Non possiamo dimenticare il tweet di Sam Altman, CEO di Open AI, il 4 dicembre 2022, nei giorni del lancio di GPT3: «I am a stochastic parrot, and so r u», Sono un pappagallo stocastico, e anche tu lo sei.
Sarà capitato anche a voi, in quest'ultimo anno di assistere a presentazioni convegni che cantano le meraviglie di GPT. Avrete notato che non manca mai una frase, una slide, che recita: GPT NON E' UN PAPPAGALLO STOCASTICO.
Tutti costoro si accodano ad Altman. Atto di fede, dichiarazione di appartenenza alla comunità degli addetti ai lavori, difesa del territorio e del mercato di fronte a chi aveva detto che il re è nudo: Emily Bender.
"On the Dangers of Stochastic Parrots', l'articolo di Emily Bender (e di ricercatrici di Google che pagarono caro questo gesto) era uscito nel marzo del 2021, e metteva in luce in anticipo diversi aspetti critici di GPT. Ma sopratutto uno: I PAPPAGALLI SONO PERICOLOSI. GPT è un pappagallo, pronuncia parole di cui non conosce minimamente il senso.
Dunque per noi umani credere che questi modelli linguistici siano effettivamente intelligenti significa svalutarsi, per corrispondere a ciò che il modello linguistico può fare.
Come scrivo nel mio libro 'Splendori e miserie delle intelligenze artificiali' in libreria in maggio (Edizioni Guerini) l'arrogante chiamata di Altman a negare per principio le critiche, vantandosi di essere pappagalli, è un atteggiamento tipicamente maschile.
Di fronte alle promesse mirabolanti della cosiddetta 'intelligenza artificiale generativa', le donne sono piú caute e dubbiose. In fin dei conti, loro sanno meglio dei maschi cosa vuol dire veramente 'generare'.