"Le poesie qui pubblicate fanno parte di una raccolta, LINEE DI TERRA, presentata a Bologna in lettere 2017. Sono poesie che creano suggestioni, forniscono indicazioni di senso, che le scelte lessicali e stilistiche della poetessa lasciano solo intravedere. Suggestioni e indicazioni vanno nella direzione di un testo che si autocostruisce per spazialità e metacognizione. Ne scaturisce una scrittura che indaga se stessa perimetrando percorsi di senso-suono per accumuli progressivi di spazi e tempi, sottoposti a volte a sguardi beffardi, e per sottolineature di lessemi che ne fanno deflagrare lo spiazzamento continuo. E’ una scrittura che descrive se stessa nel suo darsi: “scarabocchio tragitti mutilando caratteri (suoni)/ getto scambi agili e marce indietro oppure”, oppure si pone in relazione da un tu, come nel verso dove “si marca profondo sotterraneo geografia di te. E di te”. La collisione generata dallo spiazzamento continuo dei termini, come nell’incipit della seconda poesia: “Peristilio in moli inaliamo biancori e intermittenze”, non nasconde la ricerca di una interna coesione, fatta di ritmi o cesure metriche che vorrebbero dare vita anche a quei “vuoti che sfarinano materia/inerte per controprova chimica”. Il gesto della poeta di graffire in braille sul granito fotografa l’attimo della creazione poetica, quella in cui lo stesso vuoto, necessario alla creazione, prende vita, sotto il calore madido di polpastrelli che ne saggiano la consistenza di “rimiscuglio organico”." - tratto dalla recensione di Loredana Magazzeni
Storni
Rimani tra rovelli di perché lungo il sentiero
tra il fitto scomporsi d'erbe (fiori) sterpaglie.
Un prisma che fraziona il turbamento in fragili tensioni e mostra tracce lineari d'ogni illusione.
Spettro maledetto sei specchio cui guardo attraverso pallide bande su parole senza scrigno
quanto io son cane tenuto a stento e latro squassando canapi di mano da animale vivo.
Frammenti da cogliere in volo magia che il tempo o il caso regala agli arditi? I sentimenti lievi tramutano in stagni acque senza fondo, oceani.
Trappole illudono i sogni l'aver vissuto nobiltà di senso trucco dell'inganno
e scivola in cenere anche il buono.
Al centro del mio mistero tracce impermanenti. Tra desiderio e ansito piango l'incompiuto.
Trattenere. Non so. Far dipendere il desiderio è peso
di un desiderio senza dimensioni. Forse. Misuro
e ancora rilievo lo scarto o la caduta in qualche errore
che diventi conferma dell'incommensurabile consistenza di un metro.
Un vuoto sfami l'abisso con naturale imprecisione.
Governami lieve riposerò al tuo fianco dietro sciupio e mute io perdente
nel timore che il tuo modellare ingiusto si volti a una parola di troppo o gridi mentre elusa mi sento salva
al riparo da quel ero-sono-sarò.
La scaglia del tuo amore non fenderà
nel mio rifiuto né sale succederà al fuoco. Cingo in dono la grazia buona
cui spetta in accordo col destino
la dose del peso ripartito (a lui l'affanno) stesa sopra di me spoglia di vesti.
Matrice del fuoco che non conosce fiamma governata su navi da mille vele mai vedrai le terre del sommerso
volgari Sestanti per orizzonti sfusi all'imbrunire di incroci nel finto traguardare si contentano di appariscenze
e scorze di frutti.
Quanta acqua da scevrare mentre solco
di me occhi stanchi.
Accantono. Stendo vesti.
Frammenti confusi. Briciole di pasti frugali. Il muro è là all'ingresso
dove l'io si annida con la tenacia dell'assurdo. Troppa isola di suoni messi a fuoco. Occuparsi è diventato l'unico amplesso.
