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Umano e postumano si confrontano con l'esperienza.


Da giovane per qualche anno sono stato antropologo, impegnato nel lavoro di ricerca sul campo. Ah, ho scritto 'antropologo', oggigiorno bisogna stare attenti, con questa parola rischio di passare per antropocentrista, poco attento al postumano e al more-than-human...

Oggi per essere à la page, bisogna parlare di “un fare collettivo" in cui "il collettivo" è costituito da "intrecci di esseri umani e non umani (compresi gli esseri più-che-umani, più-che-viventi) che lavorano insieme”. E bisogna per parlare di questo usare la parola “agencement”, parola usata, leggo, come “termine filosofico da Deleuze e Guattari (1987) con il significato di 'in connessione con'”. Non basta dire 'in connessione con', non basta parlare di reti, di complessità? No, bisogna citare Deleuze e Guattari, e ridicolmente datare al 1987, perché questa è la data dell'edizione inglese del libro: 'Mille plateaux', 1980.

Si crede così di fondare 'A Posthumanist Epistemology of Practice': “il crollo dei confini tra l'umano e il più-che-umano, l'animato e l'inanimato", "il passaggio dall'epistemologia sociale a quella ecologica per spiegare come viviamo in relazione a un mondo più e altro-che-umano”....

Questo mi provoca una grande tristezza. I computer scientist chiusi nei loro laboratori a scrivere algoritmi, ad addestrare macchine. Ricercatori e accademici chiusi nel loro sottomondo di parole scritte in articoli scientifici, lontani anche dai testi chiave cui, senza averli letti, fanno riferimento.

Chiamatela etnografia, chiamatela antropologia, posso dire che vissuta l'esperienza dello stare in un villaggio sperduto, del parlare con le persone che lo abitano, con sempre presente il sottofondo dello scorrere del fiume, con i costanti suoni della foresta, la contiguità con animali, piante... il more-than-human appare come parola vuota, scolastica.

L'esperienza - il rendersi conto della propria ignoranza, immersi in un mondo sconosciuto, che parla di sé attraverso una pluralità di voci - fa apparire ridicoli gli inviti ad ad andare oltre l'antropocentrismo. E rende evidente che non mille, ma milioni o innumerevoli piani sono compresenti.

E quindi ovviamente mi appaiono capziosi i tentativi di usare questa 'post-humanistic epistemology' per farci considerare agenti appartenenti al more-than-human le cosiddette 'intelligenze artificiali'.

E' dunque giusto dire che l'osservare il mondo e l'essere con il mondo non sono pratiche esclusive degli esseri umani.

L'esperienza etnografica insegna a non escludere niente e nessuno. Porta però con sé anche un duplice insegnamento.

  • Lo sguardo di qualsiasi agente umano o non umano sarà sempre povero, incapace di abbracciare il tutto.
  • Il povero modo di 'essere con il mondo' cui dispongo è quello dell'essere umano.

Sperare di allontanarsi dal nostro essere - io e voi che mi leggete siamo essere umani-  è una fuga che non ci porta in nessun luogo. Serve invece lavorare su di sé in cerca di profondità, apertura, consapevolezza.

Sperare di allontanarsi dal nostro essere è una fuga che non ci porta in nessun luogo

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - STULTIFERA NAVIS co-founder

fvaranini@gmail.com www:///stultifera-navis/gli-autori/francesco-1