DAD, Smartworking, social, metaversi vari, zoom, videogiochi, WhatsApp e Instagram, tutti mondi virtuali che nel periodo della pandemia sono diventati più reali di quanto non lo siano sempre stati. Grazie al Coronavirus, virtuale è diventato anche il viaggio, con grande sofferenza per tutti coloro, come me, che viaggiare lo hanno sempre fatto. Moltissimo per lavoro ma soprattutto per il piacere del viaggiare in sé. Perché per il viaggiatore più della destinazione o la meta conta il viaggiare, a partire dalle letture (In Patagonia, Le vie dei Canti, Terra del fuoco, Capo Horn, ecc.) che lo anticipano, dalla pianificazione che lo prepara, dalla compagnia di viaggio che si sceglie, dalle emozioni che sempre emergono dagli incontri (persone, paesaggi, animali, montagne, città, ecc.) che viaggiando si fanno. Poi si arriva anche a destinazione!
Viaggiare con il corpo
La vita digitale ci ha fatto dimenticare di avere un corpo. Il corpo però, inteso come unità mente(psiche)-corpo rivendica le sue prerogative e i suoi bisogni relazionali, prossemici e cinestetici, ricerca l’incontro con l’Altro, con il suo volto e il suo sguardo, ha bisogno di carezze, anche in forma di parole in presenza. Abituati a interagire attraverso profili digitali abbiamo dimenticato quanto l’Altro, come essere incarnato, possa cambiarci, emozionarci, trafiggerci, nel corpo e nell’anima, come individui e come persone sociali, attraverso i sensi ma anche il semplice tocco d'una mano, in forma di carezza o (con)tatto fisico. E nel viaggio insieme ad Altri tutto ciò può accadere, anzi accade! Con il corpo sempre presente, a volte stremato ma pulsante, spossato ma energetico, all’erta e permeabile, un corpo che a volte spegne la mente, la fa rilassare e riposare!
Viaggiare con altri
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo. Viaggiando molto come ho fatto io, il più delle volte ci si mette in viaggio da soli, o in coppia, e così facendo il viaggio diventa anche un viaggio di formazione interiore, alla Bruce Chatwin.
I viaggi sono i viaggiatori diceva Fernando Pessoa.
Viaggiare con gli altri però regala esperienze imprevedibili, incredibili opportunità per conoscere persone nuove e interessanti, senza pregiudizi, condividendo con loro l’imprevisto, il pericolo, la scoperta, la ricerca di nuove emozioni e sensazioni, da trasformare in ricordi e, perché no, in amicizie. O in compagni per i viaggi successivi che si faranno! A me è successo con due amiche conosciute in Mongolia con le quali si è poi fatto trekking in Bhutan, in Tibet e Nepal, in Alaska e da due anni si sogna di farlo nel Mustang. In viaggio il telefonino si annulla, il viso guarda in alto, fuori dalla cornice dello schermo, ci si guarda, si cerca di cogliere simpatie o antipatie, si comunica e ci si relaziona sempre in contesti mai definiti per sempre, ma fluidi e dalle mille sfumature percettive, emotive, affettive. Si scopre quanto avesse ragione Watzlawick nel sostenere che la comunicazione non è importante solo per il contenuto ma anche per come la persona che parla vuole essere compresa e come pretende che gli altri la capiscano.
Viaggiare leggendo
Ogni mio viaggio è stato accompagnato da letture, prima di partire e durante il viaggio. Non continuerei a ritenere il viaggio di un mese in Patagonia nel lontano 1990 come il più bello mai fatto se non avessi letto Chatwin. Con lui ho percorso KM di strada sterrata solo per vedere la grotta del Milodonte prima del Parco Torres del Paine. Posto abbandonato e solitario ma magico e oggi diventato un punto vendita qualsiasi di gadget da consumo. Con Le vie dei Canti sono andato in Australia.
Con i libri di Coloane e Sepulveda sono ritornato in Cile, Bolivia e Argentina (Isola di Chiloè, Deserto di Atacama e Salar de Uyuni). In India mi ha accompagnato Shantaram, In Vietnam La principessa e il pescatore di Minh Tran Huy, in Tibet Alexandra David-Neel con Viaggio di una parigina a Lhasa. In Nuova Zelanda ho viaggiato con i testi di Katrine Mansfield, in Sud Africa con quelli di Nadine Gordimer, in Namibia con Pieds nus sur la terre rouge di Solenn Bardet, in Mongolia con i romanzi di Ian Manook, in Cina con quelli di Mo Yan e Liu Cixin, in Russia con Nicolai Lilin e Dmitrij Gluchovskij, in Kamchatka con Il Confine di Winslow, in Inghilterra (ogni anno per più di 20 anni, quasi sempre in Cornovaglia) mi ha accompagnato Virginia Wolf , Dickens, Austen e molti altri, in Italia sempre in compagnia di Paolo Rumiz, Claudio Magris. E la lista potrebbe continuare a lungo, perché si legge molto anche dopo essere ritornati a casa e non si smette mai di cercare libri di viaggio, in particolare di quelli messi in programmazione (Iran, Disorientale di Négar Djavadi e altri).
