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Possiamo osservare due trend. Il primo: esseri umani e macchine sono sempre più strettamente interconnessi, sempre più indissolubilmente interfacciati. Il secondo: ogni lavoro svolto dagli esseri umani può -o potrà- essere sostituito dal lavoro svolto da una macchina. Si può sostenere che la promessa di rendere possibile la sostituzione di ogni lavoro umano con il lavoro della macchina sia eccessiva. Ma la promessa è stata fatta. La spada di Damocle incombe. La stessa presenza della promessa svaluta il lavoro umano; e indebolisce nel presente, in ogni luogo del pianeta, qualsiasi negoziazione tesa a difendere gli spazi del lavoro umano. Il Primo Maggio è la Festa del Lavoro. Forse conviene ormai non limitarsi a dire Festa del Lavoro. Bisogna dire: Festa del lavoro umano. Non credo infatti si voglia celebrare la festa del lavoro di un robot o di un algoritmo. ritorna necessario chiedersi cosa significhi per noi umani 'lavorare'. Il lavoro va certo inteso come fonte di sostentamento; ma va innanzitutto inteso come affermazione di sé, della propria identità, autocreazione: costituisce, diceva Primo Levi, la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra". Questo è ciò a cui rinunciamo se cediamo il lavoro alle macchine. Rinunciamo allo spazio per essere noi stessi. Lo spazio per sognare, agire, progettare, desiderare. Lo spazio per essere sempre più pienamente umani.


Imperio e forze/ Abuserà chiunque avralle.1 Chi gode di “imperio e forze” finirà per abusarne, dice Leopardi. Nei tempi digitali la teoria delle élite, che Leopardi così ben enunciava, si dimostra validissima. Una ristretta cerchia di persone concentra nelle proprie mani la maggior quantità di risorse esistenti - ricchezza, potere, autorità, onori- e impone al popolo il proprio dominio.

Con una particolarità. Si afferma il ruolo dominante dei tecnici costruttori e sorveglianti e utenti privilegiati di macchine digitali. Una vasta famiglia accomunata dagli stessi interessi abbraccia computer scientist accademici e venditori di gadget elettronici . A tutti giova la celebrazione della magnificenza di tutto ciò che può esser detto 'digitale'.

Alla famiglia professionale dei tecnici si possono in fondo annettere gli stessi scienziati. Gli scienziati infatti svolgono il loro lavoro tramite macchine digitali; tendono a considerare la natura stessa ed ogni organismo vivente come macchine digitali; sempre meno si dedicano a indagini e sempre più si dedicano a costruire macchine; sempre più considerano -come i tecnici- la loro ricerca finalizzata ad obiettivi di profitto immediato.

I tecnici sono allo stesso tempo l’avanguardia e il collante dell’élite. I tecnici forniscono infatti gli strumenti ormai indispensabili ad ogni componente dell'élite: basta pensare all'industria e alla finanza. E soprattutto i tecnici progettano e forniscono gli strumenti di governo: controllo sociale, gestione del consenso e costruzione della pubblica opinione; edificazione di mondi nei quali i cittadini sono ridotti a utenti di servizi progettati e definiti dalle élite.

A disporre di “imperio e forze”, e a finire fatalmente per abusarne, sono oggi i tecnici digitali. Ogni componente dell'élite è così costretta ad una sudditanza, o ad una trasformazione: dipendere dai tecnici digitali, o diventare in prima persona tecnici digitali. Sul piano politico, questa situazione apre la strada alla tecnocrazia.

Forti del dominio delle piattaforme digitali, i tecnici impongono la loro autorità ai governanti - fino ad apparire, agli occhi di ognuno, i governanti più adeguati.

Ed allo stesso tempo, la presenza di sempre più efficaci tecnologie di controllo e di sorveglianza costituisce una deriva che sposta pericolosamente le democrazie occidentali verso 'democrature', ed impone agli occhi di ogni cittadino del pianeta un possibile -già presente- futuro: il regime tecnopolitico cinese.

La possibilità di sostituire

L'imperio e le forze in mano ai tecnici digitali portano con sé una conseguenza precisa: la possibilità di comprimere a piacere il più basilare diritto di ogni cittadino: il diritto al lavoro.

Possiamo osservare due trend. Il primo: esseri umani e macchine sono sempre più strettamente interconnessi, sempre più indissolubilmente interfacciati. Il secondo: ogni lavoro svolto dagli esseri umani può -o potrà- essere sostituito dal lavoro svolto da una macchina.

Già il primo punto è notevole. Nel codice della macchina digitale, è scritto come collaboreranno tra di loro le macchine e gli esseri umani. Essendo le macchine progettate dai tecnici; i tecnici hanno il potere di definire lo spazio occupato dalle macchine, e quindi lo spazio che resta aperto all'azione umana. La collaborazione uomo-macchina lascia un enorme potere nelle mani dei tecnici; ed è già di per sé una forma di controllo e di abbassamento del valore del lavoro umano.

