Go down

Celebriamo la vita onlife e nel frattempo contribuiamo alla spoliazione continua della nostra vita quotidiana, unitamente a quella dell’ambiente naturale e fisico.

Come direbbe Alessandro Bergonzoni, siamo tutti impegnati nel tiro alla fine, che non è un gioco perché se la corda si spezza, e si sta spezzando, si cade tutti da una parte o dall’altra. Il tiro alla fine è quello che ci vede tutti entusiasti protagonisti, soprattutto onlife, a raccontarci storie, a fare finta di nulla, a battere il piede al ritmo del Tik Tok Crack, a scambiarci immagini di disastri ambientali e a fare selfie, a celebrare mitologie digitali costruite sui miti della velocità, del rumore (ronzio) dei dispositivi e degli schermi, della felicità (millantata da tanti psicologi positivi ma anche dalla politica), delle prestazioni e del progresso.

Senza interrogarci sul significato di ognuna di queste parole e sulla loro inadeguatezza in un periodo di crisi che ci richiama a cambiare passo, a voltare strada, a interrogarci esistenzialmente e ontologicamente sul futuro e, per questo, a tornare alla vera vita, senza lustrini e paillettes, offlife. Una vita irriducibile al virtuale, “così affascinante, imprevedibile, semplice e complicata, antica e nuova, piena di luci e di ombre, e di mistero…” (Federico Faggin, Irriducibile). 

Il crepuscolo dell'onlife 

Navighiamo a vista ma dotati di GPS e sempre rintracciabili.

Celebriamo la vita onlife (se ne è fatto clerico, normatore e divulgatore un noto filosofo italiano) e nel frattempo contribuiamo alla spoliazione continua della nostra vita quotidiana, unitamente a quella dell’ambiente naturale e fisico.

Percepiamo, sappiamo tutti, che la soluzione che serve è radicale, dolorosa e urgente ma, per dirla con le parole del filosofo John Zerzan, rifiutiamo una rottura totale e per questo diventiamo vittime di un pessimismo che spinge al suicidio.

Per cambiare rotta non ci resta che farci guidare da nuove visioni, nuove parole d’ordine, nuovi concetti e valori, nuovi nel senso che non sono definiti dallo storytelling conformista e politicamente corretto corrente e dalla realtà binariamente e algoritmicamente sincronizzata, del presente continuo attuale (il presentismo ben descritto da Douglas Rushkoff). 

If you have a problem in mass society, you call the cops. The experts. You no longer have any operative connection with yourself or others, or with a functioning community.” - John Zerzan

Tecnologia e ambiente

Tecnologia e ambiente sono le due parole chiave del momento. Su queste andrebbe posta tutta l’attenzione possibile per una riflessione seria e approfondita sulle crisi di un millennio che si trova a una biforcazione vitale, “senza via di scampo” direbbe J. Zerzan, forse definitiva per l’umanità. Il pianeta è surriscaldato, avvelenato, incazzato, e reagisce con rabbia. La società è in ebollizione, alienata, psichicamente e politicamente malata, percorsa da ansie diffuse, stress, paure, dipendenze (anche tecnologiche) e depressioni. Il fenomeno ambientale e sociale, nella sua realtà attuale, racconta la disillusione e il disincanto, il venire meno delle promesse della modernità e l’emergere di innumerevoli criticità che indicano un livello di entropia non più sopportabile né gestibile.

Con la sua volontà di potenza e velocità di fuga la tecnologia non solo si sta rivelando insufficiente a trovare le soluzioni che servono ma, in alcuni casi, sta persino peggiorando le cose. Il peggioramento è innanzitutto cognitivo, culturale e antropo(ceno)logico. È come se fossimo tutti saliti su una giostra planetaria che ci ha ingabbiati, ma soprattutto addomesticati e condizionati, anche attraverso una centrifugazione a secco delle coscienze. La vita è sempre più mediata tecnologicamente in modo non neutrale mentre si allontana sempre più la vera vita, da associare oggi, anche per reazione e necessità, alla vita offlife. Una vita che ci porti a ripristinare i contatti fisici, incarnati, sottili e sensuali, primitivi, erotici e desideranti, con altre persone come noi, ma anche con la natura (non uso volutamente la parola ambiente) e tutti gli altri abitanti della Terra. Una vita che ci faccia (ri)abituare a (con)vivere insieme (citazione del libro del 1977 di Roland Barthes: Come vivere insieme), offlife! 

Filosofia e linguaggio

Il primo passo da compiere è decostruire, destrutturare, deideologizzare, ripulire, liberare, riempire il (tecno)linguaggio sempre più omogeneizzato, rivitalizzandolo, problematizzandolo, legandolo alla nostra esperienza e allontanandolo dalla manipolazione della (tecno)comunicazione.

La filosofia che serve non è quella addomesticata dalla (tecno)cultura ma quella che è capace di proporre (letture) alternative. Come diceva Marx non si tratta di interpretare il mondo ma di cambiarlo (una bestemmia in Italia, paese nel quale nulla cambia, neppure dopo il 25 settembre). Per farlo serve la filosofia ma servono anche nuovi linguaggi, sostenuti da concetti, parole e significati nuovi.

Serve la filosofia perché nella realtà virtuale la nostra vita onlife è diventata pura rappresentazione, semplice storytelling, un unico, corposo, album di immagini e di didascalie (“ceci n’est pas une pipe”?). Solo la filosofia può fornire gli strumenti e suggerire le pratiche che servono per rompere lo stato presente delle cose, favorendo il cambiamento e la trasformazione, può permettere di ritornare a perseguire l’impossibile, alla ricerca di vie alternative, rotture di paradigmi ed eventuali vie di fuga. Diverse da quelle oggi imposte dalla cultura tecnologica e digitale corrente, che peraltro non siamo neppure in grado di comprendere nelle sue finalità e destinazioni future. 

