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C'è una sensazione sottile, quasi un fruscio di fondo nelle nostre vite iper-connesse. È l'eco di una domanda che ci poniamo guardandoci allo specchio, scorrendo un feed di notizie o ascoltando un podcast sul futuro: sarò ancora capace? Sarò ancora utile domani? È la paura dell'obsolescenza, un fantasma che non è nato con i microchip e le reti neurali, ma che oggi, grazie all'Intelligenza Artificiale, bussa alle nostre porte con un'insistenza mai vista prima. E io, come ingegnere che ha scelto di abbracciare l'umanesimo digitale, sento il dovere di guardare questo fantasma negli occhi, per capire che non è un mostro da cui fuggire, ma un interlocutore con cui dobbiamo imparare a dialogare.


Il Fantasma che Viene dal Passato: Non è la Prima Volta che Accade

Chiudete gli occhi e immaginate l'Inghilterra dell'inizio del XIX secolo. I telai meccanici, meraviglie di ingegneria per l'epoca, iniziano a sostituire il lavoro meticoloso di migliaia di tessitori artigiani. La loro abilità, tramandata per generazioni, diventa improvvisamente più lenta, più costosa, meno efficiente. La reazione fu rabbia, paura, disperazione. I luddisti, passati alla storia come distruttori di macchine, non erano semplicemente dei tecno-fobici. Erano uomini e donne che vedevano il loro intero mondo, le loro competenze, la loro identità e dignità, diventare improvvisamente... obsoleti.

Quella paura non era diversa, nella sua essenza, da quella che prova oggi un contabile vedendo un software di AI che gestisce la fatturazione in una frazione del tempo, o un traduttore di fronte a un modello linguistico che traduce un manuale tecnico con una precisione quasi umana. La tecnologia cambia, ma la paura umana di essere lasciati indietro, di vedere le proprie certezze sgretolarsi, è una costante storica. L'errore che non dobbiamo ripetere è quello di guardare solo alla macchina che distrugge il presente, senza vedere il mondo che sta costruendo per il futuro.

L'Acceleratore AI: Cosa Rende Diverso il Nostro Tempo

Se la paura è antica, perché oggi sembra così opprimente? La risposta sta in due parole: velocità e portata.

La rivoluzione industriale si è dispiegata nell'arco di decenni, quasi un secolo. Ha dato alle persone e alla società il tempo, seppur tra immani difficoltà, di adattarsi, di creare nuove professioni, di ripensare l'istruzione e il welfare. L'Intelligenza Artificiale, invece, si muove alla velocità della legge di Moore. Quello che era fantascienza cinque anni fa, oggi è uno strumento open-source disponibile su uno smartphone.

E poi c'è la portata. Le rivoluzioni passate hanno colpito principalmente il lavoro manuale ("blue collar"). L'AI, per la prima volta nella storia, bussa con forza alla porta dei "white collar", i lavoratori della conoscenza.

Pensiamo a esempi concreti che vedo ogni giorno:

  • Nel mondo della programmazione: Strumenti come GitHub Copilot non sostituiscono i programmatori, ma ne cambiano radicalmente il lavoro. La competenza non è più solo scrivere codice riga per riga, ma saper orchestrare, verificare e integrare il codice generato dall'AI. Chi si rifiuta di adattarsi, vedrà la sua produttività crollare rispetto a chi impara a "dialogare" con questi nuovi assistenti.

  • Nel marketing e nella creatività: Ideogram , Midjourney o Sora possono generare immagini, loghi e video da un semplice input testuale. Un'intera agenzia creativa può essere simulata da un'unica persona. Questo non significa la fine dei creativi, ma l'obsolescenza del processo creativo come lo conoscevamo. Il valore si sposta dall'esecuzione tecnica all'ideazione, alla capacità di porre le domande giuste (il prompting) e alla curatela strategica.

  • Nella sanità: Algoritmi di AI sono già in grado di analizzare TAC e risonanze magnetiche con un'accuratezza pari o superiore a quella di un radiologo esperto. Il valore del medico non svanisce, ma si trasforma: meno tempo dedicato alla detection di routine, più tempo dedicato al paziente, alla diagnosi complessa, alla strategia terapeutica, all'empatia.

La paura dell'obsolescenza, quindi, non riguarda più solo il "posto di lavoro", ma le "competenze". Ciò che abbiamo imparato all'università dieci anni fa potrebbe non essere più sufficiente. E questa è una sfida che ci tocca tutti, nessuno escluso. 

L'Antidoto Umanistico: Non Resistere, ma Evolvere

Ecco dove, come umanista digitale, vedo la luce in fondo al tunnel. La soluzione a questa paura non è fermare il progresso o demonizzare l'AI. Sarebbe come cercare di fermare la marea con le mani. La soluzione è un nuovo patto con noi stessi e con la conoscenza. È un patto fondato sull'apprendimento continuo e sulla riscoperta di ciò che ci rende unicamente umani.

L'AI è incredibilmente potente nel calcolo, nell'analisi di dati, nell'automazione di compiti ripetitivi. Ma è carente nelle cosiddette soft skills, che io preferisco chiamare competenze umane fondamentali:

  1. Pensiero Critico e Strategico: Un'AI può analizzare un milione di scenari, ma la saggezza di scegliere quale perseguire, la visione a lungo termine, la capacità di navigare l'incertezza e la complessità morale, rimangono nostre.

  2. Empatia e Intelligenza Emotiva: Un'AI può simulare una conversazione, ma non può sentire l'emozione di un cliente, la frustrazione di un collega o la speranza di un paziente. La connessione umana autentica diventa un valore aggiunto inestimabile.

  3. Creatività Orizzontale: L'AI è bravissima a "creare" all'interno dei confini dei dati con cui è stata addestrata. Ma la vera creatività, quella che collega discipline diverse, che ha l'intuizione folle e geniale, che nasce da un'esperienza di vita vissuta... quella è nostra. È il poeta che si ispira alla fisica quantistica, il manager che applica una lezione tratta dalla filosofia stoica.

Combattere l'obsolescenza non significa imparare a usare venti software diversi. Significa coltivare la nostra mente affinché sia flessibile, curiosa, adattabile. Significa investire in ciò che le macchine non possono replicare. Significa trasformare la domanda "L'AI prenderà il mio posto?" in "Come posso usare l'AI per fare cose che prima erano impossibili?". 

La paura dell'obsolescenza è reale, è legittima. Ma è anche un invito. Un invito a non darci per scontati, a non smettere mai di imparare, a valorizzare la nostra intelligenza più profonda. Non siamo nati per essere ingranaggi di un sistema. Siamo nati per essere gli architetti di sistemi sempre nuovi. E in un mondo pieno di risposte automatiche, la nostra capacità di porre domande nuove e profonde è la competenza più preziosa di tutte.


Pubblicato il 22 luglio 2025

Franco Bagaglia

Franco Bagaglia / Docente Universitario. Umanesimo Digitale. Specialista formazione e sviluppo AI e competenze digitali presso Acsi Associazione Di Cultura Sport E Tempo Libero

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