La tecnologia è elemento paradigmatico di tante tendenze emergenti che sembrano indicare grandi cambiamenti all’orizzonte, molti impensabili e dei quali non siamo in grado di percepire la profondità e la carica dirompente. Veri e propri Tsunami futuri in via di formazione, come la crisi del sistema capitalista neoliberista attuale e quella ambientale. Nonostante la globalizzazione tecnologica renda tutti interconnessi e tutto correlabile, comprendere il mondo che si sta profilando all’orizzonte è diventata una missione complicata, forse impossibile, ma anche una nuova urgenza, una necessità.
La percezione di tanti su ciò che sta succedendo, in particolare dopo l’arrivo di IA come ChatGPT, è negativa, preoccupata, tipicamente esistenziale. Nasce dalla crisi delle grandi narrazioni del Novecento, dal processo regressivo di un’epoca, dalla perdita di fiducia verso il futuro dettata forse dall’età e dalle numerose disillusioni sperimentate nel tentativo di dare un senso alle cose, contribuendo a cambiarne il verso, forse senza mai riuscirci.
È condivisa da molte persone di una generazione (Baby Boomers) che ha avuto la fortuna di vivere una stagione esistenzialmente interessante, forse unica nella storia umana per diritti acquisiti, benessere raggiunto e per il grande balzo tecnologico che l’ha contraddistinta. Un’epoca oggi caratterizzata da fragilità, incertezza, brutalità comunicativa e smarrimento, nella quale molti sentono forte il disagio nascente dall’insoddisfazione di vedere tante idee e conquiste rovesciarsi nel loro opposto, dalla sensazione di vivere una stagione di grandi trasformazioni, imprevedibili e incontrollabili, dalla preoccupazione di osservare il trionfo della stupidità che colpisce sia le classi dirigenti sia quelle da esse dominate.
A questa percezione ci si può arrendere prendendo atto del principio di realtà. In alternativa la si può usare per combattere il nichilismo e il (tecno)cinismo dilaganti continuando a porsi delle domande, cercando di contrastare la prevalenza del cretino e dello stupido (gli imbecilli massificati di Umberto Eco), del loro linguaggio che trova espressione virale attraverso le piattaforme tecnologiche, e delle visioni del mondo oggi prevalenti. Un modo per prolungare il viaggio di perlustrazione esistenziale verso destinazioni ancora ignote. Mettendosi in cammino nonostante i dubbi e le difficoltà, ricercando sempre nuovi compagni di viaggio, meglio se giovani. Un modo per non sentirsi soli, per rendere più ricco, interessante e divertente il viaggio esistenziale. Per provare a pensare diverso, prendendo le distanze dalle narrazioni conformiste dominanti che descrivono acriticamente le vite tecnologiche attuali ritrovando la capacità di costruirsi ognuno la propria storia, dentro la quale sentirsi protagonisti, come autori/autrici e attori/attrici, come consumattori (consumatori attori) e cittadini.
Osare pensare
Porsi delle domande è l’effetto di una mente inquieta, un modo per sentirsi liberi e responsabili, per contrastare i lavaggi del cervello vari, per ribellarsi all’istupidimento diffuso crescente, per sfuggire alla realtà attuale, regressiva, di crisi generale, sempre più digitale e virtuale, immaginando vie di fuga e scenari alternativi, infine per agire penetrando all’interno delle cose alla ricerca di senso. Interrogarsi serve a dotarsi di capacità critica, a elaborare pensiero (bisogna “osare pensare” ha scritto James R. Flynn) in modo da poter scegliere in modo autonomo, non causale e non necessariamente solo razionale tra azioni alternativi possibili. Interrogarsi con curiosità aiuta a impossessarsi di concetti e strumenti utili a penetrare la cortina fumogena, la nebbia digitale e mediale che nascondono la realtà e che, una volta superate, renderebbe possibile vedere più chiaramente il mondo reale, decodificarne meccanismi e regole correnti, comprendere meglio quali scelte fare per renderlo migliore, per sé e per gli altri.
Porsi delle domande è l’effetto di una mente inquieta
Una riflessione sulla tecnologia è necessaria
Riflettere sulla tecnologia non spetta solo a sociologi, filosofi o storici ma a tutti, non può essere fatto solamente attraverso le narrazioni dei media e della letteratura che oggi raccontano le esperienze tecnologiche.
