Introduzione: oltre la mitologia del progetto
Nel discorso manageriale contemporaneo, il progetto viene spesso rappresentato come un sistema razionale, chiuso, orientato a obiettivi predeterminati e governabile attraverso strumenti di controllo, sequenze temporali lineari e indicatori di performance. Questa rappresentazione, pur dominante nella letteratura operativa, è epistemologicamente fragile. I progetti non sono strutture architettoniche fissate ex ante, ma sistemi aperti in continua rinegoziazione semantica e funzionale (Senge, 1990). Essi coevolvono con il contesto, con i soggetti coinvolti, con le condizioni ambientali, tecnologiche e simboliche che li attraversano.
In questa prospettiva, il progetto si configura non come una macchina teleologica, ma come un organismo cognitivo e relazionale: instabile, reattivo, spesso opaco. Parlare di progettualità, oggi, significa allora interrogare le condizioni attraverso cui si costruisce conoscenza nell’azione, accettando l’irriducibilità dell’incertezza come componente strutturale del sistema, e non come residuo da eliminare.
Il termine giapponese Kaizen (改善) significa letteralmente "cambiamento in meglio" ed è una filosofia orientata al miglioramento continuo, applicabile sia a livello personale che professionale. Nato nel contesto industriale giapponese, il Kaizen è diventato un approccio strategico fondamentale per aziende come Toyota, contribuendo al loro successo globale
Kaizen come postura epistemica
La filosofia Kaizen, frequentemente banalizzata in ambito aziendale come insieme di tecniche per il miglioramento continuo, costituisce in realtà una forma di resistenza concettuale alla visione ingegneristica del cambiamento. Nella sua formulazione autentica (Imai, 1986; Nonaka & Takeuchi, 1995), Kaizen non si limita a proporre strumenti di ottimizzazione, ma afferma un principio euristico: quello secondo cui ogni sistema vivente è migliorabile non per difetto, ma per natura.
Kaizen non è la ricerca dell’efficienza come valore assoluto, bensì un’etica della presenza operativa. Non produce automatismi, ma richiede osservazione, dubbio, apprendimento. Si fonda su un presupposto epistemologico forte: che l’organizzazione è un ambiente cognitivo distribuito, in cui la conoscenza si genera nella pratica quotidiana (Gemba) e non in sede di progettazione astratta.
Questo approccio si oppone alla logica taylorista della separazione tra pianificazione e esecuzione, ripristinando la continuità tra pensiero e azione. In Kaizen, l’atto del migliorare non è disgiunto dall’atto del comprendere: ogni intervento è al tempo stesso operativo e riflessivo, e ogni processo di trasformazione è anche un processo di significazione.
Il Kaizen si basa sull'idea che piccoli miglioramenti quotidiani possano portare a risultati significativi nel lungo periodo. In ambito aziendale, ciò implica ottimizzare costantemente processi, prodotti e servizi, coinvolgendo attivamente tutti i membri dell'organizzazione, dal management ai dipendenti
La metamorfosi come paradigma di cambiamento
La teoria della metamorfosi sociale elaborata da Ulrich Beck (2016) introduce una chiave di lettura utile per comprendere il cambiamento nei contesti ad alta complessità. Beck distingue la metamorfosi dalla trasformazione classica in quanto mutamento che non riguarda solo le strutture, ma le condizioni stesse di intelligibilità del sistema.
Applicata al project management, questa idea implica che i progetti non cambiano solo per adattarsi a nuove condizioni operative, ma possono rimettere in discussione il quadro di riferimento entro cui venivano concepiti. In altri termini, il progetto non è soltanto un oggetto trasformato, ma anche il luogo in cui si trasforma il soggetto che progetta.
Il Kaizen, inteso in questo quadro come prassi metamorfica, contribuisce a destrutturare l’ontologia meccanicista dell’organizzazione, proponendo una concezione fluida e rizomatica del lavoro: non più definita dalla successione ordinata di fasi, ma dalla capacità di generare senso nell’interazione tra attori, tecnologie e ambienti.
Il Kaizen non è solo una metodologia aziendale, ma una filosofia che promuove un cambiamento positivo e continuo in ogni aspetto della vita e del lavoro.
