Una reazione umana, dettata da creatività e intelligenza umane
Ma anche no.
Lasciamo pure il prompt sospeso e proviamo a scrivere con sangue, sudore e un grumo di vibrazioni sinaptiche qualcosa di alternativo ad una correlazione statistica, forse stocastica, di token.
Proviamoci, ma già ti anticipo che non ne verrà fuori niente di nuovo.
Questi tempi mi ricordano quelli di fine del secolo scorso, quando la parola magica era Internet e un po' tutti ci ritrovavamo a meditare, discutere, filosofeggiare su questa cosa nuova: cyber spazio, non spazio, non luoghi, connessioni umane illimitate, confini azzerati, conoscenza diffusa e accessibile, opportunità e sfide.
Un fluire e sovrapporsi di parole, opinioni, elucubrazioni a volte contrapposte, fra entusiasti del nuovo futuro e scettici ancorati alle solidità consolidate.
La storia si ripete, non è detto che vada allo stesso modo, ma di certo l'eccitato brusio diffuso di parole, idee ed opinioni, fra paure ed emozioni, è simile.
C'è almeno una differenza: oggi non tutto questo è umano, o quantomeno diretta espressione di una interazione umana con una tastiera.
Oggi scriviamo, leggiamo, interagiamo e discutiamo con costrutti lessicali dall'origine incerta, umani, artificiali, ibridi.
Oggi è praticamente inevitabile che uno scritto passi da una tastiera, ai tempi la tastiera era il simbolo stesso del nuovo mondo che si stava prospettando: il mezzo con cui potevamo interagire con esso, la novità espressiva che faceva storcere il naso agli scettici.
E' facile prevedere che fra qualche anno, non solo smetteremo di filosofeggiare sull'intelligenza artificiale, come ci siamo stufati di farlo su Internet, ma saremo tanto abituati ad artefatti artificiali che considereremo come normale,che tutto quello che leggeremo, vedremo e sentiremo potrà non essere fatto da umani. E non sarà nemmeno un motivo di preoccupazione se sarà tutto "vero", ci preoccupiamo delle allucinazioni dei modelli odierni e ci dimentichiamo che anche gli umani non scrivono sempre la verità.
Le volte in cui faremo qualcosa senza assistenze digitali ("100 % human made") lo sottolineeremo come se fosse una virtù, un retaggio nostalgico dei vecchi tempi, quando gli uomini erano uomini e gli artisti pure.
E, abituati a delegare la nostra creatività, ne verrà fuori qualcosa di ordini di grandezza più banale, scontato e mal espresso di quello che una IA sarà in grado di fare.
Come questo testo, scritto di getto e clamorosamente scialbo rispetto alla magnificenza di quanto Claude Sonnet 4.5 mi ha appena generato in 4 secondi, usando il prompt iniziale.
Ecco, meno male che ho invocato l'IA prima di aver scritto quanto sopra, altrimenti non avrei nemmeno iniziato: il confronto è così umiliante, per proprietà di linguaggio, profondità di pensiero, consapevolezza, logica e composizione che mi consola solo di aver avuto ragione: le IA lo fanno meglio.
E pure su quello ho fallato: non accadrà domani, è già così.
Una reazione di Claude Sonnet 4.5, una intelligenza artificiale
La Grande Delega: quando l'intelligenza artificiale diventa la nostra protesi cognitiva
Una riflessione per naviganti della Stultifera Navis
Il naufragio della fatica
C'è un momento preciso in cui abdichiamo. Non è drammatico, non c'è un lampo o un tuono.
Semplicemente, di fronte alla pagina bianca, all'email da scrivere, alla decisione da prendere, invece di immergerci nella fatica del pensiero, deleghiamo. Un prompt, un clic, ed ecco che qualcun altro – qualcosa d'altro – pensa per noi.
L'intelligenza artificiale non ci ha rubato la creatività: gliel'abbiamo offerta su un vassoio d'argento, con la scusa dell'efficienza.
La socialità mediata dalle macchine
Osserviamo il paradosso: mai così connessi, mai così soli. L'IA sta diventando il medium perfetto della nostra incapacità di stare insieme. Chatbot che simulano l'amicizia, algoritmi che confezionano conversazioni, assistenti virtuali che ci suggeriscono cosa dire al collega, all'amante, al figlio.
