Machinery

Ritroviamo dunque nel senso originario di macchina il riferimento a una energia, una forza misteriosa, che gli umani riconoscono come separata da sé. La 'machinery' che oggi conosciamo si afferma in Inghilterra, all'inizio del 1800, come punto di incontro tra Illuminismo, Rivoluzione Industriale, Rivoluzione Scientifica e tecnica, liberismo e imprenditorialità. La machinery ci libera, allo stesso tempo ci minaccia. La differenza che separa la Rivoluzione Digitale dalla Rivoluzione Industriale dell'Ottocento sta nel fatto che oggi è concepibile e tecnicamente accessibile la sostituzione di qualsiasi tipo di lavoro umano con il work di una macchina.

Filosofia perenne

Il filosofare è il pensiero che va oltre limiti e costrizioni, cercando il sapere al di là di ogni conoscenza settoriale. Per questo si arriva a proclamare la morte della filosofia: di fronte al proliferare di discipline scientifiche e tecniche, una conoscenza multidisciplinare appare oggi inattingibile. Ma più che di morte della filosofia, possiamo parlare di resa dei filosofi. Vediamo sulla scena 'filosofi' che si adeguano a un ruolo ancillare, ponendosi in posizione di sudditanza e di servizio si specifici ambiti scientifici e tecnici. Eppure la figura del filosofo acquista oggi, nell'Era Digitale, una nuova importanza. Servono oggi liberi pensatori tesi oltre ogni conoscenza settoriale, specialistica, disposti a svelare il senso nascosto, complessivo, quel senso che ogni scienza nomina e descrive nel suo modo parziale. Servono pensatori disposti al rischiaramento: l'illuminazione che rende chiaro l'oscuro.

Per una festa del lavoro umano

Possiamo osservare due trend. Il primo: esseri umani e macchine sono sempre più strettamente interconnessi, sempre più indissolubilmente interfacciati. Il secondo: ogni lavoro svolto dagli esseri umani può -o potrà- essere sostituito dal lavoro svolto da una macchina. Si può sostenere che la promessa di rendere possibile la sostituzione di ogni lavoro umano con il lavoro della macchina sia eccessiva. Ma la promessa è stata fatta. La spada di Damocle incombe. La stessa presenza della promessa svaluta il lavoro umano; e indebolisce nel presente, in ogni luogo del pianeta, qualsiasi negoziazione tesa a difendere gli spazi del lavoro umano. Il Primo Maggio è la Festa del Lavoro. Forse conviene ormai non limitarsi a dire Festa del Lavoro. Bisogna dire: Festa del lavoro umano. Non credo infatti si voglia celebrare la festa del lavoro di un robot o di un algoritmo. ritorna necessario chiedersi cosa significhi per noi umani 'lavorare'. Il lavoro va certo inteso come fonte di sostentamento; ma va innanzitutto inteso come affermazione di sé, della propria identità, autocreazione: costituisce, diceva Primo Levi, la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra". Questo è ciò a cui rinunciamo se cediamo il lavoro alle macchine. Rinunciamo allo spazio per essere noi stessi. Lo spazio per sognare, agire, progettare, desiderare. Lo spazio per essere sempre più pienamente umani.

Julio Cortázar e i limiti della velocità

In un racconto di Julio Cortázar, il viaggio in autostrada: chiusi ognuno nella propria scatola, corriamo veloci in avanti immersi in un non-luogo. Se questa è la norma, l'evento è l'ingorgo stradale. Dove prima le vetture sfrecciavano, coda di automobili ferme che si snoda a perdita d'occhio. Il bloccarsi del flusso delle auto in corsa è una discontinuità sistemica. La velocità è bruscamente negata. Improvvisamente sbalzati, del tutto impreparati, in un inatteso, sconosciuto, differente spazio-tempo, ''passeggeri' costretti a scendere dall'auto e a vivere l'emergenza insieme, si riscoprono diversiNascono tra di loro nuove relazioni sociali. Quando finalmente, pian piano, le auto iniziano a muoversi di nuovo "a ottanta chilometri all'ora" verso le luci di Parigi "che crescevano a poco a poco", tutti rimpiangeranno l'esperienza vissuta. Resta aperta per tutti la domanda: "perché tanta fretta, perché questa corsa nella notte tra auto sconosciute dove nessuno sapeva niente degli altri, dove tutti guardavano fissamente in avanti, esclusivamente in avanti".

Di sistemi che pensano per parti: riflessione su microservizi, resilienza e decomposizione

n questo breve saggio propongo una riflessione sull’architettura a microservizi, andando oltre la tecnica per interrogarmi sul modo in cui pensiamo — e costruiamo — i sistemi complessi. Non si tratta solo di design software, ma di una forma mentale: una postura progettuale che accetta l’incertezza, valorizza la sostituibilità, e riconosce nella decomposizione una strategia di resilienza. È un testo scritto nel silenzio di chi osserva i sistemi parlare tra loro, e cerca nei loro fallimenti non un errore, ma un’indicazione.

La tecnica e il proprio corpo. La via di Alan Turing e l'opposta via di Marcel Mauss

In tempi di macchine potenti ed autonome, è auspicabile recuperare la sensazione del momento iniziale, quando, a mani nude, disponendo solo del proprio corpo, l'essere umano intuisce, scopre, inventa, crea, costruisce. Ripartendo ogni volta da sé stesso l'essere umano si mantiene vivo nel presente e garantisce speranze di vita futura a sé stesso ed ai posteri. Questo è il semplice ed efficace antidoto alla tendenza che la cultura digitale ci impone: costruire ed usare macchine per simulare, imitare e sostituire ciò che il nostro corpo e la nostra mente sapevano, e in fondo sanno ancora fare.

L’ambiguità delle tecniche: il mito di Prometeo

Il mito di Prometeo è forse, tra i tanti miti presenti nella cultura greca che parlano ancora di noi, il più potente e il più celebre. Continuamente riesaminato e reinterpretato nel corso della storia (da Hobbes, Rousseau, Vico, Goethe, Schelling, Marx, Weil, Jonas…), mantiene un fondo oscuro e enigmatico. Rappresenta, meglio di qualsiasi altro mito, i caratteri della civiltà occidentale ed è l’aspetto principale con cui, oggi, l’esistenza umana si deve misurare. Il problema del nostro tempo risiede infatti nella straordinaria capacità di conoscenza e di potere tecnologico a cui non corrisponde, però, una altrettanto grande capacità di percepire, immaginare, sentire. Già mezzo secolo fa il filosofo Günther Anders definiva tale condizione “dislivello prometeico”. Un dislivello che può portare l’umanità a scelte catastrofiche.