiunto.

Modello interstiziale
Modello intersiziale, ovvero 'occupare posizioni irregolari': rinunciare ai modelli prefigurati a favore della costruzione empirica di ciò che é possibile costruire con i materiali disponibili; rinunciare alla espansione teoricamente possibile, sostituendola con quella di fatto praticabile in considerazione degli spazi lasciati vuoti dalle grandi organizzazioni.
Modello interstiziale, ovvero 'stare tra': fungere da snodi/articolazioni, collegando e orientando ad un fine (ad un business) le risorse che le organizzazioni generano ma non sanno (non vogliono, non possono) sfruttare.
La rete sottesa a questo modello sarà contorta, se valutata rispetto ad una astratta razionalità. Ma la sua razionalità sta nel garantire il coordinamento tra le risorse umane necessarie e nel garantire l'utilizzo delle loro skill. dovunque dette risorse empiricamente- é vista da un per come nello sfruttare al meglio gli interstizi, gli spazi vuoti, le ridondanze delle grandi organizzazioni.
é un modello funzionale alla produzione: ciò che importa é collegare le risorse necessarie a produrre, ciò che deve apparire, essere visibile é il prodotto. Sono quindi risparmiati i costi che si traducono in visibilità della organizzazione.
L'imprenditore interstiziale conosce bene le grandi organizzazioni (perché ha lavorato al loro interno, perché ne é fornitore. Le conosce bene nella pratica: conosce la loro organizzazione reale. Le conosce meglio di chi vive all'interno della grande organizzazione: se non le conoscesse così bene non avrebbe deciso di uscirne e/o di sfruttarne le inefficienze.
L'organizzazione interstiziale cresce in funzione della disponibilità di risorse umane corrispondenti al suo modello: i prodotti-servizi offerti da una organizzazione interstiziale sono quelli e solo quelli permessi dalle risorse umane disponibili.

Il lavoro nella grande organizzazione e negli interstizi
La grande organizzazione -che si fa vanto di presentarsi come totalità adulta e pienamente articolata- genera nel soggetto lavoratore atteggiamenti di dipendenza. Dalla grande organizzazione ci si attende di essere al tempo stesso protetti e serviti. La grande organizzazione infantilizza.
L'organizzazione interstiziale -che per definizione, per carattere genetico, é sottostrutturata, insufficientemente articolata, lacunosa- stimola comportamenti riparatori ed adulti: ciò che non può garantire per suo automatismo l'organizzazione sarà surrogato dai soggetti. Il soggetto lavoratore é gratificato dalla consapevolezza di essere indispensabile: senza il suo contributo il processo produttivo non potrebbe aver luogo; egli é l'unico depositario di una indispensabile professionalità.
Il modello interstiziale si fonda sull'uso di professionalità sottooccupate di grandi organizzazioni. Il desiderio di fare, le pulsioni, il bisogno di emozioni, la creatività dei soggetti lavoratori dipendenti sono rese funzionali alla creazione di ricchezza.
L'organizzazione interstiziale nega il modello standard di rapporto di lavoro fondato sul contratto di lavoro 'a tempo pieno' e 'a tempo indeterminato'. L'imprenditore interstiziale sa che, nei fatti, nessun contratto é 'a tempo pieno' e 'a tempo indeterminato', e che solo il sempre rinnovato interesse per il lavoro svolto lega il soggetto lavoratore ad una continuità di rapporto. Le forme contrattuali sono le più varie, e sono sempre subordinate al contratto psicologico. La tendenza é il consolidarsi e l'estendersi nel tempo di un rapporto inizialmente 'a tempo parziale', 'a tempo determinato'.
L'opposizione 'tempo dedicato al lavoro' vs 'tempo libero' é fallace. L'utilizzo del tempo di lavoro é solo parzialmente controllabile da parte dell'organizzazione (come controllare per esempio l'uso del telefono, del fax?); il tempo che é 'libero' dal punto di vista del contratto che lega all'organizzazione può essere usato lavorando. Eppure le organizzazioni tendono erroneamente a strutturare le modalità di controllo intorno alla categoria 'tempo di lavoro' - senza peraltro poter veramente controllare l'uso di questo tempo. Più correttamente dovremo opporre 'ozio' vs 'penosità'; dove 'ozio' é il tempo speso in modo soddisfacente dal punto di vista del soggetto -sia all'interno del tempo ceduto su base contrattuale all'organizzazione, sia all'interno del 'tempo libero'-; e dove 'penosità' é il dispendio di energie, la fatica mentale e fisica.
Il successo del modello interstiziale si radica nella sua coerenza con la seconda delle opposizioni summenzionate. L'organizzazione interstiziale sa offrire al soggetto lavoratore 'ozio', ovvero piacere, divertimento, gratificazioni, motivi di autostima. La presenza dell''ozio' permette di minimizzare la 'penosità': il cosiddetto 'secondo lavoro' non é imposto, é scelta volontaria, gratuita; é gesto compiuto più nella logica del dono che nella logica dello scambio.
L'uso da parte delle organizzazioni interstiziali delle capacità inutilizzate dei soggetti lavoratori va a vantaggio dell'equilibrio caratteriale dei soggetti stessi: le energie non utilizzate rischiano di tradursi in 'malattia'.
L'uso da parte delle organizzazioni interstiziali delle capacità inutilizzate dei soggetti lavoratori va a vantaggio delle grandi organizzazioni in cui i soggetti operano: soddisfatto il proprio bisogni di oggettivazione (e, in seconda battuta, incrementato il proprio livello di reddito) i soggetti non cadono in comportamenti disfunzionali e controdipendenti. Ovvero: paradossalmente, l'utilizzo del surplus di risorse inutilizzate da parte delle organizzazioni interstiziali favorisce la gestione del consenso all'interno delle grandi organizzazioni.
Quando la grande organizzazione esorcizza l'utilizzo da parte di organizzazioni interstiziali delle proprie risorse, quando le espone al ludibrio in quanto incitamento al 'lavoro nero', non fa altro che difendere la propria inefficienza dietro un paravento ideologico. Potrebbe rispondere in modo più efficace:

