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Ogni giorno siamo subissati da notizie, post, eventi che in un modo o nell'altro parlano del superamento del vecchio paradigma della ricerca Internet nella direzione di servizi che assistono proattivamente il cliente a caccia di informazione in maniera intelligente e con un'efficienza mai vista prima. Un esempio (magari nemmeno tra gli ultimi usciti) è il servizio di chat del Washington Post, che offre ai lettori digitali la possibilità di ottenere risposte alle loro domande sfruttando il database di articoli del prestigioso quotidiano a partire dal 2016. Ultimo di una lunga serie, il servizio RAG del WP.


negòzio s. m. [dal lat. negotium «attività, occupazione, affare, traffico», comp. di nec «né» e otium «ozio, inazione, riposo dall’attività e dagli affari»]. (da Enc. Treccani)


Per carità, tutto giusto. Da tecnologo che lavora nella Ricerca e Sviluppo per un'azienda di comunicazione di massa, come potrei non apprezzare questo fenomeno?

Vorrei tuttavia soffermarmi a riflettere (e a farvi riflettere) su quanto accade utilizzando una narrazione metaforica per poi abbozzare un semplice approccio teorico attorno al concetto di negozio dell'informazione.

Immaginiamo uno scenario del recente passato nel quale un cliente intento a fare shopping di indumenti entra in un grande magazzino, pieno zeppo di capi d'abbigliamento delle più svariate marche e delle più variegate caratteristiche e materiali. Il magazzino conta migliaia di pezzi, tutti perfettamente organizzati in reparti, linee di moda, scaffali, rastrelliere e testate dai quali il cliente può selezionare facilmente e osservare i capi, fino alla sua decisione finale di acquisto. Dispersi nella miriade di corridoi ci sono un numero ragguardevole di assistenti alla vendita, che con fare il più delle volte cortese e non intrusivo, provano a fare qualche domanda ai clienti indaffarati a rovistare tra le pile di indumenti o a invitare i più distratti a formulare qualche necessità che indirizzano con perizia. Dopo una buona ora passata tra scaffali e camerini prova, e dopo aver messo a dura prova la pazienza di qualche assistente, il cliente ha deciso: comprerà un paio di pantaloni ed una sciarpa - alla fine è quello che gli serve davvero - anche se era entrato pensando di comprare anche un berretto che però non ha trovato.

Dopo qualche anno passato all'estero il cliente ritorna nella sua città natale e trova uno scenario decisamente cambiato: egli entra nel solito store ma al posto degli scaffali e delle testate in bella vista trova un punto accoglienza luminoso, moderno e allietato da una dolce musica di sottofondo. Dopo pochi secondi un assistente si avvicina chiedendo cosa stia cercando. Il cliente, un po' confuso, dichiara di volere una camicia di cotone a tinta unita con collo all'italiana. L'assistente è straniero e capisce abbastanza bene l'italiano, ma non ha ancora sviluppato una buona padronanza con il lessico merceologico. Pur tuttavia non pone ulteriori domande e si allontana dietro una porta opaca, lasciando il cliente da solo presso il banco accoglienza. L'assistente, tra sé e sé, formula qualche ipotesi: << So cosa è una camicia, mi pare ovvio che debba essere tinta - anche se non ho capito bene la questione dell'"unito". In quanto al collo alla italiana non saprei - forse il cliente intende particolarmente vistoso e sgargiante? Ma sì, in fondo l'Italia è un paese meravigliosamente colorato e accogliente - vorrà sicuramente dire quello >>. Muovendosi tra i corridoi angusti del magazzino egli seleziona, sulla base dei criteri che ha formulato poco prima, un numero abbastanza contenuto di indumenti a causa del fatto che la capienza del suo cestino è piuttosto ridotta e che deve fare il più in fretta possibile. Mette in fondo le camicie che secondo lui piaceranno meno al cliente ed in cima quelle che conta di vendere. Passa poi il tutto alla sua collega, addetta alla proposta di vendita. Ella, dopo aver ascoltato dal primo addetto la richiesta originale del cliente, analizza velocemente il carrello e riordina parzialmente le camicie escludendone alcune che secondo lei non erano esattamente a tinta unita come voluto dal cliente. Poi si accorge che le camicie hanno tutte dei colletti piuttosto vistosi, dal taglio fantasioso e irriverente e dalle colorazioni sgargianti e talvolta stonate. Ne conclude che il magazzino non ha ciò che il cliente desidera e si presenta da quest'ultimo all'accoglienza con un messaggio di scuse.