Tutti devono raccogliere l’allarme che nasce da tecnologie e pratiche tecnologiche che stanno modificando la testa delle persone e il loro cervello mettendo in discussione il bene pubblico, la democrazia e le libertà individuali per come le abbiamo conosciute finora. Rispondere all’allarme è un modo per anticipare ed evitare scenari potenzialmente distopici. Non si tratta di demonizzare la tecnologia ma di comprenderla meglio nella sua complessità, usarla in modo più intelligente e consapevole, per correggerla e migliorarla. La riflessione critica è tanto più importante quanto più è ritenuta scomoda, faticosa e rischiosa. Da essa possono nascere narrazioni diverse da quelle attuali, in grado di cambiare l’evoluzione futura della tecnologia trasformandola da potenziale distopia in opportunità.
L’obiettivo della riflessione critica è il distacco dal pensiero di gruppo delle masse virtuali correnti. Per ritrovare la capacità e il piacere di pensare con la propria testa, per provare a falsificare i fatti e le esperienze vissute, verificandone la validità e verità, senza ricercare facili risposte o scorciatoie. Un esercizio diventato più che mai necessario in una realtà uniformata, riempitasi di false verità e fatti artificiosamente costruiti, spesso per soddisfare le mire di potere di nuovi leader politici emergenti o di potentati economici che non sono intenzionati a perdere il potere acquisito e che operano per avere pur sempre la loro fetta di torta da divorare. Molte false verità sono costruite ad arte per verificare, con sondaggi continui come quelli che sostengono la politica odierna, percezioni diffuse, comportamenti condivisi e tendenze emergenti. La loro falsificazione non è solo un modo per ristabilire la verità ma anche di reinterpretare in modo qualitativo i dati disponibili dando forma a percezioni, comportamenti e tendenze diverse.
La quantità fluida di dati disponibili ha fatto crollare ogni certezza sulla Verità e fatto proliferare un numero infinito di verità che obbligano a ordinarle, analizzarle e a metterle in dubbio in continuazione. Pensare, ragionare, falsificare, verificare, inferire, argomentare sono tutti verbi che implicano un’azione di libertà, ma anche forza di volontà e responsabilità, il volerlo e poterlo fare esercitando un’abilità che tutti possono avere, così come tutti hanno quella del parlare e del vedere. Abilità oggi spesso sprecate in attività digitali che ne determinano una limitazione e debilitazione.
Il pensare e il ragionare si collegano al tema della libertà. Sono capacità e attività mentali che bisogna imparare ad apprendere, per interpretare il mondo e trovare le risposte giuste alle tante domande che accompagnano la vita di ognuno verso la consapevolezza. Senza la pretesa di avere ragione o di disporre delle chiavi interpretative del mondo, esercitandosi nell’arte del dubitare, dell’ascolto di stimoli e istanze diverse, imparando dall’esperienza senza lasciarsi dominare dalle convinzioni personali, ma neppure da quelle della pubblica opinione e delle maggioranze del momento. Pubbliche opinioni oggi facilmente manipolabili attraverso piattaforme digitali come i social network. Maggioranze imperscrutabili e algoritmiche come quelle della piattaforma cinquestelle Rousseau e di altre simili.
Per la mia generazione, insieme alle passioni da cui è originato, il pensare autonomamente, anche in modo ribelle ed eretico, è stato uno strumento importante di simbolizzazione della realtà, di creazione di nuovi valori sociali ed etici come l’uguaglianza, di emancipazione e iniziazione alla vita. Nonostante i risultati contradditori raggiunti, la ricerca della libertà continua ad alimentare la ricerca esistenziale di persone, giovani e non più giovani, che devono confrontarsi con l’avvento di nuovi mondi possibili, diversi da quelli tradizionali. Mondi nei quali molti oggi esplorano la libertà non più come strumento per la creazione di esperienze e realtà nuove, ma spesso come semplice possibilità di consumare di più o come pura assenza di divieti e di vincoli.
