L’essere umano sa rendere via via più semplice e più efficace il lavoro tramite strumenti e attrezzi da lui creati. Strumenti che stanno nelle sue mani. Ma non si limita a questo, crea macchine: artefatti dotati -a differenza di attrezzi tenuti in mano e governati dalla mente- di una crescente, autonoma capacità di ‘lavorare’.
Macchina, così come meccanica, derivano dal greco mekhane, nome con cui venivano designate attrezzature per sollevare l’acqua, macchine da guerra... Mekhane rimanda alla radice indeuropea magh, ‘essere capace’, ‘avere potere’, da cui anche magia, e l'inglese main: 'potere', 'forza del corpo', forza della mente', 'forza soprannaturale'. Ritroviamo dunque nel senso originario di macchina il riferimento a una energia, una forza misteriosa, che gli umani riconoscono come separata da sé.
A metà del 1800
"I mezzi di lavoro passano attraverso diverse metamorfosi, il cui culmine è la machine, o meglio, an automatic system of machinery",1 scrive Marx attorno al 1850. Sta prendendo appunti e tentando nuove sintesi, in vista della stesura del Capitale. La sua fonte è Charles Babbage. In On the Economy of Machinery2 Babbage descrive la nuova organizzazione e la nuova divisione del lavoro nella fabbrica dotata di telai meccanici governati da schede perforate. Ma è anche l'inventore dei primi prototipi di computer. Dedica quindi anche un capitolo alla Divisione del lavoro mentale: “sebbene possa apparire paradossale a molti lettori”, la divisione del lavoro può essere applicata anche alle mental operations.3
La machinery si afferma in un contesto storico e culturale preciso: Inghilterra, inizio del 1800. La parola italiana macchinario traduce solo una piccola parte del senso.
La macchina, in senso stretto, è l'engine: Babbage chiama così la sua macchina per computare.4 E' engine anche il telaio, o qualsiasi macchina utensile. La macchina utensile è però detta anche mill: il termine, dal senso primo di mulino, si allarga a definire ogni macchina. Mill esprime tutta la novità della situazione: sta infatti per macchina, ma anche per fabbrica, impianto, stabilimento.
Mechanical power
Con la machinery -che è tecnologia ingegneristica e allo stesso tempo tecnologia organizzativa- i concetti di fabbrica e di macchina finiscono per sovrapporsi. La fabbrica è una macchina. La macchina è un sistema.
Machinery: simbolico luogo di convergenza di movimenti, fenomeni, discontinuità che solitamente osserviamo separatamente, e che invece è bene abbracciare con un solo sguardo.
Si ritrova nella machinery l'Illuminismo, con la sua fiducia nella Ragione e nel Progresso. Si concretizza in machinery la Rivoluzione Scientifica e Tecnica: ricerca e innovazione al servizio di nuovi modi produzione; caso esemplare i telai meccanici governati da schede perforate, mossi dall'energia fornita dal vapore. La Rivoluzione Industriale stessa consiste nell'avvento della machinery. Con l'introduzione della machinery il mechanical power si sostituisce, come forza motrice, all'human power.
Sono mutualmente implicati machinery e liberismo: l'imprenditorialità è efficace perché le macchine moltiplicano gli effetti degli investimenti. Il liberismo economico si rispecchia nel liberismo politico. John Stuart Mills, a metà Ottocento, ragiona, in On Liberty, sulla forma dello Stato. Si interroga sulla struggle -lotta, conflitto- tra autorità e libertà. La società nella sua turbolenta infanzia non ha potuto fare altro che assoggettarsi a regole dettate "da un maestro", ma via via che l'umanità progredisce -la disponibilità di macchine così potenti è il segno del progresso, fonte di libertà- le persone giungono a governarsi da sole. Sono posti così al centro dell'attenzione il “self-government,” ed il “power of the people over themselves”.5
E' un processo senza soluzione di continuità che giunge ai tempi nostri. L'Era Digitale non è che un salto di qualità nel trionfale corso della machinery.6
Ambiguità
E' importante cogliere l'ambiguità della machinery. Gli economisti classici: Ricardo, Smith, Mills padre, descrivono i vantaggi e indicano le linee dello sviluppo fondato sull'innovazione tecnica. Ma così, come con la sua enorme potenza la machinery ci libera, allo stesso tempo ci minaccia.
Come spesso accade, poeti e romanzieri, più degli economisti e dei filosofi, ci permettono di comprendere il clima sociale.
La Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith -il testo preso a segno della Rivoluzione Industriale- esce nel 1776. Tre anni dopo, secondo una tradizione non provata storicamente, a Nottingham l'operaio Ned Ludd, o forse Edward Ludlam, fracassa a martellate un telaio. E' l'eroe degli operai che a Nottingham, nel 1811 e di nuovo nel 1816, vedono nella macchina una minaccia.
I luddisti, operai traditi dalla macchina, mossi più dall'emozione che dalla ragione, agiscono di notte, mascherati. Distruggono i telai per le calze e per i merletti. E il movimento si diffonde.