Epistemologia della manutenzione: debugging, apprendimento e fallimento
La pratica del debugging, intesa non come semplice correzione di errori ma come forma di esplorazione cognitiva, offre un altro esempio utile per chiarire l’approccio Kaizen. Nella sua forma più superficiale, il debugging è un’attività funzionale: identificare il difetto, correggere il codice, ripristinare la funzionalità. Ma in contesti complessi, esso diventa un atto conoscitivo: un’indagine sulle premesse implicite del sistema, sulle interazioni non visibili, sugli errori come segnali di un’organizzazione che non comprende sé stessa.
Questo tipo di apprendimento non è lineare né cumulativo. È iterativo, autocritico, spesso tacito. E come Kaizen, si fonda su una postura epistemologica che rifiuta la dicotomia tra successo e fallimento, privilegiando la comprensione rispetto al risultato. Come osserva Chomsky (1989), le strutture che producono risposte senza interrogarsi sulle domande che le hanno generate finiscono per depotenziarsi sul piano cognitivo e politico. L’automazione, in questo senso, non è neutra: può ridurre l’errore, ma anche eliminare l’attenzione.
Tecnologia, controllo e de-responsabilizzazione
L’impiego massivo di strumenti digitali nei processi progettuali — da Jira a Confluence, da Miro ai sistemi di workflow automatizzati — ha prodotto, negli ultimi anni, un effetto ambivalente. Da un lato, essi consentono una visibilità senza precedenti del lavoro in corso; dall’altro, favoriscono una delega sistemica delle responsabilità, una frammentazione cognitiva e una burocratizzazione della collaborazione.
Quando il controllo del processo viene esternalizzato al tool, il progetto smette di essere un atto deliberativo e diventa una sequenza di notifiche. L’accountability si trasforma in tracciabilità, il coordinamento in compliance. Come ha mostrato Zygmunt Bauman (2000, 2005), in un contesto di “modernità liquida”, la velocità del cambiamento rischia di produrre forme di instabilità cognitiva e morale che le organizzazioni non sono attrezzate a gestire.
Kaizen, al contrario, restituisce centralità all’atto del vedere, dell’ascoltare, del domandare. Recupera la dimensione concreta del luogo — il Gemba — come spazio in cui la conoscenza viene prodotta attraverso la relazione tra soggetti e artefatti. È una forma di materialismo epistemologico: non speculativo, ma situato.
Conclusione: progettare come apprendere
Ripensare il progetto come processo di metamorfosi significa abbandonare il modello teleologico della produzione per adottare una grammatica cognitiva fondata sulla riflessività, sull’adattività e sulla co-creazione. Significa intendere il project management non come una tecnologia dell’efficienza, ma come una epistemologia operativa.
Il progetto, in questa prospettiva, non è ciò che si realizza, ma ciò attraverso cui si comprende. Non è un artefatto da chiudere, ma un campo da attraversare. La sua efficacia non dipende dalla sua aderenza al piano, ma dalla sua capacità di trasformare chi vi partecipa.
Kaizen, in quanto pratica etica e cognitiva, ci insegna che il miglioramento non è un indice, ma un atteggiamento. Non si misura in output, ma in comprensione. E che il cambiamento autentico non si impone, ma si accompagna.
La sfida per le organizzazioni contemporanee non è adottare nuovi strumenti, ma interrogare le condizioni di possibilità della propria trasformazione. Progettare significa, allora, imparare a pensare in movimento. Accettare la metamorfosi come condizione.
E agire, non per ottimizzare, ma per comprendere.
Bibliografia essenziale
- Bauman, Z. (2000). Liquid Modernity. Polity Press. ISBN: 978-0745624105
- Bauman, Z. (2005). Liquid Life. Polity Press. ISBN: 978-0745631615
- Beck, U. (2016). The Metamorphosis of the World. Polity Press. ISBN: 978-0745695563
- Chomsky, N. (1989). Necessary Illusions: Thought Control in Democratic Societies. South End Press. ISBN: 978-0896083390
- Imai, M. (1986). Kaizen: The Key to Japan’s Competitive Success. McGraw-Hill. ISBN: 978-0075543329
- Nonaka, I., & Takeuchi, H. (1995). The Knowledge-Creating Company. Oxford University Press. ISBN: 978-0195092691
- Senge, P. M. (1990). The Fifth Discipline: The Art & Practice of The Learning Organization. Doubleday. ISBN: 978-0385260954
- Takeuchi, H., & Nonaka, I. (1986). The New New Product Development Game. Harvard Business Review.
- Bonasia, C. (2023). Incertezza e architettura dell’informazione: verso una grammatica cognitiva del dubbio. Stultifera Navis. Link?