Il cliente è deluso. Si ricorda di quanto quel negozio fosse fornito e affidabile in passato e si lamenta apertamente con l'assistente per il tempo (poco per la verità - solo 5 minuti) perso inutilmente. Mentre va via innervosito, osserva un altro cliente prendere la via dell'uscita con addosso un improbabile paio di pantaloni rossi a pois. Pare contento, e al telefono con un amico racconta di aver vissuto un'esperienza eccitante e di aver trovato le risposte alle sue domande in maniera celere e convincente. << Sono proprio degli esperti di moda questi qua! Mi hanno confezionato al volo i pantaloni cucendo parti provenienti da capi diversi e il risultato è davvero fantastico - sembra fatto da quel famoso stilista! >>

Girando l'angolo il cliente dà un'occhiata all'interno del negozio e si accorge che scaffali, testate e rastrelliere sono ancora là e contengono esattamente gli stessi assortimenti di qualche anno addietro! Quello che è cambiato è che ora c'è il punto accoglienza che prima non c'era, che al posto di tanti assistenti di vendita ci sono solo 2 impiegati e che c'è in più un laboratorio di cucito.

Vabbè, la storiella finisce qui. Forse molti di voi la troveranno davvero sciocca e si pentiranno di aver speso il loro tempo (per la verità solo un paio di minuti) a leggere le farneticazioni di un tecnologo disagiato. Ma ciò che racconta la storia, fuor dalla sua metafora, non è esattamente ciò che sta succedendo oggi nel mondo dell'informazione digitale?

Quante volte, usciti felici da qualcuno di questi moderni negozi dell'informazione, vi accorgete pian piano che le risposte ricevute sono in fondo come gli improbabili pantaloni rossi a pois della mia storia strampalata?

Con questo voglio dire che l'evoluzione alla quale stiamo assistendo va in una direzione completamente sbagliata? Decisamente no (come potrei?). Sto semplicemente asserendo che tale evoluzione - per essere utile - deve essere conservativa ed equipollente dal punto di vista funzionale prima che veloce ed esteticamente accattivante. Per equipollenza funzionale intendo la caratteristica di un sistema B di esibire un comportamento almeno equivalente al sistema A che vuole sostituire, o del quale vuol rappresentare un'evoluzione, rispetto a una serie di criteri di valutazione.

Il criterio dell'equipollenza funzionale dovrebbe essere un criterio guida nel design dei sistemi di accesso all'informazione assistiti da IA, assieme alla conservazione della centralità dei requisiti degli utenti dei sistemi stessi. L'alternativa è rappresentata dal proliferare di soluzioni divergenti dalle necessità effettive, le quali vengono relegate a reliquie di un passato obsolescente e sacrificate in nome di un presunto incremento di efficienza.

Già, ma come misuriamo l'efficienza?

Un modo è quello di darne una caratterizzazione pragmatica, vale a dire definirla come il rapporto tra la qualità ottenuta e il tempo impiegato per ottenerla.

La variazione di efficienza, introdotta al passaggio dal sistema A (tradizionale) al sistema B (assistito), si misura quindi in termini di incremento di qualità dei risultati anche in dipendenza del tempo impiegato per produrli (e a parità di tutte le altre condizioni operative) e va mediata su un numero N consistente di casi (Equazione 1 e 2, dove si sono fatte le dovute assunzioni di differenziabilità delle funzioni per facilità di trattazione).

Si noti come la variazione di efficienza dipenda da due addendi di segno contrastante, rispettivamente influenzati in maniera diretta dalla variazione di qualità e dalla variazione di tempo di produzione. Di frequente, di converso, si tende a considerare come preponderante il secondo, trascurando di valutare il primo.

Efficienza a tutti i costi?

E' quindi sufficiente comprimere i tempi a parità di qualità? O aumentare la qualità a parità di tempo?

In verità, andrebbe considerato che non tutti gli incrementi di efficienza sono convenienti, laddove esistano degli incrementi di costo ad essi collegati e misurati negli M punti chiave del processo. Un buon indice di convenienza dovrebbe tener conto di questo aspetto e ad esempio essere definito come rapporto tra efficienza e costo:

Adottando questo punto di vista diventa chiaro come il problema di valutare quanto un'evoluzione di un sistema sia conveniente sia non solo un problema tecnologico (anzi) ma essenzialmente un problema di carattere logistico - organizzativo. Inoltre, esso dipende fortemente dalla rappresentatività dell'insieme di casi usati in valutazione.

