La centralità delle emozioni nella vita degli umani è indiscutibile. Noi, esseri viventi, percepiamo l’ambiente esterno ed entriamo in relazione con l’altro da noi (la natura e i nostri simili) attraverso i sensi, che sono le nostre finestre sul mondo. Il che significa che viviamo il mondo attraverso il corpo. La struttura del corpo delinea lo spazio entro cui ci muoviamo. La sua posizione ci dà informazioni sull’ambiente e ci consente di reagire agli stimoli che riceviamo. Anche ciò che sappiamo di noi stessi parte dalla conoscenza del nostro corpo, dei suoi stati interni e dalla sua posizione nello spazio.
L’interazione tra organismo e mondo produce emozioni.
Nella storia umana, e in particolare in Occidente, per un lungo periodo le emozioni sono state considerate forze oscure, irrazionali e immodificabili, contrapposte alla chiarezza della ragione, che si è assunta il ruolo di controllarle. Si è generata una contrapposizione tra corpo (sede delle emozioni) e anima/mente, sede del logos, (discorso razionale) che ha avuto una lunga vita. Un dualismo che ha raggiunto l’acme con Cartesio. Filosofi come Spinoza ne hanno dato una valutazione diversa, ma dobbiamo attendere la ricerca fenomenologica, Nietzsche, Freud e il pensiero femminile per cominciare ad avere una adeguata valutazione del corpo e delle emozioni.
Oggi, un grande aiuto nella comprensione delle emozioni ci viene dalle neuroscienze, dalle nuove tecniche di ricerca sperimentale che permettono di guardare quello che avviene dentro il nostro cervello. Particolarmente interessanti sono gli studi di Antonio Damasio, neurologo di fama mondiale. Per Damasio è necessario rivalutare il ruolo delle emozioni e dei sentimenti nel loro rapporto con la mente. Le emozioni sono programmi di azione complessi, messi a punto dall’evoluzione che ci consentono di adattarci all’ambiente e di sopravvivere come specie. Sono manifestazioni dirette del corpo, risposte chimiche e neurali a modificazioni dell’organismo a causa di stimoli esterni. Quando diventiamo consapevoli dello stato del nostro corpo abbiamo sentimenti cioè immagini mentali, coscienti, delle modificazioni indotte nel corpo dallo stato emozionale. Le emozioni durano poco, ma su queste si costruiscono i sentimenti, che, tramite il corpo, sono alla base delle relazioni e dei legami con i nostri simili.
Emozioni e razionalità sono strettamente connesse
Damasio, critico nei confronti del dualismo cartesiano, della separazione netta tra corpo e mente, riprende Spinoza e fa sua l’intuizione spinoziana per cui emozioni e sentimenti sono strategie di adattamento all’ambiente finalizzate allo stare bene. Riprende inoltre il conatus spinoziano, sforzo mirante all’autoconservazione (ciascuna cosa, per quanto sta in essa, si sforza di perseverare nel suo essere libero (III Propositio 6), con il concetto di omeostasi, l’insieme dei processi di regolazione a cui tutti gli organismi sono sottoposti:
Non soddisfatta dal dono della semplice sopravvivenza, sembra che la natura abbia avuto un magnifico ripensamento: la dotazione innata a disposizione degli organismi per la regolazione dei processi vitali non mira al raggiungimento di uno stato neutrale – una terra di nessuno – tra la vita e la morte. Piuttosto, obiettivo dell’omeostasi è quello di offrire uno stato di vita migliore della neutralità, uno stato che noi umani, prospere creature pensanti, identifichiamo con la buona salute e il benessere
L’omeostasi è pervasiva e non riguarda solo i meccanismi metabolici (l’emergere di sistemi nervosi sempre più complessi, nell’ambito della selezione naturale) ma riguarda anche la cultura che è emersa con l’homo sapiens grazie a un a “regolazione omeostatica” delle facoltà intellettive attraverso le emozioni.