Ma il cambiamento chiave sta nel secondo punto. La macchina prende il posto dell'essere umano. E' qui che la differenza da ogni precedente rivoluzione industriale è radicale. In questo risiede la più sostanziale differenza tra l'Era Digitale ed ogni altra era conosciuta da noi umani. In ogni era precedente macchine -già in tempi antichissimi: torni, mulini- hanno condiviso con gli umani il lavoro, senza mai espellere l'essere umano dal lavoro. Solo nell'Era Digitale il tecnico afferma: posso costruire, e costruisco, macchine in grado di sostituire in toto il lavoro umano.

Contano ben poco i palliativi: costruiamo macchine per liberare gli umani dalla fatica; costruiamo macchine per sostituire gli umani solo in condizioni estreme: nelle profondità del mare, nello spazio extraterrestre o in zone inquinate. Queste affermazioni non negano il punto: ciò che affermano con orgoglio i tecnici è di saper e voler costruire robot, algoritmi, sistemi cognitivi in grado di sostituirsi al lavoro umano. A questo lavorano i tecnici: a far sì che macchine prendano il posto degli umani lasciandoli senza lavoro.

Con i tecnici lavorano a questo tutti coloro -consulenti vari, filosofi e giornalisti- che contribuiscono a spogliare di ogni aspetto minaccioso le tecnologie che tolgono lavoro a noi umani. E quando ognuno di noi prova piacere e divertimento nell'osservare l'autonomo agire di un robot o nell'ascoltare le risposte più o meno sensate di una qualche Intelligenza Artificiale, dovrebbe ricordare che sta in qualche modo mettendo in discussione le proprie libertà future.

Eppure la minaccia esiste. Lo dimostra il fatto che non solo si costruiscono robot palombari o astronauti. Si costruiscono robot medici e infermieri. Si mostrano al mondo fabbriche 'a luci spente', dove si costruiscono automobili o frigoriferi senza intervento umano.

Non vale nemmeno consolarsi dicendo: in realtà non sappiamo se il momento in cui ogni lavoro umano potrà essere sostituito da una macchina sarà raggiunto a metà del primo secolo del nuovo millennio, o più tardi. Non vale a nulla rinviare, dicendo: avremo tempo per pensarci. Siccome i tecnici già oggi hanno promesso la sostituzione del lavoro umano, già oggi dobbiamo pensare alle conseguenze di questa promessa.

Non vale nemmeno rifarsi alla storia e dire: i luddisti nel 1800 si scagliarono contro le macchine, ed ebbero torto: le macchine liberarono noi umani da lavori troppo faticosi, ed il lavoro umano non scomparve. Accadrà così anche stavolta. Stavolta, la promessa dei tecnici è sostituire il lavoro umano in toto.

Non vale dire fatalisticamente: come scompaiono nuovi lavori, altri appariranno. Questo poteva esser vero per le precedenti rivoluzioni industriali. Non è vero per questa ultima. Data la promessa dei tecnici: sostituire ogni lavoro umano con il lavoro di una macchina, un solo nuovo spazio di lavoro appare all'orizzonte nell'Era Digitale per noi umani - ed è un nuovo lavoro ben triste: il lavoro di istruttore della macchina che dovrà prendere il nostro posto.

Infine, è doveroso contemplare l'ipotesi che le promesse dei tecnici siano eccessive. Forse non solo non riusciranno in tempi brevi, forse non riusciranno mai a sostituire in toto ogni lavoro umano con il lavoro di una macchina. Ma ciò che comunque conta è il fatto che la promessa di sostituire il lavoro umano con il lavoro della macchina è stata fatta. La spada di Damocle, la minaccia incombe. Già questo svaluta il lavoro umano; e indebolisce nel presente, in ogni luogo del pianeta, qualsiasi negoziazione tesa a difendere gli spazi del lavoro umano.

Primo Maggio, Festa del Lavoro Umano

Il Primo Maggio è la Festa del Lavoro. Forse conviene ormai non limitarsi a dire Festa del Lavoro. Bisogna dire: Festa del lavoro umano. Non credo infatti si voglia celebrare la festa del lavoro di un robot o di un algoritmo.2

A questo punto, di fronte alla manifestazione della tecnica che abbiamo modo di osservare nell'Era Digitale, va ridiscusso un punto chiave della teoria marxiana e marxista. Marx in sostanza diceva: la scienza e la tecnica liberano gli umani. Diceva anche: la macchina resta in ogni caso un costrutto frutto del lavoro umano, e quindi sempre dominato dagli umani.

Entrambe le affermazioni di Marx, del tutto fondate nel 1800, non sono più sostenibili alla luce di ciò che accade nell'Era Digitale. Marx non poteva supporre che automazione e robotica raggiungessero livelli tali di poter promettere di sostituire ogni lavoro umano. Probabilmente, mosso dal suo profondo umanesimo, Marx non contemplava nemmeno la possibilità che un essere umano arrivasse a sostenere: 'preferisco una macchina a me stesso'.

