Go down

È questa la frase espressa come riflessione in un gruppo di ricerca e studio di professionisti della salute come risposta alla considerazione della mancanza di riconoscimento della persona malata.


La frase diventa domanda, anzi domande, e anche legittime. “Come può una persona che non si sente tale, riconoscere altre persone, che siano queste, colleghi, collaboratori? E che dire dei pazienti?”

La forbice dell’asimmetria si allarga.

Anzi è proprio con il “paziente” che la condizione del “personale non persona” potrebbe esercitare al meglio il suo ruolo.

Già considerarlo paziente è un segnale di attenzione, di umanizzazione, di gentilezza; molto spesso viene ridotto a un corpo, peggio, a una parte del corpo, un femore, lo stomaco, un polmone. Ancora più facilmente lo si identifica come malato, più facilmente come numero di un letto.

La persona che non viene vista come tale, diventa spesso una patologia, una diagnosi. Nessun impegno a stabilire una relazione, un contatto.

La formazione, il contesto certamente non sostengono il personale sanitario nel sentirsi, o, se vogliamo, riscoprirsi nello stato di persona.

Può succedere che a un certo punto qualcuno del personale sanitario entri in uno stato di affaticamento e prima che questa condizione degeneri in burn out, inizi a porsi delle domande e forse provi a cercare di cambiare qualcosa.

Se il mondo delle relazioni ha sempre una sua complessità, in quello delle relazioni attraversate dalla sofferenza la complessità si amplifica e diventa indispensabile cercare un equilibrio.

Riconoscere e assumere questa complessità è comunque già un progresso, un atto di consapevolezza che permette di entrarvi e di elaborarla.

Ofman nel suo libro “Le qualità autentiche” afferma che qualunque persona occupi una posizione che la vede coinvolta in interazioni relazionali dovrebbe prendersi cura della propria motivazione e ispirazione.

Più conosce se stesso più sarà in grado di capire le persone con cui entra in contatto e riconoscere i loro bisogni e svolgere il suo ruolo in modo efficace perché riuscirà a riconoscere, per esperienza personale, che cosa è necessario per il miglioramento della relazione.

La sua responsabilità principale è occuparsi del proprio sviluppo, riconoscere le proprie fragilità perché in esse gli sarà possibile aprirsi all’ascolto profondo della persona che sta soffrendo.

È nella reciprocità di questo riconoscimento dello stato dell’altro che la cura si impreziosisce dell’interesse e della curiosità del curante e si crea uno stato di prossimità gentile. La gentilezza, infatti, comporta una connessione profonda e la consapevolezza che ciascuno esiste anche in relazione all’altro. Che sia questo nella posizione di medico o di paziente. Pur nel rispetto di una distanza di sicurezza relazionale, condizione indispensabile per consentire al professionista della salute di intervenire funzionalmente nella cura.

Conoscere se stesso significa conoscere i propri punti di forza e le aree di miglioramento, dare spazio a momenti di difficoltà e di fragilità dell’altro per averli riconosciuti in sé.

Da medico a paziente. Questa potrebbe essere la condizione che accelera questo processo di consapevolizzazione.

Trent’anni fa Goleman parlava di Intelligenza emotiva, introduceva così il tema delle emozioni che apriva e sottolineava il valore del “sentire”.

Carlo Rinaldi nella sua opera “Intelligenza sensibile. Costruire relazioni per generare energia” ci propone una nuova strada, quella dell’intelligenza sensibile appunto.

Con queste riflessioni apre il suo saggio: “Uno sviluppo che coinvolge tutti i sensi e ci permette di entrare in frequenza con gli altri, fuori dalla nostra scatola. Non è solo questione di comprendere ciò̀ che l’altro prova a livello emotivo, ma di aprirsi a un «ascolto relazionale», di spostare l’ego e fare spazio all’eco, per creare nuove risonanze con i segnali più̀ sottili: un movimento, un’espressione impercettibile, un tono di voce che tradisce il non detto.

Questa forma di intelligenza va oltre l’empatia e raggiunge un livello più̀ profondo di consapevolezza. Un’idea di intelligenza sensibile come via per generare energia e comprendere gli altri e l’universo che ci circonda."

 

"Un tempo pensavo che la cosa più ardua del mestiere di medico fosse acquisire le necessarie competenze (…).

Mi sono reso conto che la cosa più difficile è capire dove comincia e dove finisce il nostro potere (…)

Sandro Spinsanti


Note:

  • MIBES Magazine è la rivista online di Accademia Mibes, dedicata a temi di attualità in ambito di medicina e cura integrata: 

Pubblicato il 03 maggio 2025

Anna Maria Palma

Anna Maria Palma / Professional Counselor, Emotional Intelligence Coach, Consulente, Ambasciatrice Gentilezza

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