  • esplicitando l'organizzazione di fatto, legittimando la collaborazione dei propri dipendenti con organizzazioni interstiziali (con vantaggi dal punto di vista delle relazioni interne)
  • interpretando i propri dipendenti come 'imprenditori di se stessi', ovvero trasformando ruoli aziendali appetiti dal mercato in centri di profitto, con obbligo di recupero sull'esterno di una parte del costo di struttura.

Non si tratta di 'lavoro nero' ma di 'lavoro ombra'. Il pagamento 'in nero' non ha a che fare con il modello interstiziale: può essere pagato 'in nero' il lavoro per l'organizzazione di appartenenza come quello per l'organizzazione interstiziale. Sia l'imprenditore interstiziale sia il prestatore di lavoro possono essere perfettamente in regola da un punto di vista contrattuale e fiscale. Invece, 'lavoro ombra': lavoro nascosto nelle pieghe del tempo libero, lavoro fatto senza apparire con il proprio nome, lavoro spesso ignorato dalle statistiche (per limiti intrinseci nei sistemi di rilevamento).

Punto di vista interstiziale
Il dominio del modello-grande organizzazione spinge l'imprenditore interstiziale a mantenersi nell'ombra. L'imprenditore ombra é spinto a vergognarsi del proprio modello.
La grande organizzazione confonde la propria immagine -frutto di investimenti in marketing e comunicazione- con un assetto economico-organizzativo. Senza marketing e comunicazione la grande organizzazione appare nuda, e vengono alla luce -come catastrofi, come eventi- gli interstizi.
All'imprenditore interstiziale non interessa teorizzare. Una riflessione sui modelli interessa invece alla grande organizzazione. La grande organizzazione può imparare a guardarsi in un modo nuovo osservando i propri interstizi.
Un'ottica interstiziale rovescia l'approccio di ricerca/intervento sulle organizzazioni: il punto di crisi può essere visto come opportunità, la risorsa umana controdipendente come potenziale sottoutilizzato, il cono d'ombra come zona di sviluppo, lo scostamento rispetto alla norma come limite della norma, e non come difetto dei soggetti.