Si tratta di una libertà percepita come solo potenziale e vuota che però non appare tale a molti rappresentanti delle nuove generazioni. Generazioni che non ne fanno uso o almeno non nelle modalità che possono essere descritte come scelte di libertà. Ragazzi e ragazze cresciuti dentro i mondi vissuti come aperti ma in realtà chiusi e non propriamente liberi, delle piattaforme tecnologiche e che si trovano oggi a vivere una crisi sociale ed economica profonda senza disporre degli strumenti cognitivi, intellettuali e materiali che servirebbero per affrontarla.
Il pensare e il ragionare si collegano al tema della libertà.
In viaggio
Il viaggio di maturazione alla vita molti giovani lo stanno facendo da soli, spesso dentro mondi virtuali alieni alle generazioni che li hanno preceduti. La solitudine è causa di parte dei loro problemi ma potrebbe essere alleviata da persone più anziane e desiderose di affiancarsi a loro, ascoltandoli e fornendo un supporto di conoscenza ed esperienza che potrebbe tornare utile in un viaggio intrapreso alla ricerca di un’identità, di valide motivazioni esistenziali e di una ragione di vita. Aiutandoli ad esempio, anche in forma dialettica, a superare il presentismo e il nichilismo che caratterizzano molte delle loro esperienze da Nativi Digitali vissute nella paura del futuro (precarietà continua, erranza professionale ed esistenziale, incertezza, ecc.), a dotarsi di ciò che serve per cogliere i numerosi segnali emergenti che indicano futuri prossimi venturi diversi da quelli percepiti. L’aiuto non sarebbe un esercizio unilaterale ma elemento caratterizzante di un’esperienza condivisa. Uno scambio reciproco dal quale gli adulti potrebbero guadagnare moltissimo dalle nuove abilità, conoscenze e percezioni del mondo che le nuove generazioni, multitasking, aperte alle novità e modificate tecnologicamente, potrebbero regalare loro.
A questo viaggio intergenerazionale partecipo da tempo con un piccolo contributo autoriale riflessivo che fa del pessimismo uno strumento di interpretazione della realtà. Necessario per superare il malessere personale che potrebbe impedire di cogliere e comprendere gli elementi emergenti che si stanno aggregando, dando forma ai tanti futuri possibili che si stanno materializzando.
Il malessere percepito è condiviso con un numero crescente di compagni di viaggio che mal sopportano il ruolo passivo e complice nel quale si sentono imprigionati dalla macchina tecnologica dominante. Persone che sentono forte la spinta a ribellarsi per non diventare parte degli ingranaggi di questa macchina, che rifiutano di essere trattati come zombie, che vogliono tenere in mano le redini del proprio destino, che non hanno mai rinunciato a essere individui pensanti, anche al di fuori delle loro professionalità, esercitando il pensiero critico e il ruolo della cittadinanza attiva, impegnate nel contribuire al bene comune e alla narrazione della realtà. In un percorso che comporta anche la riappropriazione della macchina tecnologica, oggi dominata dal potere monopolistico di poche realtà private.
Qualcosa non funziona più
Nell’era iper-connessa si comincia a percepire che qualcosa non funzioni più, che ci sia bisogno di un cambio di passo, di uno sguardo diverso, al di fuori della cornice imposta dalla gestalt e dalla ragione dominanti, che sia necessario fare scelte radicali e importanti, recuperando la propria autonomia e libertà, anche di pensiero. Il tutto senza negare la valenza innovativa dei cambiamenti che la tecnologia ha determinato, adottandoli e accettando il fatto che abbiano modificato la realtà, il nostro modo di percepirla, viverla e proiettarla nel futuro.
Questi cambiamenti sono valutati da alcuni studiosi con un approccio illuministico, teso a evidenziarne gli elementi di positività, la ricchezza di possibilità e potenzialità. Studiosi come Steven Pinker (“il progresso non si può fermare…”) o Derrick de Kerckhove (il creatore dei concetti di “mente accresciuta” e “intelligenza connettiva” non ha remore nel dire: “so di essere costantemente osservato ma la cosa non mi disturba” – da un articolo de L’Espresso), le cui analisi e percorsi di conoscenza ho seguito da sempre. Autori con i quali condivido un tecno-ottimismo di tipo pragmatico che non mi impedisce comunque di pormi delle domande sulla reale esistenza del migliore dei mondi possibili oggi identificato da molti con la tecnologia. Il mondo tecno-scientifico emergente è certamente oggetto di incantamento e ammirazione, ma anche all’origine di molte inquietudini odierne, sulle quali ognuno farebbe bene a esercitare la propria riflessione critica personale, razionale e responsabile.