VIAGGIARE COME FUGA
Il primo viaggiatore a sperimentare il viaggio come fuga fu Ulisse, ma c’è stata anche la fuga organizzata da Mosè e quella di Robinson Crusoe, di Tristano e Isotta, ecc. Oggi a fuggire (eufemismo per dire deportazione di massa determinata dal capitalismo) sono milioni di persone, nomadi, migranti, clandestini come li chiama senza compassione qualcuno e che per molti di loro finisce in fondo al mare Mediterraneo o sui fili spinati della Polonia. Si fugge anche dalla povertà e dal precariato, dalla campagna desertificata, dalla politica e dall’impegno, dalle responsabilità e dal dolore, alcuni fuggono per diserzione verso paradisi fiscali o perché sono “cervelli in fuga”.
Di questi tempi si fugge anche dalla Pandemia, anche se si dovrebbe fuggire dalle opinioni fallaci, dai pregiudizi, dalle non conoscenze, dalle fake news e dal credervi in modo superficiale e anche irresponsabile. Ma si fugge anche semplicemente viaggiando. Si scappa lontano da amori andati a male, da spazi ristretti e senza luce, da situazioni lavorative precarie e insopportabili, dal chiacchiericcio trito e populistico, dalla stanzialità, dall’ansia e dalla noia, da paesaggi noti e cementificati, da un paese che non si capisce più, dai No-Vax, dai talk show e grandi fratelli vari, dai social. Si fugge anche dal tempo sincronizzato, oggi anche automatizzato della vita quotidiana per fare esperienza di un tempo dilatato, rallentato, diacronico, il tempo soggettivo del nostro sentire e pensare.
Si fugge viaggiando per domare l’irrequietezza e l’inquietudine del vivere e del tempo che passa. La fuga allora diventa uno strumento terapeutico per dare un senso e un orientamento al viaggio, con destinazione la speranza, la sopravvivenza nel senso di vivere a lungo, la persistenza, forse anche la tanto (a vanvera) citata resilienza.
Viaggiare ai tempi della pandemia
Praticamente non si può, almeno se per viaggiare si intende andare in posti remoti, lontani. Con che coraggio si può ancora viaggiare in Africa, in India, in Brasile, in Nepal, ecc. Australia e Nuova Zelanda sono state chiuse. Cancellati come mete sono anche Stati Uniti e Inghilterra (Cornovaglia la mia meta preferita), paesi nei quali, insieme alla Nuova Zelanda, avevo programmato nel 2019 di trascorre lunghi periodi di tempo viaggiando in lentezza. E in Egitto non ci si va fino a quando non sarà data risposta al caso di Giulio Regeni. Non rimane che viaggiare virtualmente, in TV o sul Web, ma io questo viaggiare lo lascio agli altri. Coltivo il ricordo dei viaggi fatti e il rimpianto di quelli che non farò! Viaggerò con la mente on the road in compagnia di autori che hanno visitato i posti dove avevo pianificato di andare.
Viaggiare lontano
La ricerca di posti remoti, selvaggi, isolati, disabitati, freddi, desertici, inesplorati, autentici, estremi non è casuale. È dettata dalla omogeneizzazione che ha resi tutti simili tra loro aeroporti, divertimenti, città, vie dello shopping, gusti, viaggi e scelte di viaggio e che suggerisce di evitare l’uguale per cercare ciò che ancora è genuino, diverso, non inquinato, non raggiungibile con una APP, magari manco dal GPS, che si offre in modi diversi da quello utilitaristico e consumistico corrente. La globalizzazione, compresa quella tecnologica, ha reso tutto ciò quasi impossibile, a meno che si abbiano risorse sufficienti per viaggiare in luoghi dove nessuna agenzia di viaggio sia mai arrivata per non avere trovato la convenienza di farlo. Però a volte è sufficiente andare a ricercare le aurore boreali alle isole Lofoten, in Lapponia o in Alaska e la globalizzazione scompare. E in ogni caso lo sguardo sarebbe rivolto verso l’alto e non su eventuali vetrine o bancarelle nelle vicinanze.
Viaggiare nel futuro
La pandemia può impedire di ritornare in Sud Africa, non può farlo per i viaggi nel futuro e i viaggi letterari, entrambi entusiasmanti. E se non tornassimo più all’era pre-Covid? E se non ci rimanesse che viaggiare nel futuro? E se la nuova era fosse tecnologica e post-umana? Di questi tempi nei quali si ha la sensazione di non poter viaggiare più, a me piace pensare a ciò che sosteneva Stephen Hawking, un altro autore che ho sempre letto. Per Hawking mentre non si può viaggiare nel passato, lo si può fare nel futuro, attraverso tunnel spazio-temporali o wormhole. Non subito perché la tecnologia attuale non lo permette ma in futuro la sua evoluzione potrebbe permetterci di muoverci (senza muoverci? Virtualmente?....) dentro la schiuma quantistica che caratterizza l’universo al di sotto dei quark e grazie alle incrinature che caratterizzano le dimensioni a noi note: altezza, larghezza, profondità e tempo. In futuro quindi si potrebbe viaggiare dentro tunnel spazio-temporali tra buchi neri diversi, spostandosi in un istante da un posto all’altro dell’universo. Viaggiando con macchine del tempo cosmiche. A chi, avendo letto fin qui, pensasse che questa al momento sia solo fantascienza o fantasticare dico che, in assenza di viaggi sulla Terra, sognare di poterlo fare nell’universo è pur sempre un bel viaggiare…di fantasia e di immaginazione!
VIAGGIARE NEL METAVERSO. NO GRAZIE!