Go down

La negazione e anestetizzazione continua e progressiva del dolore, tipica della società contemporanea, ha un effetto collaterale molto pericoloso: l'anestetizzazione della realtà, la sospensione della vita.


Una delle caratteristiche più disturbanti della società contemporanea e di conseguenza dei suoi follower, è quella di aver perso ogni senso del limite. Tutto è “to the moooon”, le iperboli si sprecano, il quotidiano è sempre e per forza banale, invece di fare i genitori preferiamo fare gli amici, non possiamo stare in coppia perché legarci a qualcuno ci limita. Lo zeitgeist è pervaso da una progressiva alterazione della presenza dei confini e dei ruoli, sempre più liquidi e valicabili, ma anche dall’insofferenza per qualsiasi limite e regola.

Eppure un essere umano non può fare a meno del concetto di limite,fondamentale per compiere qualsiasi percorso di crescita, di apprendimento, di consapevolezza. Per espandere le proprie possibilità, occorre innanzi tutto ammettere che non sono infinite e illimitate. Il senso del limite è intrinseco anche nella nostra natura biologica e si sostanzia nell’esistenza del dolore, della morte. Il dolore viene interpretato come segno di debolezza, come qualcosa da eliminare o sconfiggere il più presto possibile in quanto non compatibile con gli elevati standard di prestazione richiesti dalla società: la passività insita nella sofferenza non merita un posto nella società attiva dominata dal “poter fare”, in cui il dolore viene privato di qualsiasi possibilità di espressione e condannato a tacere, dimenticando la sua grande funzione purificativa e catartica nel processo di guarigione di ciascuna persona.Il malessere non viene più affrontato, ma nascosto e mascherato, diventando di fatto inconsapevolmente onnipresente.

Del resto noi percepiamo la realtà soprattutto a partire dalla resistenza, che provoca dolore. Il rifiuto di accettarlo, la sua continua anestetizzazione, spegne lentamente il contatto con la realtà.

“L’anestesia permanente nella società palliativa derealizza il mondo”

afferma Byung Chul Han. Questa derealizzazione si traduce, sul piano individuale, nella difficoltà dell’attuazione dei processi di formazione e di crescita quando il singolo individuo cerca strenuamente di evitare ogni tipo di sofferenza.

Il neoliberalismo pretende la massima e continua performatività da esseri umani che ormai sono divenuti robotici, privi di pensiero e di vita: essi devono formare, nel loro insieme, una moltitudine di “articoli indeterminati”, il cui livellamento razionale e il cui comportamento programmatico sono finalizzati a una prestazione priva di debolezze, di indecisioni e di fragilità, a bisogni banali e prevedibili.

Non solo Han si è interrogato sul rapporto tra contemporaneità e dolore, anche Konrad Lorenz ha proposto riflessioni interessanti, quasi profetiche viste che attuate in un periodo precedente.

Anche Lorenz è convinto che il dolore sia un elemento imprescindibile per ogni individuo mortale nell’ottica del conseguimento di quel piacere che ne garantisce la sussistenza e che lo fa pedagogicamente crescere. Tentando invece di estromettere il dolore dalla nostra società, rischiamo una vita piatta e banale, condizionata dall’abitudine e dall’inerzia, il cui risultato ultimo è l’apatia totale, dunque la mancanza di piacere:

«l’intolleranza al dolore, fenomeno sempre più diffuso ai giorni nostri trasforma i naturali alti e bassi della vita umana in una pianura artificiale, le onde grandiose del mare tempestoso in vibrazioni appena percettibili, le luci e le ombre in un grigiore uniforme”

Chiamo profetiche le riflessioni di Lorenz perché anticipano tante delle attuali distorsioni: positività tossica, transumanesimo, fobia dell’invecchiamento e del dolore, scientificazzione della vita umana, tecnocrazia. Una vita votata puramente al piacere e che nega ogni altra sfumatura, non è più vita.

Via il dolore fisico, via il dolore psichico, via la morte, addirittura via la noia. Ancora Han:

“La vita priva di dolore e munita di costante felicità non sarà più una vita umana. La vita che perseguita e scaccia la propria negatività elimina sé stessa. La morte e il dolore sono fatti l’uno per l’altra. Nel dolore, la morte viene anticipata. Chi vuole sconfiggere ogni dolore dovrà anche abolire la morte. Ma una vita senza morte né dolore non è umana, bensì non morta. L’essere umano si fa fuori per sopravvivere. Potrà forse raggiungere l’immortalità, ma al prezzo della vita”

L’augurio per noi che sia non tanto quello impossibile di non soffrire più, quanto di soffrire meglio. Per r-esistere e ricominciare a vivere.


Pubblicato il 05 dicembre 2025

Fabio Salvi

Fabio Salvi / Team Lead People Partner Europe South presso FlixBus