La mia mi porta a condividere una testimonianza personale e il pessimismo di molti. Intellettuali, scrittori, studiosi, filosofi e semplici persone che, sentendo forte il segno dei tempi, hanno deciso di mettere in comune con altri il loro sentire e le riflessioni da esso generate. Il pessimismo è esercitato come strumento analitico per reagire, con l’elaborazione di pensiero critico e la pratica della vigilanza, all’ottimismo di facciata di tanti tecnofili e tecno-entusiasti poco interessati a riflettere sugli effetti e sulle conseguenze della tecnologia.
Negli ultimi anni stanno aumentando coloro che, facendo appello a una maggiore attenzione e osservazione di ciò che sta accadendo, suggeriscono di porsi delle domande, per elaborare una qualche forma di riflessione critica fatta di inferenze, argomentazioni, induzioni e deduzioni. Quella fin qui condotta si è tradotta nella pubblicazione di numerosi libri che richiamano l’attenzione sulle potenzialità distopiche e panottiche di Internet e dei media sociali, suggerendo la ricerca di una maggiore conoscenza, finalizzata alla consapevolezza e alla saggezza. La coscienza di essere manipolati, di vivere dentro mondi chiusi e controllati, nei quali si è chiamati a condividere diari, esperienze e a confessarsi in continuazione, di essere costantemente derubati di dati e informazioni, di essere spinti alla trasparenza e all’azione solo per poter essere meglio studiati e analizzati, di essere costantemente dopati dalle numerose componenti ludiche e dalle risorse gratuite offerte che tendono a far dimenticare l’esistenza di un mondo reale all’esterno di quello digitale.
Il disincanto tecnologico aumenta: si comincia a percepire che qualcosa non funzioni più
Andare oltre la tecnologia
La riflessione deve andare oltre la tecnologia per abbracciare il mondo intero e le sorti della specie animale che lo ha fin qui colonizzato. Può prendere spunto da quelle caratterizzanti vari ambiti intellettuali e di sensibilità.
Superando la litigiosità che sempre le ha contraddistinte, le varie società italiane di psicanalisi hanno lanciato il primo aprile 2019 un appello per contrastare il clima di intolleranza e disumanità che si sta diffondendo nel nostro paese. L’appello, inviato al presidente Mattarella, contiene una diagnosi della realtà italiana che vede l’impoverimento “dei valori apportati dal confronto con l’altro e il rifiuto di avere a che fare con la sofferenza” e l’emergere di “una società psicopatica, paranoica e autoritaria”.
Per lo scrittore Antonio Moresco, richiamandosi ad alcuni degli allarmi sul riscaldamento climatico, le nostre scelte dovrebbero oggi essere dettate dal fatto che “siamo le prime generazioni a vivere al cospetto di un’estinzione di massa” (Il grido, Edizioni SEM, 2018). Per lo psichiatra Vittorino Andreoli interrogarsi serve a riflettere sulla fase attuale dell’evoluzione umana che vede affermarsi realtà aumentate, cyborg e macchine intelligenti, ma al tempo stesso l’emergere di un nuovo tipo di umano. Un Homo Stupidus, che mira a sostituire l’Homo Sapiens per trasformarlo in Homo Stupidus Stupidus. Con l’aggravante che l’appellativo di Stupidus è oggi applicabile non solo a singoli individui ma a un’intera comunità di specie. Per l’intellettuale francese Armand Farrachi, sembra che “la storia abbia preso la direzione dell’abbrutimento generale, della gaffe universale, dello scherzo di cattivo gusto obbligatorio, di una specie di pornografia dell’intelligenza”.
Il filosofo francese Michel Onfray è ancora più pessimista, radicale, quasi apocalittico: «Io non sono né ottimista né pessimista, ma tragico. L’ottimista vede il meglio dovunque, crede nel progresso infinito. Il pessimista vede dovunque il peggio, crede che domani sarà peggio di oggi. Il tragico cerca di vedere il reale com’è: il reale sarà quello che il passato e il presente […] consentono di prevedere. Resistere è credere di poter cambiare il corso delle cose: si può sempre resistere a una malattia in fase terminale, ci ucciderà comunque». Un pensiero collegabile al nichilismo della società attuale, che impedisce di guardare lontano ed è visto come anticipazione dell’avvento della civiltà delle macchine.