Provvisoria conclusione
L'organizzazione tende a resistere all'analisi. Parte di ogni organizzazione é, per sua natura, nascosta, invisibile, sotterranea - come del resto testimonia la stessa espressione back office.
Non interessa qui notare se -come é probabilmente vero- le imprese coerenti con un modello interstiziale sono più vicine (più adeguate) a quanto richiedono mercato e tecnologie emergenti: digitalizzazione delle informazioni, reti telematiche, marketing e distribuzione on-line, ecc.
Il nostro ragionamento si é qui volutamente mantenuto su un piano epistemologico: l'organizzazione é vista guardando agli interstizi.
L'organizzazione interstiziale é quella che ha capito che l'importante sta negli interstizi, e quindi rispetta gli interstizi, consapevole che lì sta la fonte della propria crescita.

Appendici

 

Cenni a casi

    • Situazioni note a chiunque lavori sulle organizzazioni, ma ritenuti scarsamente rilevanti: professionalità disparate si nascondono nella grande organizzazione. Falegname, architetto, mediatore immobiliare, commerciante di gioielli, pilota d'aereo, pilota di bob, esperto di protezione civile, sommozzatore sono le vere 'professionalità' di soggetti costretti da una storia di vita a un qualsiasi -ma diverso dal precedente, e comunque più 'basso'- ruolo professionale. Questi soggetti, pur di usare quella che ritengono le proprie più rilevanti abilità, sono anche disposti a lavorare senza compenso.
    • L'alto dirigente che usa le strutture aziendali a fini personali.
    • La softwarehouse che usa il tempo libero di programmatori operanti presso Centri Elaborazioni dati di grandi aziende.
    • Le iniziative editoriali realizzate utilizzando le collaborazioni di giornalisti dipendenti di grandi case editrici. I giornalisti, di fatto, prestano la loro opera durante il tempo di lavoro pagato loro dalla casa editrice da cui dipendono, e utilizzando le strutture della stessa grande casa editrice: area occupata, strumenti di scrittura, telefono e fax, ecc.
    • Il direttore tecnico di una casa editrice che nella propria azienda si trova compresso in compiti ripetitivi, e che collabora per suo piacere a iniziative editoriali innovative.
    • L'operaio che nel tempo libero lavora a casa propria, in cantina o nel sottoscala. Si danno casi in cui si tratta di 'fuori casa' prestato per la stessa azienda di cui é dipendente.

Cenni bibliografici

  • Gilles Deleuze, Félix Guattari, Rhizome, Editions De Minuit, Paris, 1975; trad. it Rizoma, Pratiche, Lucca, 1977.
  • Ivan Illich: illusorietà degli strumenti di misura economico-statistici; centralità del concetto di scarsità; 'lavoro ombra': Shadow Work. London & New York: Marion Boyars, 1981; trad. it. Lavoro-ombra, Mondadori, Milano, 1985. Toward History of Needs, New York: Pantheon Books; trad. it.: Per una storia dei bisogni, Milano: Mondadori, 1981.
  • Hernando De Soto: esigenza di 'leggi buone' se si vuole portare alla luce l''economia informale'; imprenditorialità diffusa offesa dalla burocrazia: Hernando De Soto, El otro sendero, Lima: Instituto Democracia y Libertad, 1986 (disponibile anche in altre edizioni, p. es. Bogotà: Oveja Negra, 1987).
  • Guy Debord: guardare fuori dal cono di luce della comunicazione di massa, e della informazione ufficiale: La Société du spectacle, Paris: Lebovici, 1971. Commentaires su la Société du spectacle; trad. it. Milano: Sugarco, 1990.
  • Dietrich Bonhoeffer: etica della sofferenza accettata (portare la propria croce); farsi carico di tutti i pesi possibili come stile di lavoro: Widerstand Ergebung, prima ed. 1951, ora München. Chr. Kaiser, 1970; trad. it. Milano: Edizioni Paoline, 1988.
  • René Thom, Edgar Morin: catastrofe, momento di rottura, evento come oggetto d'indagine. Edgar Morin (a cura di) Teorie dell'evento, Milano: Bompiani, 1972.
  • Paolo Fabbri: sguardo capace di cogliere (positive) differenze anziché deficit: Le comunicazioni di massa in Italia: sguardo semiotico e malocchio della sociologia, VS, 5 (1973).
  • Philip K. Dick, Ursula Le Guin, William Gibson (esemplari tra gli scrittori di fantascienza): scenari futuribili popolati di ruderi tecnologici; grandi organizzazioni che si autoperpetuano in lontananza, senza nessun collegamento con la quotidianità del soggetti.
  • Ancora a proposito di metafore letterarie: Francesco Varanini, "L'organizzazione dei sotterranei, ovvero l'organizzazione sotterranea" (a proposito di Georges Simenon, Les caves du Majestic, 1942): sta in Sviluppo & Organizzazione, 147, gennaio-febbraio 1995.