Fuori dalla morsa dell'onlife 

Fuor di metafora, la tecnologia dei tempi presenti è dominio biopolitico (sulla natura, la società, le persone) disciplinante, narcotizzante e dopante, che limita la libertà, è un processo in costante evoluzione verso l’estensione del controllo su ogni individuo ma anche sociale. Con mezzi dolci e trasparenti, con la complicità dei controllati (si manifesta anche nella vita politica), attraverso piattaforme costruite sulle gratificazioni continue, il divertimento, il consumismo, l’incarcerazione dell’attenzione e l’estinzione del desiderio.

La tecnologia dei tempi presenti è dominio biopolitico

Il controllo viene esercitato dentro spazi virtuali descritti come onlife.  Spazi per me assimilabili alla caverna di Platone, a quelle più moderne di Saramago e di Ballard ma descritti e celebrati (“non abbiamo mai avuto tante possibilità come oggi”) dal filosofo Floridi come luoghi “salmastri” (come una caverna?) dove fiumi e mari si incontrano per dare vita a una esistenza ibrida piena di scoperte e possibilità, dentro processi di adattamento che ci vedono subalterni alle macchine e alla tecnologia e ci suggeriscono di prendere atto della nuova condizione umana per viverla al meglio. Come se non esistessero alternative possibili e processi di adattamento diversi da quelli suggeriti dalle macchine e dagli algoritmi di chi li produce. 

Verso una vita offlife

Virtuale, digitale e reale nella vita delle persone sono oggi strettamente intrecciati, omogeneizzati dal ruolo che la tecnologia ha assunto nelle loro vite. Eppure, molteplici sono le differenze tra le due realtà, perché la biosfera non è riducibile all’infosfera, così come la vita umana non lo è a un robot o a un’intelligenza artificiale (da leggere il bel libro di Federico Faggin sopra citato). La vita reale offlife è incarnata, mortale, piena di negatività, dubbi e sofferenza, irriducibile alla vita disincarnata onlife. La prima è caratterizzata dalla diversità e dalla libertà, dal prevalere del volto sulle facce, del corpo incarnato sul profilo digitale, dello sguardo attento che va oltre lo schermo (ne ho palato nel libro OLTREPASSARE), la seconda dal conformismo seducente e livellante indotto dalle piattaforme (moderne caverne) digitali e dalle loro funzionalità, da comportamenti globalizzanti che hanno trasformato l’esperienza umana in semplice sequenza di eventi, fatti aneddotici, cinguettii e reazioni binarie.  Le crisi che stanno caratterizzando questi anni stanno facendo emergere una nuova (tecno)consapevolezza che si traduce in nuove forme di conoscenza e di coscienza, frutto anche del disincanto e della disillusione sul potere progressista e felicitario della tecnologia (“tutto va bene madama la marchesa!). Ne deriva la ricerca di identità e autenticità su percorsi diversi da quelli oggi resi disponibili dalla connessione Wi-Fi. Come ha scritto Leonardo Caffo in Velocità di fuga: “Onlife è in realtà il sistema di dominio politico e l’atmosfera forse più pesante da cui tutti, in fondo vorremmo uscire: solo che non sappiamo più neanche che esiste un orizzonte al di là di questa uscita”. Ma questo non vuol dire che una uscita, una via di fuga, non esista! 

In che modo?

Per me, abituato a trascorrere molte giornate all’anno in una baita isolata in alta montagna, senza Internet, schermi e TV, senza riscaldamento (bastano un camino e uno scaldabagno a legna) e frigorifero, a contatto diretto con la natura, lavorando nel bosco, nel prato e nei campi di patate, la risposta è semplice. Bisogna lasciarsi alle spalle l’ovvio e lo scontato delle narrazioni e delle filosofie correnti per operare un cambiamento qualitativo e paradigmatico, rivoluzionario della propria vita, rientrandone in possesso, prima che sia troppo tardi. È stata una scelta descritta alla perfezione da John Zerzan (Il crepuscolo delle macchine), filosofo che leggo da tempo e sconosciuto ai più ma che ora vedo citato sempre più spesso, anche da persone più giovani. Disconnettersi, staccarsi dalla vita digitale onlife, vissuta da molti come più reale della realtà, non soggiacere all’imposizione di scelte binarie dettate dall’algoritmo e a comportamenti irrazionali, rallentare e andare in profondità, ascoltare i propri sensi, confrontarsi e riconoscere sé stessi nell’Altro, non avere paura di isolarsi e della solitudine offlife, accettare la contingenza (Yuk Hui), l’imprevedibilità, la negatività e l’incertezza, sempre presenti nella vita vissuta, sono solo alcuni dei modi che possiamo adottare per contraddire ciò che Zerzan racconta quando sostiene che non ci sia “via di scampo” e che le “candele stanno tremolando”! Una via c’è ancora ma bisogna prenderla di corsa e percorrerla fino in fondo, senza rimpianti e paure, senza tanti storytelling e messaggi WhatsApp e anche senza dare retta ai numerosi officianti della chiesa degli ultimi giorni ONLIFE!

 

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – STULTIFERANAVIS Co-founder

c.mazzucchelli@libero.it http://www.solotablet.it