Per pensatori come Paul Virilio, la riflessione critica, necessaria per comprendere l’era tecnologica attuale, e dalla quale potrebbero derivare buone pratiche e scelte diverse, è strettamente legata al fatto che nessuna tecnologia esiste senza la possibilità di incidenti. Il battello si porta dietro il naufragio, il treno la catastrofe ferroviaria, Facebook solitudini e ansie da prestazioni e vite digitali.
Per lo psicanalista Christopher Bollas è necessario interrogarsi per capire i cambiamenti avvenuti sia a livello individuale sia di gruppo. Nel secolo tecnologico attuale “la cultura dominante appare sostanzialmente non interessata all’esplorazione del mondo interiore: al contrario è ammaliata dalla tecnologia delle APP e dei Social Network” e i giovani non sembrano avere grande consapevolezza di quanto è andato perduto. Viviamo esperienze caratterizzate dalla connessione costante e dall’interazione continua, ma abbiamo perso la capacità introspettiva e riflessiva. Riflettere su sé stessi è diventata una necessità, per recuperare un concetto del Sé più equilibrato, ma forse anche per trovare nuovi scampoli di felicità. Un modo per tenersi alla larga da narrazioni tecnofobiche, dettate dalla paura e dall’ideologia, così come a farsi largo all’interno di racconti prevalentemente tecnofili, dettati dalla tecnocrazia dominante che evidenzia la positività delle tecnologie, ignorandone i potenziali effetti collaterali e i rischi.
Per il filosofo Eric Sadin bisogna prestare attenzione alla “siliconizzazione del mondo”, al ruolo che l’innovazione tecnologica ha nel “Modificare e forgiare a propria misura e senza alcun dibattito pubblico il quadro della cognizione e soprattutto quello dell’azione umana, o di quanto ne resta”. Interrogarsi su quanto sta succedendo significa impedire che si affievolisca la possibilità dell’azione politica intesa come coinvolgimento individuale e libero all’edificazione del bene comune, resistendo alla colonizzazione, al pensiero unico dominante, alla privatizzazione di ogni aspetto della vita individuale e sociale.
Per il filosofo Paolo Ercolani, autore del libro Figli di un Io minore, bisogna “comprendere che forse mai come in questo frangente storico è a rischio, e quindi va salvaguardata, l’essenza stessa di ciò che definiamo e riconosciamo come umano”. La salvaguardia passa attraverso il recupero della capacità critica, di un pensiero forte, lontano dal pensiero debole che ha caratterizzato l’epoca della postmodernità, con il quale combattere la stupidità e l’ignoranza ma soprattutto un modello di società diventato pervasivo, costruito su tecnologia, mercato e consumo, finalizzato a omologare il pensiero, a condizionare e dirigere pensieri, scelte, comportamenti, scelte valoriali e relazionali.
Sensibile agli allarmi di quanti ho fin qui citato (potevo citarne molti altri) e al loro richiamo a prestare attenzione al destino della nostra specie, con la mia attività editoriale e online sto provando dal 2010 a dare un piccolo contributo personale per una riflessione delimitata agli ambiti tecnologici che frequento da anni e che suggeriscono l’urgenza di riflettere criticamente sul ruolo e sugli effetti della tecnologia.
Fare come se niente fosse non conviene, il nichilismo è senza vie di uscita, meglio fare delle scelte finalizzate al disincanto, meglio dotarsi di strumenti più adeguati all’interpretazione e alla comprensione del mondo attuale, per coglierne le contraddizioni. Strumenti utili a sentire cosa stia emergendo e a percepirne gli ambiti di possibilità futura, applicabili alla costruzione di ponti per un coinvolgimento reale e tollerante con gli altri. Il tutto grazie alla maggiore conoscenza, consapevolezza e responsabilità, alla pratica di forme relazionali improntate all’empatia umana e alla gentilezza, in tutti i mondi paralleli di cui oggi facciamo esperienza.
"[Per quanto riguarda la tecnologia] si è venuto a costituirsi una sorta di grande racconto, ripetuto in modo sempre identico, che viene a formare un quadro dall'astetto statico [...]" - Eric Sadin