Se nell'arco degli orli incastono baci frattali che moltiplicano emozioni definisci curva, dipingi fiamme ignora ogni ricorsivo e inventami. Mancherà aria in bocca, occhi orecchie, mani smaniose di fiato
in fianchi fradici di maree, parole. Tutto. Quello basta e voglio.
Pratiche di sedizione
Era estate tempo fa ora il gelo copre il legno. Placa l'onda priva di spuma tace. Taccio.
Di noia e di umido. Di niente ch'era caldo. Protendo remi lontano da reti a strascico.
Lì nel fondo che si arma da ratti e scempio tengo nascosto il battito.
Tocca il nervo il peso dell'impossibile.
Al di qua del ponte son funi tese ancorate a terra ma io salpo con premura di chi ha smania
di trovare acqua e pace. Furia.
Si macchiano di polvere in cieca picchiata
i battiti inutili
simil ossessivi primeggiano al più completo meritevole di sgorgare
ignari non vedranno luce quando riposerò infine nel quieto i sensi respireranno gli occhi
con labbra di fortuna.
È monotonia
Letargo di brace in penombra
o polveri di mattoni invisibili all'evidenza. Fammi posto.
Ti indico il sentiero (la via)
più breve a scansare
densi mescolarsi di futile fumo
tanto sprofondano orme
nella terra madida di sapori
che vivono sangue e polsi
di me incompiuta a sciami.
Incaute distrazioni
Quante ricadute appena scorgi un fiore di lato
sul margine di strade mi racconto viaggi tesso
fili d'erba con trecce di profumi nodi in gola e stupori. Le assenze fanno imbastiture polverano interni intorpidiscono braccia gambe in assetto di grazia
e pendoli mancano il tempo tutto scorre tutto fermo l'attimo confina di qua sensi sensi di là
almeno vi fosse una ragione pur in piccole dosi.
Deserto
Sete. Pozzi appassiti di fiori
se seguo lune, miraggi e follie all'indietro perdo tutti
i grani di sabbia del tempo in clessidra dove strozzata nel collo
non decido pavimento dal tetto
ferma a metà tra immagine e vetro.
Un giro di un giro o forse due
e chi sceglie, non io, è il fato confonde intorno, specchia figure distorce strano sul vero
chiude il convesso senza rumore.
Fame. Pozze stagnanti di fuori inganno subito mente, sogni
nel piccolo mondo qui ieri
è già lontano e tutto muta
nell'atto di una ciocca al vento impalpabile moto angolare
trapestio profondo in salita.
Una parola di una parola o forse due abita perché morta
in mani qualunque esalata scarna di murice e ostro flautato che l'altrove ascolta e dice.
Frangenti di assoluto in cui stendersi ad asciugare
e la pena sublima al sole quel profumo di bucato ché fuori si odora di terra o salmastro o vita animale. Ho narici su pensieri da sfrondo con mani ferme
se il frutto è sano quanto il desiderio e la cura chi pota per davvero ottiene più d'ogni fame.
Resti e derive
Come mi amassi sdrucio appresso pensieri di un tempo smagliando punti ai confini.
Dirigo strade deserte sotto soli e sicomori
ciottoli e terra dall'odore di resina
poi accantono sorrisi in appunti di seta rido
se per sbaglio uno vola bambino allo sfioro delle pagine. Quante cose scritte su mura di refoli
vogliose di nome e intatto pronunciare sei tu! Assolo invece brani quei pezzi acerbi
che risuonano nei corpi spartiti di incertezza. Musica arcaica sosta nelle pause tracima notte (silenzio) andante randagio.
Come misurassi in aurea disamino curve di madreperla perfetta follia amigdala cruna per debolezza.
Un quasi premere la bocca
se addomestico il profilo
nel viaggio / i corpi profumano di musica tra dita fragranti. Rugiade sfigurano vespri
in sere chiarite di gloria
alla rosa di petali e capelli che goccia dopo goccia s'addormenta.
si domestico perfiles
en el viaje / huelen los cuerpos
de música entre los dedos fragantes. Rocío desfigura vísperas
en noches de gloria iluminadas para la rosa de pétalos y pelo
que gota a gota se queda dormida.]