Già, ma qualche arguto osservatore dirà: come misuro Q? Il parametro di qualità è intimamente legato al soddisfacimento delle aspettative del cliente. Nel caso del negozio di abbigliamento la qualità è quanto più elevata quanto più il cliente esce dal negozio soddisfatto. Nel caso del negozio dell'informazione stimare Q è ovviamente più complesso ma è analogo e può riferirsi alle classiche metriche di accuratezza nell'ambito dell'information retrieval. Un sistema di information retrieval B super veloce rispetto ad un sistema iniziale A ottimizzerà una parte della Equazione 1 ma se la qualità del risultato degrada non è detto che questo si traduca in un incremento di efficienza, dato che quello che conta è la somma dei due contributi finali dell'Equazione 1. Non solo, tutto ciò deve essere valutato per tutti gli N casi in esame (Equazione 2).

A livello di convenienza complessiva, infine, la variazione negativa di costo (risparmio) nei punti nevralgici del processo incide positivamente su di essa, a patto che non vi sia una contemporanea variazione negativa di efficienza (Equazione 3).

Al di là di tutto questo formalismo, che chiaramente è solo abbozzato e necessitante di ulteriori approfondimenti, il punto chiave è rappresentato dalla necessità di affrontare in maniera olistica e strutturata i fenomeni che stanno alla base del futuro negozio dell'informazione senza farsi fuorviare dalle stanze dorate e dalle musiche di sottofondo delle sue sale d'attesa.

Da dove nascono i costi?

L'introduzione di componenti di IA nel processo di produzione del negozio dell'informazione implica in maniera diretta la nascita di nuovi costi e la variazione di costi esistenti. Ad esempio è necessario introdurre costi correlati all'utilizzo in vasta scala dei servizi di IA in cloud, l'approvvigionamento e il mantenimento di infrastruttura on premise, costi di licenza software, di personale specializzato ecc. ecc. Le variazioni possono invece riguardare la modulazione delle risorse impiegate in alcuni passi del processo o in merito all'impiego di personale con differente qualifica. Sebbene molti di questi costi possano essere di natura fissa, non dipendano cioè dal numero di prodotti richiesti, è relativamente agevole proiettarne il peso sulla singola richiesta del cliente, validando l'approccio formale dell'Equazione 3.

L'aspetto generativo

A qualcuno (suppongo non pochi) non sfuggirà che nel discorso fatto manca una variabile fondamentale e cioè che i sistemi "intelligenti" (o per meglio dire basati su paradigmi RAG più o meno sofisticati) fanno un'operazione in più rispetto ai sistemi "tradizionali": elaborano una sintesi ragionata dei risultati, sostituendosi - in buona sostanza - al giudizio analitico (in itinere o finale) del cliente. Quanto questo comportamento sia davvero un vantaggio dal punto di vista dell'efficienza e convenienza complessiva come definiti poco sopra andrebbe affrontato come elemento aggiuntivo, e modellato come parte del processo decisionale che porta alla definizione del parametro di soddisfazione finale (Q). Non credo tuttavia che sia questo l'elemento sostanziale in grado di sbilanciare il discorso verso una acritica accettazione dei sistemi in questione, rimanendo invece cruciali le capacità di indicizzazione/organizzazione e filtraggio che stanno a monte.

In conclusione?

Credo che la responsabilità di favorire un'evoluzione sana del negozio dell'informazione, in linea con l'etimologia stessa della parola, sia in capo ad entrambi i suoi stakeholder, che devono mettere in atto determinati sforzi: da una parte i provider di contenuti ed informazione devono (ri)mettere al centro la qualità dei propri prodotti (=informazioni consegnate al cliente) e saperla misurare in maniera adeguata, magari mettendo in secondo piano la tentazione di fare marketing, dall'altra il cliente deve essere maggiormente sensibilizzato, innanzitutto, al rispetto dei propri bisogni informativi e non accontentarsi di ricevere velocemente risposte accattivanti ma qualitativamente subottime. Se infatti far andare a spasso qualcuno con un paio di pantaloni stravaganti può essere inizialmente divertente e attirare occhiate di interesse, a lungo andare l'insoddisfazione dei molti altri clienti non può che avere un impatto negativo di gran lunga superiore sulla credibilità (e quindi sulla sopravvivenza) del negotium.


Pubblicato il 02 gennaio 2025

Alberto Messina

Alberto Messina / AI Manager & Head of R&I Unit at Rai - Radiotelevisione Italiana

alberto.messina.rai@gmail.com