Go down

“Da solo lungo l’autostrada alle prime luci del mattino, a volte spengo anche la radio e lascio il mio cuore appoggiato al finestrino, lo so del mondo e anche del resto, lo solo che tutto va in rovina, ma di mattina quando la gente dorme col suo normale malumore, mi può bastare un niente forse un piccolo bagliore o un’aria già vissuta un paesaggio che ne so, e sto bene, io sto bene come uno quando sogna, non lo so se mi conviene, ma sto bene che vergogna”.

Sandro Luporini (1930-vivente)

Un imprevisto è la sola speranza (Montale)

“Da solo lungo l’autostrada alle prime luci del mattino, a volte spengo anche la radio e lascio il mio cuore appoggiato al finestrino, lo so del mondo e anche del resto, lo solo che tutto va in rovina, ma di mattina quando la gente dorme col suo normale malumore, mi può bastare un niente forse un piccolo bagliore o un’aria già vissuta un paesaggio che ne so, e sto bene, io sto bene come uno quando sogna, non lo so se mi conviene, ma sto bene che vergogna”.

Questi versi cantati da Giorgio Gaber sono stati scritti dal pittore viareggino Sandro Luporini, artista che ha saputo usare il segno parola e il segno pittorico per descrivere l’uomo contemporaneo, la scissione tra corpo e psiche, il dualismo tra tensione ideale e materialità, la ricerca costante di un unità tra spirito e corpo poco probabile per gli uomini di questo tempo.

Pochissimi versi che possono essere la migliore didascalia per le sue opere pittoriche in cui la realtà non si vede appena, semmai ci si imbatte, viene incontro imprevista allo sguardo.

Manca del tutto nella poetica di Luporini l’eterno azzurro del cielo-mare di Guccione, la luce dentro del pittore siciliano. Ogni particolare si fa più drammatico, ogni cosa diventa apparizione, epifania. Nulla è interiorizzato, ma è lì da sempre in una realtà che ancora deve manifestarsi del tutto, che ancora deve accadere. L’universo dipinto da Luporini “geme nelle doglie del parto”.

È attesa del miracolo eventuale, della possibilità che qualcosa d’improvviso possa squadernare, stravolgere alla Buzzati, l’ordine consueto delle cose. “No non muovetevi c’è un’aria estremamente tesa, un gran bisogno di silenzio, siamo come in attesa” fa dire ancora al suo amico Gaber, descrivendo perfettamente il tono, la cifra delle sue opere pittoriche. L’attesa è una categoria che implica dinamismo operativo e mai stasi, è un tendere verso a piccoli passi, guardando come di soppiatto, procedendo con lentezza e in assoluto silenzio nella penombra che è poi la pelle vera del reale.

Il grigio è il colore dominante delle attese, delle sue spiagge versiliane solitamente e solitariamente invernali, spoglie, talora volutamente raffigurate in secondo piano per essere guardate da scorci di finestre, smagliature di paesaggi che non possono non richiamare la nostalgia di ciò che non è più o di ciò che potrebbe non essere mai. Nostalgia del futuro è sempre attesa.

Poi d’improvviso ecco apparire un ombrellone chiuso, un cane che corre, alcune figure umane che sembrano rappresentare o, meglio, dare credito alla possibilità di un incontro.

Un incontro dell’io con le cose (altro tema gaberiano), che si rinnova nel ripetersi di soggetti e oggetti molto simili che “morandianamente” è come se cercassero un senso proprio, un loro ordine nello spazio, poiché quello del tempo ha il nome ineludibile della nostalgia.

Sono quadri “autunnali” ove manca la gioia o la festa della spiaggia estiva, non vi è mai il grasso sole ferragostano che riscaldi o illumini, solo tratti algidi talmente ben delineati che è quasi possibile percepirne tutto il freddo. L’impressione dominante è quella però di un sipario che nasconde altro da quanto immediatamente visibile e raffigurato, come se ad un tratto la tela dovesse schiudersi per mostrare il senso vero di quanto nasconde. Per una eventuale rivelazione.

In fondo la vita di Luporini nel suo sodalizio con Gaber è stata tutta in questa metafora straordinaria, dove l’arte senza mai precludere né perdere lo scopo primario del produrre bellezza, anzi proprio in forza di ciò, ha educato, confortato, scosso, affezionato, ferito migliaia di spettatori in quarant’anni di teatro.

La nostalgia è il desiderio profondo di tornare a casa

Luporini sa bene che la nostalgia è il desiderio profondo di tornare a casa, e nel paradosso del suo aver sempre dipinto casa e da casa, vi è la chiave per capire che la dimora attesa, desiderata potrebbe celarsi tra le pieghe sordide e consuete di quanto è già sotto i nostri occhi, come nel Chesterton delle Avventure di un uomo vivo.

Un altrove che è già qui, che con squarci improvvisi e incontri inattesi si manifesta a chi ha ancora la voglia di stupirsi senza vergognarsene. Solo allora, come nei versi iniziali, la struggente nostalgia diverrà una imprevista illogica allegria.

Bibliografia

  • Giorgio Gaber, Sandro Luporini e gli anni Ottanta. Gli spettacoli del decennio, ARCANA 2024
  • Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68. Un'analisi di alcuni spettacoli degli anni Settanta, ARCANA 2021
  • Sandro Luporini, pittore scrittore. Catalogo della mostra (Roma, 9 giugno-11 settembre 2016), ELECTA 2017
  • Sandro Luporini, La tensione dello sguardo. Maria Pacini Fazzi editore, 2001
  • Sandro Luporini, Ed. Adac Grafica, 1986
Massimiliano Pappalardo

Massimiliano Pappalardo / Filosofo del lavoro, Responsabile Area Sviluppo Manageriale Valeoin - Docente Sole 24ore Bs-Saggista Feltrinelli-Docente Unict

massimiliano.pappalardo@execohr.it