In ogni caso Marx considerava che la tecnica libera l'uomo. Nella scia di Marx vari filoni di pensiero socialista e libertario hanno contemplato nel Ventesimo Secolo la scomparsa del lavoro come uno scenario auspicabile per noi umani: liberati dal lavoro, potremo dedicarci all'ozio creativo.

Dunque, di fronte alla scomparsa del lavoro umano, non ci sarebbe problema - anzi, esisterebbero solo vantaggi. Purché la ricchezza prodotta dalle macchine fosse equamente redistribuita. Lo scenario sarebbe dunque questo: ad ogni lavoratore liberato dal lavoro, dovrebbe essere garantito un reddito tratto dal valore creato dalla macchina che lo ha sostituito.

Il senso del lavoro umano

Qui però ritorna necessario chiedersi cosa significhi per noi umani 'lavorare'. Il lavoro va certo inteso come fonte di sostentamento; ma va innanzitutto inteso come affermazione di sé, della propria identità, autocreazione.

Il modo più semplice per ricordare in cosa consista per noi umani il lavoro, sta nel cedere la parola a un narratore, Primo Levi: è "profondamente stupida" la retorica di chi tende a denigrare il lavoro, "a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio o altrui, si potesse fare a meno”, “come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per ciò stesso un uomo libero". “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare", il lavoro, "costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra".3

Questo è ciò a cui rinunciamo se cediamo il lavoro alle macchine. Rinunciamo allo spazio per essere noi stessi. Lo spazio per sognare, agire, progettare, desiderare. Lo spazio per essere sempre più pienamente umani.

Qualcuno può sostenere: potrai essere te stesso ed essere felice perché godrai del reddito universale. Dato e non concesso che questo avvenga, cosa faremo quando godremo di questo reddito. Per nostro profondo bisogno, per nostro piacere, desidereremo lavorare comunque. Il lavoro, inteso nel senso descritto da Primo Levi, infatti, non è necessariamente legato ad una remunerazione. Ma il lavoro umano, per manifestarsi, ha bisogno di spazio. Se lo spazio del lavoro è occupato da macchine, a noi umani è negata la possibilità di approssimarci alla felicità.

Purtroppo, le avvisaglie del tempo futuro non sono molto confortanti. Tecnici disegnano un mondo nei quali i cittadini dovranno abitare, e pensano opportuno disegnare le esperienze che saranno concesse ai cittadini, ridotti a utenti.

Cittadini ridotti a utenti staranno, o stanno già, stravaccati sul divano di casa con il proprio smartphone in mano, costretti a muoversi su piattaforme digitali, attraverso app che dettano i comportamenti ed i modi di spendere il reddito di cittadinanza.

Si può dunque affermare che la tecnica è un dono che noi umani facciamo a noi stessi. E di conseguenza si può immaginare un percorso. I tecnici possono tornare a sentirsi innanzitutto cittadini.

Si possono vantaggiosamente evidenziare ed allargare le crepe nella recente saldatura di interessi che lega tecnici, classe politica strettamente intesa, finanza speculativa.

Si può idealmente immaginare che tecnici impegnati nello sviluppo di macchine siano disposti a sottoscrivere un patto per il rispetto degli spazi presenti e futuri garantiti al lavoro umano.4

Questo percorso passa attraverso il guardare la scena dell'Era Digitale con sguardo aperto. L'ottica tecnico-scientifico non è l'unica. La storia non è iniziata né con la Rivoluzione Scientifica, né con l'Illuminismo, né con la Rivoluzione Industriale. Tantomeno è iniziata con l'Era Digitale. Eppure si parla dell'Era Digitale solo con linguaggi nati nell'Era Digitale, solo citando fonti affermatesi nell'Era Digitale. E' conveniente chiamare in causa altre fonti, chiavi di lettura.

L’Era Digitale ci spinge a tornare a chiederci cosa vuol dire essere umani.


Note

Nota: Questo articolo riprende la  parte iniziale del capitolo conclusivo del mio libro Le Cinque Leggi Bronzee dell'Era Digitale. E perché ci conviene trasgredirle, Guerini e Associati, 2020.

1Giacomo Leopardi, "Palinodìa. Al marchese Gino Capponi", in Canti, Saverio Starita, Napoli, 1835. XXXII .

2Francesco Varanini, “Storie di lavoro umano e di lavoro delle macchine”, in Francesco Varanini (a cura di), "Presente e futuro del lavoro umano", Via Borgogna 3, rivista della Casa della Cultura di Milano, 8, 2018. Francesco Varanini, "Il lavoro umano nella fabbrica digitale ed il domani della Direzione Risorse Umane", in Chiara Lupi, Il futuro della fabbrica. La via italiana per il rinascimento della manifattura, Este, Milano, 2019.

3Primo Levi, La chiave a stella, Torino, Einaudi, 1978.

4Francesco Varanini, "Il lavoro umano nella fabbrica digitale ed il domani della Direzione Risorse Umane", cit..: 18.4 Etica del lavoro umano.

Pubblicato il 01 maggio 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

fvaranini@gmail.com https://www.stultiferanavis.it/gli-autori/francesco