Chi meglio spiega il fenomeno è Lord Byron: George Gordon Byron, Fellow of the Royal Society. Un poeta. Nel 1812 si discute alla Camera dei Lords l'approvazione del Frame Breaking Act, norma tesa a reprimere i moti luddisti. Byron partecipa al dibattito. Attento alle motivazioni degli operai spiega: "Queste macchine sono state per loro [gli imprenditori] un vantaggio, perché facevano venir meno la necessità di impiegare un certo numero di operai, lasciati di conseguenza a morire di fame”.
Romanzi
Negli stessi anni in cui Marx ragiona sulla machinery, Charles Dickens scrive Tempi difficili. "Le fabbriche incombono pesantemente nella notte nera e umida, le loro alte ciminiere si innalzano nell'aria come Torri di Babele in competizione".7 "Era una città di machinery e alte ciminiere, dalle quali interminabili serpenti di fumo si trascinavano per sempre, mai del tutto srotolati".8 "La vita scorre monotona like a piece of machinery which discouraged human interference",9 "come una macchina che scoraggia i rapporti tra le persone”, si legge in una traduzione italiana. Ma Dickens è molto più preciso. Il suo riferirsi all’human interference anticipa i tempi. L'agire dell’essere umano, imperfetto, interferisce nell'autonomo funzionamento della machinery danneggiando la produttività.
Ancor più sembrano capire il senso della machinery, esprimendo con lucida emozione il turbamento e il disagio che la machinery provoca, Charlotte Brontë ed Elizabeth Gaskell, donne che scrivono romanzi. Charlotte Brontë, in Shirley, parla di infernal machinery.10 Elizabet Gaskell, in North and South, parla di machinery and men: noi umani ci troviamo a sperimentare una nuova inquietante relazione. Parla di power of the machinery, odiousness of the machinery.11
Beatrice Webb, economista riformatrice sociale, verso il termine del secolo, propone la questione in termini chiari. La Rivoluzione Industriale consiste nell'avvento della machinery. "Con l'introduzione della machinery” il mechanical power si sostituisce all'human power come forza motrice. “Il lavoratore adulto cessa di essere il primo strumento di produzione". Primo strumento di produzione diviene "l'automatic machine, di cui un paio di mani umane sono la necessaria appendice".12
Discontinuità
I vantaggi impliciti nella produzione di massa a basso costo garantita dall'automatic machine sono fuori discussione. Così come il sollievo del lavoratore, liberato dalla parte più gravosa della fatica materiale. Ma lo stesso Marx, come Byron, Dickens, Brontë, Gaskell e Beatrice Webb, ci ricordano anche l'umiliazione dell'uomo di fronte alla macchina, la negazione di quello spazio vitale di azione, di espressione di sé, che chiamiamo lavoro.
La differenza che separa la Rivoluzione Digitale dalla Rivoluzione Industriale dell'Ottocento, e dai suoi seguiti novecenteschi, sta nel fatto che l'evoluzione -il lavoro umano sostituito dal lavoro della macchina- è giunta al suo termine. Oggi non solo esseri umani e macchine sono sempre più strettamente interconnessi. Oggi è concepibile e tecnicamente accessibile la sostituzione di qualsiasi tipo di lavoro umano con il work di una macchina.
Note
1 Karl Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie (1857–1858) , Mosca, 1938-1941, p. 692.
Quaderno VI, febbraio 1858.
2Charles Babbage, On the Economy of Machinery and Manufactures, Charles Knight, London, Pall Mall East, 1832.
3Charles Babbage, On the Economy of Machinery and Manufactures, cit., 1832. Chapter XIX: On he Division of Mental Labour, pp. 153 e segg.
4Charles Babbage, Passages From the Life of a Philosopher, Logman, Green, Roberts & Green, London, 1864; trad. it: Passaggi nella vita di uno scienziato, Utet Libreria, Torino, 2007.
5John Stuart Mill, On Liberty, John W. Parker and Son, London, 1859.
6Francesco Varanini, “Storie di lavoro umano e di lavoro delle macchine”, in Francesco Varanini (a cura di), "Presente e futuro del lavoro umano", Via Borgogna 3, rivista della Casa della Cultura di Milano, 8, 2018. Francesco Varanini, “Il lavoro umano nella fabbrica digitale ed il domani della Direzione Risorse Umane”, in Chiara Lupi (a cura di), Il futuro della fabbrica. La via italiana per il rinascimento della manifattura, Este, Milano 2019.
7Charles Dickens, Hard Times. For These Times, uscito a puntate su Household Words, aprile-agosto 1854, poi Bradbury & Evans, London, 1854. Chapter XII: 'The Old Woman', Chapter V: 'The Keynote'.
8Ibid., Chapter V: 'The Keynote'.
9Ibid., Chapter IX: 'Sissy’s Progress'.
10Charlotte Brontë, Shirley, Smith, Elder & Co., 1849, Chapter VIII: 'Noah and Moses'.
11Elizabeth Gaskell, North and South, uscito a puntate su Household Words, settembre 1854 - gennaio 1855, poi Chapman and Hall, London, 1855, Chapter VIII: 'Home Sickness'; Chapter X: 'Wrought Iron and Gold'.
12Beatrice Potter [Mrs. Sidney Webb], The Co-operative Movement in Great Britain, 1891, Swan Sonnenschein & Co., London, 1891. Chapter I: 'The Co-operative Idea', pp. 9-10.