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Oggi, 21 giugno, giorno in cui viene pubblicato questo articolo, possiamo vedere luce per più tempo di ogni altro giorno dell'anno. 'Solstizio': latino 'solstitium', 'sol stitium'. Uno stato del sole, come noi lo vediamo, alzando gli occhi al cielo. L'evento è occasione di riflessione sul nostro 'esseri umani'.

Chi siamo? Viviamo in un tempo in cui ci riduciamo a chiedere 'chi siamo' ad una macchina. Prima della macchina, senza macchina, abbiamo la fortuna di essere umani. E di sapere bene 'chi siamo'.

Con la macchina arriva a noi una nozione del tempo lineare, evolutiva, progressiva, esponenziale. Siamo così portati a trascurare la nozione prima del tempo che è consona con l'umano, e con la natura a cui noi umani apparteniamo: il tempo ciclico, l'eterno ritorno, il rinascere della vita dalla morte, il passaggio dalle tenebre alla luce ed il riapparire della luce dopo le tenebre, l'andamento delle stagioni.

Feste, momenti rituali celebrano i passaggi del tempo che ritorna. Festeggiamo dunque il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno, simbolico prevalere della luce sulle tenebre. Così come festeggiamo il solstizio d'inverno, il giorno più breve dell'anno: tenebre che prevalgono sulla luce - festa che la tradizione cristiana assume il valore di ricordo del Natale. La festa cristiana che più pienamente parla del passaggio, però, è un'altra. Cade la domenica successiva al primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera: la Pasqua: greco: pascha, aramaico pasah: 'passare oltre'. Ovvero: il tempo ciclico si ripete, ma anche sempre si rinnova. E l'essere umano sempre rinnova il suo vivere il tempo.

Noi umani sempre cerchiamo di pensare. Latino commentari: 'agire con la mente'. Mente: latino mens: 'pensare attivamente'. Eppure spesso non ci riusciamo. Al commentari si antepone l'ex sottrattivo: latino excommentari, da cui sgomento.

Oggi, nei momenti di sgomento ci affidiamo alla macchina. Questo affidarsi non è, in fondo, che una moderna versione di un nostro ancestrale, ma anche attualissimo, atteggiamento: alzare gli occhi al cielo.

Il nostro pensiero è considerare, 'stare con le stelle': guida e conferma dell'essere.

Anche se non riusciamo a vedere le stelle, perché le nuvole nascondono la volta stellata, continuiamo a vedere con il nostro desiderio.

Perciò è evento di gran valore simbolico l'eclissi: oscuramento parziale o totale di un corpo celeste. Latino eclipsis; greco ékleipsis.

Dal verbo: eklēipo: venir meno, abbandonare, sparire, scomparire, essere assente.

Non riusciamo comunque mai -nemmeno oggi, nemmeno attraverso la scienza- ad abbracciare con lo sguardo l'intero cielo. Siamo in grado di vedere solo una sua parte: questo è il senso del contemplare. Templum, prima che luogo di culto sulla terra, è la parte del cielo che riusciamo a vedere.

Siamo consapevoli dei nostri limiti. La parola con cui denominiamo noi stessi, homo, è strettamente connessa a humus – in greco kthón. Siamo terreni così come lo è il suolo sul quale viviamo. L'umiltà è forse la nostra prima virtù, perché ci parla del nostro essere humilis, 'aderenti alla terra'.

E comunque da terra continuiamo ad alzare gli occhi. A vivere il passaggio dal giorno alla notte e dalla notte al giorno. Latino dius: 'alla luce'. Da dius: tempus diurnus , nella nostra lingua giorno, 'tempo che appartiene alla luce'.

Ma poi torna la notte. Latino nox, antichissima parola indoeuropea.

Il passaggio dal giorno alla notte e dalla notte al giorno ci insegna l'equità. Il greco isostathmía è ricalcato nel latino aequilibrium: aequi librare. La libra è la bilancia. Interessante ricordare che resta oscura l'origine del latino aequum – ma ci sono motivi per ritenere che la parola sia connessa all'umbro ekwyo, che significa 'comunità'.

Sappiamo che la durata del periodo di luce dipende dal ciclo delle stagioni. Torniamo così ai passaggi che festeggiamo. Pasqua: primo plenilunio dopo l'equinozio di primavera. In primavera il 21 marzo e in autunno il 23 settembre: uguale tempo di luce e di tenebre, aequinoctium, aequum noctem, calco del greco isonyktion nyx.

Così il passaggio dal giorno alla notte e dalla notte al giorno ci insegna l'equità. Il greco isostathmía è ricalcato nel latino aequilibrium: aequi librare. La libra è la bilancia. Interessante ricordare che resta oscura l'origine del latino aequum – ma ci sono motivi per ritenere che la parola sia connessa all'umbro ekwyo, che significa 'comunità'.

Ma possiamo osservare qui un'altra connessione: il nostro pensare prende nome dal verbo latino pensare, intensivo di pendere, che in latino significa: 'pesare'.

Possiamo tornare alla domanda: 'chi siamo'? Siamo cognati. Co gnatus: 'con legami di nascita'.

Il latino arcaico gnatus, poi natus, è participio passato attivo di nasci, nascere. Verbo discendente dall'antichissima radice gene: che significa 'generare'. Il nato è generato.

Cognatus ergo sum: esisto perché sono imparentato con il sangue, consanguineo. Una persona è resa persona da altre persone. Essere, per noi umani, è essere in una relazione dialogica con una comunità umana.

Ognuno di noi è perché appartiene ad una comunità umana. Ce ne vergogniamo forse oggi?

Tutto il parlare di agency, di agenti, è un modo di prendere le distanze da noi stessi. Noi: la comunità alla quale apparteniamo. Si continua a dire: la parola agency è intraducibile.

E' un convinzione ridicola, alla luce della storia delle parole che connettono lingue e culture diverse, il cui senso risale a radici comuni, ancestrali, che parlano di 'chi siamo' noi umani. Non è per nulla difficile cogliere il senso: il latino agens è il participio presente del verbo agere, che significa: 'condurre spingendo'. L'ager è il terreno sul quale ci muoviamo. Lo si traduce 'campo', ma più chee del campo da coltivare o arare, l'ager è il pascolo.

Chi oggi ricorda questo viene bollato di antropocentrismo, di specismo, di non tener conto dei diritti delle cose. Niente di più sbagliato. Basta ricordare il senso della parola natura. Si tratta del participio futuro di nasci, nascere. Participio futuro vuol dire: ciò che sarà se saremo capaci di fare in modo che sia. Noi umani non siamo, né pretendiamo di essere, al centro della natura. Semplicemente vi apparteniamo. In un modo complementare, ma differente, da ogni altro essere vivo.

Possiamo ben riconoscerci cognati di ogni vivente, ma resta la differenza umana. Non dovrà essere considerata un pregio. Ma è il nostro modo di essere.

Come umani, oggi, 21 giugno, possiamo vedere luce per più tempo di ogni altro giorno dell'anno.

Solstizio: latino solstitium, sol stitium. Uno stato del sole, come noi lo vediamo, alzando gli occhi al cielo.

Pubblicato il 21 giugno 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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