In definitiva, le emozioni e i sentimenti sono ‘alleati’ della razionalità:
- sono essenziali nei processi educativi, formativi e in generale in ogni relazione;
- sono inoltre fondamentali nel momento in cui bisogna prendere decisioni cioè ragionare in una situazione di incertezza. Damasio dimostra che senza emozioni e sentimenti nessuno è in grado di orientare la propria vita. Infatti i pazienti con lesioni cerebrali nella regione prefrontale perdono la capacità di provare alcune emozioni connesse con la vita sociale e, pur avendo integre la memoria e l’attenzione, non riescono più a operare scelte o lo fanno in maniera confusa.
Molti pensano che le decisioni migliori nascano da una mente fredda, solo razionale. Persiste in tanti la convinzione che la razionalità e la sua capacità di controllo delle passioni sia o debba essere alla base delle scelte migliori, mentre studi recenti dimostrano che per compiere delle scelte sono necessarie proprio le emozioni. Infatti gran parte degli errori di giudizio che noi imputiamo alle emozioni riguardano, secondo la psicologia cognitiva (Kahneman,) la struttura del meccanismo cognitivo e in particolare del sistema 1: sistema 1 (pensiero veloce, intuitivo, automatico); sistema 2 (lento, logico, pigro). Quando pensiamo a noi stessi, ci identifichiamo con il sistema 2. Non è così, è prevalente in tutti il sistema 1.
Emozioni e razionalità sono strettamente connesse. Ogni nostra decisione è influenzata dalla nostra personale esperienza, da quelli che Damasio definisce “marcatori somatici”, segnali a livello fisico che sentiamo quando ci torna in mente il risultato di una scelta fatta in passato. Sensazioni piacevoli se la scelta ha avuto un esito positivo, spiacevoli se negativo. La maggioranza dei marcatori somatici è stata generata nel nostro cervello durante il processo di formazione e di socializzazione, ma continuiamo ad apprendere per tutta la vita.
«Le emozioni contengono un ineliminabile riferimento a me, al fatto che si tratta del mio complesso di scopi e di progetti. Esse vedono il mondo dal mio punto di vista».
Le emozioni, pur avendo una base biologica, si muovono all’interno di una relazione tra natura e cultura. Mutano nel tempo perché la natura umana è plasmabile ed esposta al cambiamento. L’essere umano non ha istinti, ha pulsioni (Freud).
Nella regolazione delle emozioni, ovvero nella capacità di riconoscere le emozioni in sé e nell’altro da sé e nell’utilizzare tale consapevolezza nelle relazioni, ha una grande rilevanza il processo educativo. Il bambino impara a dare un nome ai suoi stati interni attraverso l’apprendimento del linguaggio e, con le parole, impara a distinguere le sensazioni che prova. L’emozione in quanto vissuto (si fa male e prova dolore) precede la parola, ma l’emozione come “stato interno” di cui si ha consapevolezza segue la parola. Le emozioni le impariamo.
Shakespeare nel Macbeth: “date parole al dolore; la sofferenza interiore che non parla sussurra al cuore troppo gonfio fino a quando si spezza”.
L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere le proprie e le altrui emozioni e di utilizzare tale consapevolezza nelle relazioni. La carenza di questo tipo di intelligenza rappresenta un problema serio perché incide sulla capacità di creare relazioni solide e di prendere opportune decisioni.
Analfabetismo emotivo
Oggi, secondo molti studiosi, ci troviamo di fronte a un diffuso analfabetismo emotivo
Quali sono le cause?
- Viviamo in una società individualizzata, dominata dal principio di prestazione, che esalta la ricerca personale del successo e del riconoscimento sociale. Di fronte alla precarietà dell’esistenza, alla provvisorietà dei ruoli e alla superficialità del senso, dilaga la tendenza a disinvestire le proprie energie emotive da tutto ciò che esula dal culto di sé e della propria immagine (homo psycologicus).
- Il nostro tempo è caratterizzato da un eccesso di stimoli – basta pensare all’uso eccessivo dello smartphone -- che producono effetti negativi soprattutto sui bambini. La sovrastimolazione rende difficile il riconoscimento e la gestione delle emozioni.
