Per farlo bisogna silenziare il deprimente e noioso rumore di fondo, marketing, narrativo (storytelling) e comunicazionale, delle piattaforme social. Servono idee, volontà, strategie radicali e grande creatività. Bisogna essere dei sovversivi, avere il coraggio di essere schivati o messi in minoranza, di andare controcorrente, contro il tecno-conformismo del politicamente e dottrinalmente corretto, da tanti praticato, compresi coloro che recitano la critica ma sempre all’interno di modelli che non vogliono mettere in discussione o cambiare.
Esausti, estraniati, iperconnessi, schiacciati dal surplus informativo e cognitivo, online molti hanno scoperto di annoiarsi. Tutti o quasi hanno capito che la felicità non sta online, il problema è come fare a cercarla e a realizzarla offline. Un sogno quasi impossibile visto che dal sonno tecnologico non ci si sveglia mai.
Disconnettersi non è una fuga
L’offline non è una fuga dalla tecnologia o dai suoi mondi. E’ un modo per riscoprire l’altrove che ancora esiste nel mondo reale, nonostante sia stato cognitivamente cancellato dal panorama esperienziale diventato sempre più digitale.
L’offline non è uno stile di vita da opporre all’online e neppure un semplice elemento che partecipa a dare forma all’onlife. E’ un modo per mantenere vive nuove possibilità, non legate agli spazi digitali e tecnologici, poco condizionate dalla ricerca della produttività, dell’efficienza e della visibilità che caratterizza l’esperienza del mondo online. E’ il tentativo di smettere gli abiti intossicati del digitale per tornare a costumi più tradizionali ma fuori dagli schemi, non conformi a ciò che piace alle folle vocianti e modaiole dei social.
"Quello che chiamiamo realtà non esiste indipendentemente dallo sguardo che la mette in prospettiva [...] essa altro non è che il punto di convergenza di innumerevoli derive psicodinamiche che si intrecciano nella vita quotidiana" - Berardi Bifo
Ritornare al mondo reale significa ridare forma al presente, recuperare il passato e tornare a sognare scenari futuri. Non si tratta di fuggire ma di ritornare a pensare che un’altra tecnologia è possibile. Da vivere in modo meno complice e non sottomesso. Meno orientata al marketing e al consumo, libera da inventare, pensare e vivere, lontano dal dominio di coloro che l’hanno privatizzata così come dalle folle che la abitano, anarchica, comunitaria, solidale.
L’offline non è una fuga dalla tecnologia o dai suoi mondi. E’ un modo per riscoprire l’altrove che ancora esiste nel mondo reale, nonostante sia stato cognitivamente cancellato dal panorama esperienziale diventato sempre più digitale.
La fuga obbliga a nuove forme di creatività
Non sono un esperto ma credo che la creatività non sia prerogativa dei mondi online né che non possa fare a meno delle piattaforme digitali. La creatività viene prima delle strategie digitali, prima del marketing e della comunicazione, anche nelle aziende.
La creatività online batte la fiacca, latita, è sempre simile a sé stessa, nonostante le tante narrazioni che la alimentano di racconti e novità, di nuovi packaging, post e merchandising vari. Molte delle piattaforme su cui si esercita sono state pensate per distrarre, occupare la mente, catturare e imprigionare l’attenzione, tenere gli occhi e lo sguardo incatenati a uno schermo. Come tali diventano nel tempo un veleno ritardato, come quello dell’amanita phalloide (fungo commestibile ma mortale per eccellenza) che, emergendo anche a distanza di molte ore, finisce per rendere inutile e tardiva qualsiasi cura.
Focalizzandosi nella ricerca della creatività (vita, esistenza, socialità, ecc. ecc.) online si finisce per dimenticare che la vita reale offre un numero maggiore di alternative. Tante opzioni diverse, non decise da altri ma legate alle proprie intuizioni, istinti, scelte e decisioni, per occupare il tempo e fare cose, per fare meno, oziare e persino fare niente. Un modo laico di vivere che contrasta con una vita tecnologica vissuta sempre più in forma chiesastica e religiosa, che rifiuta la ritualità e le messe in scena delle funzion(i)alità online proposte come pratiche magiche.
Il primo passo da compiere non è disconnettersi ma interrogarsi e porsi semplici domande, anche capziose, sulla convenienza a dare maggiore rilievo alla vita offline. Trovata una risposta e avendola valutata quasi ovvia, ci si può chiedere perché siano così pochi coloro che l’hanno anch’essi trovata e apprezzata. La domanda seguente può toccare la realtà della Internet corrente (non più libera né democratica) e di un Web ormai occupato da spazi privati, in forma di acquari e voliere, usati da poche grandi compagnie multinazionali tecnologiche per semplici scopi di marketing e commerciali. Trovata una qualche risposta plausibile ci si può chiedere come fare a formulare o praticare una reazione alla pervasività malata del modello e della cultura tecnologica dominanti. Infine ci si può guardare intorno e, se si scopre di essere da soli o in compagnia limitata, chiedersi se sia mai possibile che pochi si oppongano al senso comune delle opinioni e dello storytelling prevalenti.
Una spiegazione la si può trovare nella teoria di Umberto Galimberti dell’insorgenza di un inconscio tecnologico, finalizato all’efficienza e alla protuttività ma capace anhe di limitare le nostre azioni: “se tutti fanno così bisogna fare così”. Questo inconscio è così forte da portarci a giustificare qualsiasi energia spesa per soddisfarlo ma anche da impedire che possano venire a galla finalità o destinazioni diversa dalla produttività, dall’efficienza e dal conformismo.
Le alternative esistono
Eppure le opzioni esistono, le alternative non sono scomparse, le possibilità continuano a essere numerose. Non esiste solo il miglior modo possibile di fare una cosa. Non c’è solo un’unica destinazione finale a cui tutti devono necessariamente tendere. Questo è ciò che viene ripetutamente raccontato e suggerito dalle narrazioni mediali e massificate prevalenti.
Nella realtà le possibilità continuano a essere infinite.
Tra le possibilità ci sono anche comportamenti diversi, alternativi, non omologati, alieni, disubbidienti rispetto allo storytelling imposto. Comportamenti che rifiutano il consumismo dilagante (chi lo dice che consumare rende felici?) e si ribellano all’abuso marketing di promozioni e pubblicità (come attivare la black box e come proteggere le proprie emozioni?) online. Comportamenti che non accettano acriticamente i messaggi ricevuti e rifiutano il narcisismo dei selfie. Comportamenti che resistono ai costanti tentativi di catturare l’attenzione creando una continua distrazione. Comportamenti che dalle interazioni online si spostano sulla socializzazione nella vita reale. Comportamenti che scelgono volontariamente di isolarsi e spazi autonomi (le TAZ della Internet di una volta) nei quali rifugiarsi e da sentire propri (le piattaforme abitate online sono e saranno sempre di altri, anche i loro gruppi, comunità, pagine e reti lo sono).
Comportamenti che denotano e rendono possibile tanta creatività.
PS: L’idea per questo articolo mi è venuta da una anticipazione ricevuta via email sulla prossima uscita a settembre del libro dell’olandese Jeff Henderson dal titolo: Offline Matters - The Less-Digital Guide to Creative Work