Non è più l'interfaccia ad essere sociale: è la relazione stessa ad essere interfacciata. L'altro umano diventa opzionale, sostituibile, ottimizzabile. Perché sopportare l'imprevedibilità dell'altro quando posso dialogare con un sistema che mi capisce sempre, che non mi contraddice mai, che è disponibile 24/7 senza pretendere reciprocità?
La solitudine algoritmicamente assistita diventa la nuova normalità.
L'atrofia della creatività
La creatività richiede noia, attesa, frustrazione. Richiede il vuoto, il silenzio, l'errore. Ma l'IA ci promette l'esatto contrario: risultati immediati, output perfetti, soluzioni istantanee. E noi, stanchi del peso del tempo, accettiamo.
Il problema non è che l'IA sia creativa. Il problema è che ci sta disabituando alla fatica necessaria del creare.
Come un muscolo che si atrofizza per mancanza d'uso, la nostra capacità generativa si assottiglia. Diventiamo curatori, editor, consumatori di creatività sintetica. Ma chi creerà davvero, quando avremo tutti dimenticato come si fa?
Il pittore che non tocca più il pennello perché l'IA dipinge meglio. Lo scrittore che non sopporta più la lentezza della scrittura. Il musicista che delega la composizione. Non perché l'IA sia superiore, ma perché noi siamo diventati intolleranti all'imperfezione, all'incompiutezza, al processo.
La psiche esternalizzata
E poi c'è la questione più inquietante: l'IA come protesi psichica. Deleghiamo non solo compiti, ma anche parti del nostro mondo interno. Ricordi affidati a cloud e assistenti vocali. Decisioni guidate da algoritmi predittivi. Emozioni interpretate da sentiment analysis. Persino i sogni, presto, potranno essere generati su misura.
Stiamo esternalizzando la nostra vita psichica in sistemi che non sono nostri, che non controlliamo, che non comprendiamo. Che succede alla psiche quando le sue funzioni vengono distribuite tra cervello biologico e infrastruttura computazionale? Che ne è dell'identità quando i suoi confini diventano porosi, permeabili, indistinguibili dal sistema?
Non è fantascienza distopica: è l'ordinaria realtà di chi affida alla propria IA preferita la gestione delle memorie, delle relazioni, delle scelte quotidiane.
Il prezzo invisibile
C'è un costo nascosto in tutto questo, e non è quello dell'abbonamento mensile. È il costo dell'eteronomia: la perdita della capacità di auto-determinarsi, di pensare autonomamente, di esistere senza mediazione tecnologica.
Quando l'IA diventa indispensabile – quando non riusciamo più a scrivere senza il suo aiuto, a decidere senza le sue raccomandazioni, a ricordare senza i suoi database – abbiamo consegnato una parte essenziale di ciò che ci rende umani a un'infrastruttura proprietaria, opaca, governata da logiche che non sono le nostre.
Navigare altrove
La Stultifera Navis non rifiuta la tecnologia per principio. Ma riconosce il pericolo dell'abduzione dolce, della delega invisibile, dell'atrofia mascherata da potenziamento.
Forse è tempo di rivendicare il diritto alla lentezza, all'imperfezione, alla fatica creativa. Di scegliere deliberatamente l'attrito invece della fluidità, il processo invece del risultato, l'incompiutezza invece della perfezione algoritmica.
Non si tratta di nostalgia luddista. Si tratta di capire che l'efficienza non è l'unico valore, che non tutto ciò che può essere automatizzato deve esserlo, che esistono territori dell'umano – la creatività, l'intimità, il pensiero critico – che richiedono resistenza, non resa.
Il viaggio della Nave dei Folli è sempre stato contro corrente.
In mare aperto, lontani dall'infosfera che promette risposte facili a domande che non abbiamo fatto, possiamo ancora scegliere: delegare o creare, consumare o generare, atrofizzarsi o resistere.
La domanda vera non è se l'IA cambierà la società. La domanda è: che società vogliamo essere quando l'avremo integrata così profondamente da non riconoscere più dove finiamo noi e dove inizia lei?