I capelli tra le tue mani per una volta il cielo
violi il silenzio con egual impeto di anche
e verità ai polsi in carnale lucida sottomissione
che sprofondare nell'ovvio è annegare nell'ignominia.
Capelli troppo lunghi serpeggiano braccia
e ascelle a trattenere il nuoto e il moto in acqua
ché immobile non canto né rispondo o chiedo sapendo che manca albero e cera e scoglio d'appoggio
per squame onde e nessuno ad ascoltare il silenzio.
[La terra non sostiene né nutre i cieli allora sabbio profili e spigoli di sponda forse resta qualcosa del bel tempo.]
È chiaro
Intride ogni mio spazio
il tuo passo forte
mentre apri finestre d'inverno e cristalli spiegando falde al sole
tra crini d'ebano
(a riposo in quell'unico cenno antico) nel buio i miei per conforto
solo animale.
Fatti sapore.
Mirami nelle tue semionde. Parlami di rintocchi che dominano le messi fuori stagione
e frutti grondano
stoffe e morbido mai chiedere quanti anni
a che serve il mondo. Dormiamoci dentro.
(Specchio il carapace
la fioritura solenne che anch'io ti possa ingravidare nel marchio del mio seme corrotto dal nonsenso)
Vessillo
In ali torno a prendere forma
di chiaro, scuro, amaro e dorato
di rugiade, palpiti, acceso e cupo. Non c'è inverno se nasci nuovo. Quanto è sottile l'armonico e il giambo in coriandoli allegri soffiati da respiri. Solo uno, gli altri non vestono
metri di infinito in un calamo di piuma.
Vorrei una tazza di te stavolta.
Caldo bollente con la menta fresca dentro.
Come lo bevono a Istambul nei bicchieri bordati d'argento.
E tramonti sbiaditi addosso tra estreme lentezze sull'anfratto di uno sguardo.
Un sorso all'iride e poi alle labbra.
Forse scanso contegni irreali inghiottendo dolcezza.
Sarà il mormorio steso su corde di fantasie finite a spiegazzare.
Étoile
Petali maturi di regali panneggi e scapigliati veli sfoggiano perle dal pianto.
Divina materia.
Sostanza intrisa di spudorata noia.
Profumo di caldo apre il mattino prima della luce su visi ancora immobili.
Sto nella fessura.
Nello spiraglio al margine del sogno
e premo il mio nero su facciate linde.
Nessuno leggerà la fine distratto da spennellate senz'arte tra foglie sempre nuove
nemmeno rastrellate.
Immobilità di colibrì.
Senza fiato o rumore. Frenesia di natura
in cui tutto precipita nell'attimo perfetto apogeo di vita.
[È il contrapporsi di movimento e stasi in dialogo e dipendenza reciproca. È scavare nella vita dei moti dirompenti di pensiero rumoroso. Un fitto lavorare di colibrì dal volo febbrile mentre sorbe immobile con delicata grazia il nettare dei fiori senza domande simbolo di amore e fatica. È bellezza totemica e discreta e coraggiosa incarnazione del dio sole o dei guerrieri del sole impavidi servitori dell’ordine celeste sulla terra. Ne porto un piccolo ricordo rigirato tra le mani quasi a rubare toccandolo la magia immaginata.]
Scorcio squartato di fresco segno che volge in crepa
e fende terra battuta
arsa dal sole obliquo.
Zenit ingrato e perso
in mappe che scuri orizzonti sbrindellano con sogni inganni del credere non credo più vento verrà nutrito.
Metamorfosi
Posseduta da un demone fuggire non è concesso vista obliviata
manco di spada.
Inerme a combattere mi fingerò morta.