Paralipomeni, ovvero approfondimento da un punto di vista metodologico

1. La ricerca é di norma riproduttiva. Non guarda -sceglie di non guardare- agli interstizi.

1.1. Non si può guardare agli intestizi nei modi tipici della ricerca riproduttiva.

1.2. Gli interstizi non riconoscono nessun status al ricercatore. Perciò il ricercatore non si avventura negli interstizi se non per 'parlarne male'.

1.3. Negli interstizi le gerarchie e i rapporti di potere non corrispondono a gerarchie e rapporti di potere visibili dall'esterno, ovvero alle gerarchie e ai rapporti di potere delle organizzazioni formali.

1.4. Guardare agli interstizi, "aprire spiragli": vedere fessure negli oggetti altrimenti visti come superfici lisce e prive di fessure. Guardare agli interstizi: parlare almeno per accenni di ciò che normalmente non viene guardato-detto.

2. Ogni ricerca sulle organizzazioni può essere riletta in chiave interstiziale. Tutte le organizzazioni contemplano interstizi - tutte possono essere guardate dal punto di vista delle loro fessure, buchi neri, zone grige.

Per una volta mettere l'accento sull'altra faccia delle organizzazioni. Quella trascurata dalla ricerca 'normale'. La faccia calda, empatica, affettiva, ludica, presente in ogni organizzazione, ma costretta negli interstizi della 'forma' organizzativa.

3. L'organizzazione intersitziale, per essere osservata, necessita di un modello, un approccio euristico, un modo di fare ricerca e guardare ai risultati della ricerca. Significa chiedersi: cosa apparirebbe dietro al Fordismo, al Taylorismo, alle Human Relation, alla Qualità Totale, al Rengeenering, se il ricercatore sapesse guardare agli aspetti non immediatamente visibili dell'organizzazione?

4. L'organizzazione interstiziale funziona sotto/dentro. Vive dietro la facciata dell'organizzazione liscia. Emerge, viene alla luce dove e se non se ne ha timore.

5. Si potrà costruire una mappa dove accanto all'approccio orientato alla formalità -ciò che é normalmente visibile e che si vuole che venga visto- sia affiancato ciò che é invisibile, e che può essere visto solo apprendendo a guardare negli interstizi.

ORGANIZZAZIONE LISCIA

ORGANIZZAZIONE ‘INTERSTIZIALE’

Forma Contenuto Forma Contenuto
 
  • Comunicazioni aziendali

ordini di servizio

ruoli e gerarchie

voci di corridoio, passaparola

visibilità, autorevolezza, line informale

disposizioni operative

norme e regolamenti

lettere e telefonate

relazioni sociali ‘di fatto’

 
  • Sistemi informativi

archivi

documenti di rilievo legale

cassetti e cestini

tesi e modelli ufficialmente scartati

basi adti host

il ‘dover essere’

‘cartelle’ sul discofisso di personal computer

‘voler essere’

 
  • Uso del tempo

orario di lavoro

praxis

‘pausa mensa’ e ‘coffee break’

poiesis

Sintesi poetica

Interstizi

Ho conosciuto palombari,
piloti di Cessna e di bob,
commercianti di monili, portaborse,
poeti d’avanguardia, guardacaccia,
ali destre, catchers,
veterinari, collezionisti di farfalle,
autisti di ambulanze, falegnami,
studioso di cimbro e di eschimese
ma per l’Azienda solo anonimi impiegati
al massimo di primo livello

Pubblicato il 30 ottobre 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

fvaranini@gmail.com https://www.stultiferanavis.it/gli-autori/francesco