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Uno studio di Novelli, Argota Sánchez-Vaquerizo, Helbing, Rotolo e Floridi (2024) propone un metodo computazionale per verificare l’efficacia della democrazia deliberativa. Il loro lavoro, “Testing Deliberative Democracy Through Digital Twins”, esplora la possibilità di utilizzare gemelli digitali - simulazioni dinamiche alimentate da dati reali - per testare diverse architetture deliberative prima di implementarle nel mondo reale.


Immaginare la democrazia come esperimento controllato ha qualcosa di affascinante e inquietante insieme. Testare forme di deliberazione pubblica non in piazza, ma in simulazione. Non con cittadini reali, ma con loro rappresentazioni algoritmiche. L’idea è semplice nella sua ambizione: costruire modelli popolati da cittadini virtuali, calibrati su dati reali. Simulare assemblee, sorteggi, turni di parola, metodi decisionali. E valutare, in uno spazio controllato e ripetibile, cosa funziona e cosa no. Una galleria del vento istituzionale dove testare il design democratico prima di esporlo alle intemperie della realtà.

Come si fa a ridurre la complessità umana in ambiente computazionale?

C’è in questa visione un’intelligenza pragmatica e una certa onestà intellettuale: usare la tecnologia per migliorare la qualità del confronto pubblico, rendendo meno costosi e più verificabili i processi deliberativi. Un tentativo di policy making fondato sull’evidenza, versione digitale. E poi c’è il “però”. Inevitabile quando si traduce la complessità umana in ambiente computazionale. Perché le assemblee democratiche non sono solo algoritmi di preferenze. Sono sguardi, esitazioni, improvvise alleanze, trappole retoriche, momenti imprevisti. Sono il volto umano del disaccordo. La simulazione, per quanto sofisticata, rimane riduzione. E più il modello è convincente, più si rischia di scambiarlo per la realtà. Di prendere la mappa per il territorio. Un rischio non solo conoscitivo, ma politico.

La democrazia è pratica incarnata, imperfetta, disordinata, insostituibile

Cosa succede se la progettazione delle istituzioni viene guidata, anche solo in parte, dalle indicazioni della simulazione? Chi verifica il modello? Chi ne comprende davvero i presupposti? E soprattutto: dove finisce la decisione politica, e dove inizia la delega all’automazione? Non è una critica all’uso dei gemelli digitali. È un invito a riconoscerne i limiti. A non farne oracoli, ma strumenti. A usarli come parte di un processo che mantenga insieme l’evidenza simulata e il confronto reale. A ricordare che la democrazia è, prima di tutto, pratica incarnata. Imperfetta, disordinata, ma insostituibile.

La sfida vera è costruire modelli che non semplifichino ciò che va invece attraversato, che non addomestichino il conflitto trasformandolo in output numerico. Modelli che riconoscano la dignità dell’atto deliberativo come momento umano, non riducibile a calcolo. Forse, allora, il valore più alto di un gemello digitale non è predittivo. È interrogativo. Non dirci come sarà la democrazia, ma mostrarci cosa stiamo dimenticando quando la pensiamo. Rivelare le ipotesi implicite nei nostri modelli democratici. Aprire domande, non fornire risposte definitive.

Se così fosse, il laboratorio tornerebbe ad essere spazio di riflessione. Un modo per ricordare che nessuna democrazia si simula davvero fino in fondo, ma tutte possono imparare a riconoscersi nei propri errori, anche quelli digitali.

Novelli, C., Argota Sánchez-Vaquerizo, J., Helbing, D., Rotolo, A., & Floridi, L. (2024). Testing Deliberative Democracy Through Digital Twins. SSRN. 


Pubblicato il 13 aprile 2025

Andrea Berneri

Andrea Berneri / Head of Architecture and ICT Governance Fideuram ISPB. I turn complex systems into strategies, bridging law, tech, and organization—with method, irony, and precision

aberneri@fideuram.it