Go down

La nostra epoca non reprime le emozioni: le organizza. Non cancella il sentire, lo modella. Non censura la soggettività, la normalizza. Eva Illouz, nel suo saggio Modernità esplosiva, descrive una civiltà in cui l'affettività è ovunque, ma raramente è libera. Allo stesso modo, il progetto Calculating Empires ricostruisce le tappe storiche di un processo lungo cinque secoli, in cui emozione e intelligenza sono diventate oggetti di misurazione, controllo, ottimizzazione.


Il punto d'incontro tra queste due prospettive è il riconoscimento di una soggettività strutturalmente catturata: da un lato, attraverso i dispositivi di classificazione e disciplinamento che hanno dato forma all'idea moderna di intelligenza; dall'altro, mediante le nuove tecnologie digitali e affettive che convertono l'interiorità in superficie tracciabile.

È interessante ricostruire questa doppia genealogia del soggetto contemporaneo, attraversando le dimensioni storiche, epistemologiche e tecnologiche del controllo affettivo. A partire dalla lettura incrociata di Illouz e Crawford-Joler, ci si interroga su come l'emozione sia diventata una funzione, l'intelligenza una prestazione, la vulnerabilità un asset comunicativo.

Dalla codificazione ottocentesca delle espressioni facciali alla sentiment analysis, dal test del QI alla distribuzione algoritmica della cognizione, emerge un sistema coerente: quello che porta il soggetto a interiorizzare la propria tracciabilità. Non siamo solo monitorati: ci autogoverniamo secondo i parametri dell'esprimibilità. Il dolore dev'essere raccontabile, la rabbia controllata, la gioia produttiva.

Illouz mostra come la società terapeutica contemporanea abbia spostato il peso del disagio dall'esterno all'interno. La sofferenza non è più sintomo di un conflitto sociale, ma mancanza di strumenti personali. In questo modo, il malessere viene privatizzato e monetizzato: si moltiplicano le app, i percorsi, i format per "gestire le emozioni". Ma l'ideologia resta intatta: se stai male, è perché non sei abbastanza intelligente nel sentire.

Il saggio articola questa critica senza nostalgie. Non c'è un'epoca dell'autenticità da rimpiangere. C'è però un'urgenza di consapevolezza. L'affettività non è un linguaggio neutro. Ha una sintassi, un lessico, una semantica imposta. Riconoscerla significa rientrare in possesso delle proprie variazioni. Significa anche capire che l'intelligenza non è solo calcolo o adattamento, ma anche lentezza, dubbio, disorientamento.

Nella parte centrale del testo, si approfondisce il rapporto tra soggettività algoritmica e codifica dell'affetto. Le tecnologie che ci supportano sono anche quelle che ci leggono. Ogni like, ogni tempo di permanenza, ogni scroll è una micro-espressione emotiva. E ogni micro-espressione alimenta un sistema predittivo. Il soggetto digitale è costruito attraverso risposte misurabili. Il feed è la mappa delle nostre reazioni future.

Ma se ciò che emoziona è ciò che già è previsto, quanto spazio resta per l'inaspettato? Se ogni contenuto affettivo deve generare interazione, che fine fanno le emozioni che non convertono? L'opacità è diventata un errore, la complessità un ostacolo. In questo quadro, l'invito è a pensare a un'etica della non produttività affettiva. A riconoscere valore a ciò che non si dice, a ciò che non si mostra bene, a ciò che non si può comunicare secondo le regole.

La parte finale propone una lettura politica dell'affettività. Il sentire è distribuito secondo logiche di potere. Non tutti possono permettersi di esprimere la stessa emozione. Non tutte le emozioni hanno lo stesso diritto di parola. In questo senso, l'analisi di Illouz si congiunge a una riflessione più ampia sulla disuguaglianza espressiva: la capacità di dire dolore è un privilegio. La capacità di non dover dimostrare sempre equilibrio, è una forma di potere.

In conclusione, la soggettività che emerge da questa analisi è fragile, ma anche potenzialmente critica. Non nel senso del lamento, ma nel senso dell'interrogazione. Una soggettività che non cerca vie di fuga, ma punti di vista. Che non rifiuta il digitale, ma lo problematizza. Che non idealizza l'intimità, ma la difende dalla sua continua esternalizzazione.

Il saggio non offre soluzioni. Offre una postura. Quella che accetta la fatica del pensare affettivo. Che riconosce nel disorientamento una competenza. Che sospende il giudizio rapido. E che, nel mezzo del flusso, ancora si domanda: cosa sento davvero, prima che mi venga chiesto di mostrarlo?


 

Fonti

Kate Crawford, Vladan Joler, Calculating Empires: A Genealogy of Technology and Power since 1500, 2023 (visualizzazione e testo online) calculatingempires.net;

Eva Illouz, Modernità esplosiva. Il disagio della civiltà delle emozioni, trad. it. Einaudi, 2025;

 

Pubblicato il 05 maggio 2025

Andrea Berneri

Andrea Berneri / Head of Architecture and ICT Governance Fideuram ISPB. I turn complex systems into strategies, bridging law, tech, and organization—with method, irony, and precision

aberneri@fideuram.it