E la morte dentro vera o finta
non importa se sento oh se sento! dilania ossa vuote e
piene del male.
Dolgono forte nell'andando di membra stanche in corsa.
Se lascio la coda
/ lupo ferito
ho lasciato un pezzo morsi e tormento / verde sauria
Può ricrescere. Forse rinasce.
[Metamorfosis]
Poseída por un demonio no se concede fuga
veo ofuscado
sin espada
no armas para luchar. Pretendo muerta.
Y la muerte dentro verdadera o falsa
no importa si llora oh si, llama! Rasga huesos huecos llenos de mal. Duelen fuerte
en el cuerpo yendo cansada del viaje.
Si dejo la cola
/ Lobo herido
dejando piezas mordeduras y tormento / lagarto verde
vuelve a crecer. Puede renacer.]
§
Taglio obliquo
Cigni di carta dove il traghettatore affonda i pesi.
Tinniti di catene e ninfee che non sono, non è sponda è stagno. E immobile statua senza fermo di ciglia gemo
corteccia che scivola il tempo nella lastra d'acqua dura.
Netto specchi che la luce riflessa parli, si spogli
e io stessa già nuda colori teli di c'era quadrando
a piedi scalzi metri bradi di non più ancora.
Scorciando passaggi di stato quanto basta piovono briciole da tasche mutilate per errore. Perdo cibo nemmeno torno domani
per pochi spiccioli nulla mi contiene è pretesa
di comprimere acqua e rivolo via nel calco di vita mietendo a grano i cigli in ansia di raccolta.
Ridda di colori nel bianco immobile sotto sere in commiato pretende i tiepidi delle ore.
Gli occhi sanno. Indugiano orizzonti senza pause di resa.
Mi sporco di luci e rimesto impasti di calce per cielo
prima che sputi stelle.
Ho visto abbastanza. Non gioco più. Passo.
Blue Bug
A tracolla le trame più belle senza fissa dimora. Intorno il nascosto il pavimento di quel cielo portatile uguale a tanti ripiegato in fretta se occorre
potrei leggerci dentro un libro una storia
la chiusa che sempre manipolo invano caparbia.
Ho peccato e sarei pianta dal nome che porto
non veggente su intensità in bilico affaccio tra il vuoto.
Lasciami qui così nel mio rumore impossibile di donna capelli (nodi) corteccia tanto brucio senza sporcare.
[Ho imparato che i cieli sono tascabili lì sfogli al bisogno scegliendo al momento su ispirazione. Apro la raccolta e scombino la sequenza: un blu più d'effetto di un rosso oppure un grigio immacolato di presenze o mischio tutto e pesco a caso. Certe volte mi stanco e li dimentico in giro in qualche angolo o conficcati nel muro che alzo con lavoro e fatica e la quota da raggiungere per vederli più da vicino.]
Scale di Escher
Salgo ancora qualche gradino che i miei sono fatti di me e con cura perché io curo il mondo là fuori che però mi sta dentro per come lo vedo dove fate e tramonti e fuochi e meraviglie stanno fuori che così dev'essere se intendo e credo ch'io non son fata né meraviglia né luna o fiamma ma semi sparsi e occhi che lavorano da occhi piedi che misurano a piedi mani che camminano a mano a mano il tempo scorre con le parole mute perché non ha senso dirle se non ti appartengono che le mie date e date via allora non esistono e rimane solo il salire intatti gradini di me in silenzio confidando nella luce.
Segno appunti di foglie su palmi con steli di fiori robusti d'inverno.
Lasciate a me i rami secchi frutteranno ogni spessore di tratto di strada dove giardini gemmano sorrisi o carezze in ascesi d'ombra. Non tagliate arbusti come fan tutti senza fiutare bellezza nel legno gocciante simil linfa e virgulti
così fini da onorare estrosi spazi.
Che rimanga impresso nero miniato d'orme (piante nude) al tocco.