- L’impatto di Internet e delle piattaforme social sulle emozioni è enorme, sta cambiando il nostro mondo emotivo. È da rilevare innanzitutto la mancanza del corpo cioè la mancanza di tutte le informazioni presenti nell’interazione vis à vis. Mancanza che spesso porta a un timore nei confronti dell’altro che si traduce in un atteggiamento aggressivo. Inoltre, se è vero che sulle emozioni si costruiscono i sentimenti, è difficile costruire sentimenti in rete dal momento che siamo subissati da stimoli che producono emozioni istantanee e fuggevoli.
Viviamo in una realtà in cui le emozioni, da un lato, subiscono ogni tipo di manipolazione per opera dei media, dall’altro vengono esaltate in maniera acritica perché sembrano esprimere gli aspetti più autentici e liberatori dell’individuo. Dovremmo, invece, riconoscere l’importanza della loro funzione, acquisire la consapevolezza che non sono immodificabili, che dipendono dalla visione del mondo dominante, dalle convinzioni e dalle esperienze personali e… dalle interfacce che utilizziamo.
Per migliorare la relazione con l’ambiente circostante, gli esseri umani, fin dall’antichità, hanno inventato e utilizzato strumenti e artefatti. Questi, da un lato, permettono un’estensione dei sensi, e, dall’altro, valorizzandone alcuni, alterano l’equilibrio sensoriale. Il modo in cui è possibile interagire con gli artefatti, cognitivi o tecnologici, è l’interfaccia che diventa una porta di accesso al mondo e che, come tutti i media, provoca reazioni: le emozioni.
La rete ha amplificato le emozioni, ma le ha anche uniformate. Ha reso possibile una comunicazione istantanea tra persone lontane e ha permesso loro di esprimere le proprie emozioni attraverso una comunicazione senza corpi. Sappiamo che nella vita reale le emozioni si esprimonoinnanzitutto con il linguaggio non verbale: con i gesti, con gli abbracci, con il tono della voce, con lo sguardo. Nella rete sono sostituite dalle emoticon cioè da una modalità espressiva unica e standardizzata. Anche i contenuti si sono omologati. Il racconto di sé in rete tra persone che non hanno un rapporto profondo tende inevitabilmente a uniformarsi e a rimanere in superficie. Eppure si assiste a una esposizione dell’intimità, sia essa costituita da esperienze di sofferenza che di piacere, mai vista prima. La sensazione che si ha ‘navigando’ è quella di vivere in un mondo omologato. Esattamente il contrario di quello che ci saremmo aspettati agli albori della rete.
Cosa cambia quando la relazione avviene con le nuove tecnologie digitali
Sulle emozioni si fondano i sentimenti che creano legami. Ma che cosa cambia quando la relazione avviene con le nuove tecnologie digitali, le tecnologie immersive, che portano a vivere esperienze sensoriali in modo diretto, senza il corpo? Questi media conducono a una ristrutturazione delle relazioni a tal punto che ci si chiede se le emozioni che si provano nel mondo digitale siano le stesse che proviamo nella vita reale. Sicuramente la sollecitazione sensoriale che un bambino (o un adolescente) ha in uno spazio virtuale non ha confronti con quella che può avere nel mondo in cui vive.
Nella vita reale ci si può distrarre e decidere di fare altro, mentre, nel cyberspazio, gli stimoli sensoriali sono istantanei e incessanti e provocano una emotività che, sola, regola i comportamentie non dà luogo ad alcun sentimento. Fa crescere, invece, l’impulsività, fa diminuire la pazienza e la capacità di tollerare le frustrazioni. Il rischio che si profila è quello di avere giovani anaffettivi, incapaci di creare relazioni autentiche. Inoltre l’utilizzo dell’avatar, nelle esperienze immersive,rende possibile la rappresentazione di sé attraverso un corpo perfetto che non corrisponde al corpo reale, ma all’immagine mentale che ognuno ha di sé. Anche in questo caso, i rischi sono molti.
Fra tutti, il più pericoloso è quello di vivere meglio nel mondo virtuale, più rassicurante. E di estraniarsi gradualmente dalla realtà, dai contatti fisici.
Anche ciò che sappiamo di noi stessi parte dalla conoscenza del nostro corpo, dei suoi stati interni e dalla sua posizione nello spazio.