Tattoo
I contorni dell'isola. Graffi ritratti in orrenda posa per chi vive spento
senza fatica alcuna di vita. Solo morte iniqua: venali che abbrancano pelli
e vantano trofei nei palchi con spirito estinto da ogni corno. Piango.
Rimango con me. Così se ci penso rimbomba da fuori oceano il nero
roccia in piccole foglie: la notte ragiona da giorno immune dalla fragilità dell'osso. Preziosi fondi. Scava l’appezzamento o la casa. Il tesoro! Scoperchia e corri
lungo i filari dell’ignoto tra il divino in grotte. Cespugli di minuscole bacche
dove sto io intera col mondo non tutto ma abbastanza poi dentro c'è pace.
Passa dagli occhi incunea le narici scivola l’ombra dei denti. Inerpica
zigomi e setti e lobi temporali. Il verde incolore dello stesso epitelio.
Lucida il teschio. Lucido è il teschio fitto simulacro nella reggia degli eroi
che di finto ha pura immobilità e di invisibile il sonno e di trasparente l’unica maschera.
Tieniti gli allori e tieniti l'erba coi fiori inutile pietra tombale
nei tuoi ammassi di fango sempre rorido dove il freddo corrode le carni.
Tieniti l'immagine speculare dietro la quale ti nascondi contento d'essere visto per quello che mostri io malcapitata in trappola. Troppo tardi il tuo-non-respiro.
[Si perde nella notte dei tempi dell’uomo la pratica del disegnarsi sulla pelle. Un marcarsi spirituale, identitario, taumaturgico. Questa è l’isola nell’accezione più completa e profonda dove i simboli si intersecano e trapassano di senso senza morte, senza paura. Se spaventa è il suo scopo apotropaico: via il male (la morte vera in fondo) via il dolore perpetuo serve coraggio per il teschio, un’indole corsara, una smania di sapere e una impellenza nel conoscere se stessi, quel divino in grotta nascosto sempre tra le scogliere del visibile.
Sto ai piedi del Cristo o sul tavolo dei santi. Sto nelle mani di chi si interroga sull’essere. Sono quello che resta dell’amore, dell’amore di Dio e dell’amore dell’uomo. Dimensione dura e fragile ma preziosa, pura. E poi dentro c’è pace.]
01111269
Il giorno della notte sulla lacrima l'umido delle ossa e sono i capelli impavidi e sono i capelli giù dagli omeri. E giù tutto il peso uno quanto uno è stupefacente.
[Certe notti non respirano, stanno. Inanimate a guardare insonnie intorbidirsi di stanchezze. Non un rumore o un cenno ma beate di tutta loro beatitudine consumano soglie fino all'alba.
Certi mattini non baciano, salutano appena e nel breve incontro in cui scambiano le parti - in cui non sono gli uni o le altre - si abbraccia quell'interezza sospesa che permette di sottrarre di diritto cose belle, al buio inservibili.]
Percorsi in Prospettica Figurata
Nel tempo di uno spazio qualunque inciso per caso
godi l’andamento (culla e sregolatezze al microscopio)
laddove arrestano attimi forzati a simboli
disegni sgravati di scrittura in ordine rupestre.
Scarabocchio tragitti mutilando caratteri (suoni)
getto scambi agili e marce indietro oppure
per voltare pensieri su mappature di ogni ambascia
si marca profondo sotterraneo geografia di te. E di te.
Metafisica della polvere di marmo a pioli
Peristilio in moli inaliamo biancori e intermittenze
dove si è (non si è più)
dissipando il cicalare indistinguibile dall’umano
al buio poi spruzzi o sbaffi
particelle senza fattezze precise oltre le metriche
tendini e corde lontano da gialli lontano da cieli.
Di fatto il vuoto ma tanti i vuoti che sfarinano materia
inerte per controprova chimica.
Le unghie su graniti in braille esplorano nel madido
i polpastrelli saggiano sedimenti di vita propria
in rimiscuglio organico.