Ti svegli una mattina e ti trovi in un mondo in cui tutti la pensano come te. Tutti hanno le tue stesse idee politiche, le tue convinzioni religiose, i tuoi gusti culinari. Nessuna discussione con chi la pensa diversamente. Benvenuto nell’era della personalizzazione.Nel dicembre 2009 Google ha cominciato ad alterare i risultati delle ricerche a seconda delle abitudini dei suoi utenti. La corsa a raccogliere la maggior quantità possibile di dati personali su cui customizzare la nostra esperienza online è diventata una guerra che i giganti di internet – Google, Facebook, Apple e Microsoft – stanno combattendo senza tregua.
Dietro le quinte, una schiera sempre più folta di società di raccolta dati sta mappando le nostre informazioni personali, dalle preferenze politiche al paio di scarpe che abbiamo adocchiato online, per venderle agli inserzionisti.Il risultato: ognuno vive la propria vita in un mondo fatto a misura di marketing che finisce per diventare costrittivo, ciò che Eli Pariser chiama la «bolla dei filtri». Un’isola di sole notizie gradevoli, attinenti ai nostri interessi e conformi alle nostre convinzioni, che lascia sempre meno spazio a punti di vista diversi e a incontri inaspettati, limita la scoperta di fonti di creatività e innovazione, e restringe il libero scambio delle idee. Un’invisibile e inquietante rivoluzione che distorce il nostro modo di apprendere, conosceree informarci, fino a stravolgere la formazione dell’opinione pubblica e il funzionamento della democrazia.
Fra cyberscettici e cyberottimisti, Il Filtro ci spiega come internet, sotto la pressione delle esigenze di monetizzazione dei colossi web, si sta avvitando su di sé. Sbircia nei segreti di server farm, algoritmi, imprenditori fanatici e analisti della guerra dell’informazione; indaga le conseguenze dello strapotere delle corporation nell’era digitale; infine, indica nuove strade che permettano alla Rete di mantenere le sue promesse libertarie di cambiamento.
L'autore
Eli Pariser è nato nel 1980 a Lincolnville, nel Maine, Stati Uniti. E’ il presidente ed ex-direttore esecutivo di MoveOn.org, un movimento e associazione che con più di cinque milioni di membri è una delle più numerose organizzazioni politiche americane e raggruppa i movimenti e la base della sinistra statunitense. Ha scritto per giornali come The Washington Post e The Wall Street e The New York Times. E’ apparso in programmi televisivi come The Colbert Report, Good Morning America, Fresh Air, e World News Tonight.
Tra i fondatori di Avaaz, un’organizzazione che sostiene campagne per l’ambiente e la democrazia in tutto il mondo. Il suo libro The filter bubble è il primo che ha scritto , ma gli ha meritato fama internazionale, in modo particolare tra i numerosi tecnofobi e cittadini della rete che si oppongono al monopolio dei gradi brand come Google.
Recensione
(Tratta dal libro di Carlo Mazzucchelli: Nei labirinti della tecnologia - Bibliografia ragionata tra nuove e vecchie forme di tecnofilia e tecnofobia!)
Il mondo della rete è sempre più filtrato dall’azione di pochi operatori che, per farci un favore, personalizzano ogni risposta alle ricerche in base alla percezione e al profilo che si sono fatti dei nostri bisogni e necessità. Non importa quanto corretta o sbagliata essa possa essere!
Può capitare di dover partire per un lungo viaggio e avere bisogno di una copertura assicurativa. La semplice visita del sito della Mondial Assistance, affida la ricerca ai filtri della rete e da quel momento, in molte pagine visitate, si verrà inseguiti dal banner di Google Adsense della società assicurativa.
“Dobbiamo renderci conto che i principi di giustizia, libertà e opportunità di questa società dipendono da come è scritto il codice e da quali problemi risolve.”
Scenario leggermente diverso ma uguale è quello che viene costruito dalla logica algoritmica dopo una ricerca applicata a una visita alla libreria di Amazon per l’acquisto di un libro di Lansdale, un autore cult di romanzi e racconti noir. La semplice visita terminata senza acquisto fa sì che a ogni ritorno sul portale si sia tediati con una pagina personalizzata nella quale vengono proposti i noir di altri scrittori come Winslow, Crumley, Leonard ma anche quelli di autori selezionati da profili personali di utenti che vengono ritenuti simili al mio. Se poi il libro è acquistato in formato e-book per il Kindle Fire è probabile che i dati, relativi al modo con cui verrà sfogliato, letto, e annotato il testo siano tutti registrati per costruire un mio profilo virtuale di lettore.
“L’uso dilagante dei filtri dei quali non siamo consapevoli sta cambiando il modo in cui percepiamo internet e in definitiva il mondo. Questa trasformazione è dovuta al fatto che per la prima volta nella storia un mezzo di informazione è in grado di sapere chi siamo, che cosa ci piace e cosa vogliamo.” - Eli Pariser
Tre semplici esempi di quanto stia succedendo online nell’era tecnologica che stiamo vivendo.
La personalizzazione delle ricerche del motore di Google (al tempo delle ChatGPT e dei motori di ricerca basati su algoritmi di intelligenza artificiale, il libro può essere considerato antiquato, non obsoleto )è il tema principale del libro di Eli Parisier scritto per richiamare l’attenzione su un mondo tecnologico nel quale è possibile ritrovarsi con altri in rete ma anche di scoprire, grazie alla personalizzazione praticata da grandi realtà come Google, che questi altri in realtà sono molto simili a noi, hanno le stesse idee politiche e visioni del mondo, le stesse convinzioni religiose e gusti culinari.
Pariser ci racconta che tutto è iniziato nel dicembre 2009 quando Google ha cominciato ad alterare i risultati delle ricerche a seconda delle abitudini dei suoi utenti e lo ha potuto fare grazie alla raccolta della maggior quantità possibile di dati personali su cui "customizzare" la nostra esperienza online. Una raccolta che è diventata il campo di battaglia tra i giganti di internet - Google, Facebook, Apple e Microsoft – che stanno combattendo una guerra senza tregua per l’imposizione dei propri modelli di business e visioni del mondo.
La corsa è a raccogliere dati, informazioni, a spiare comportamenti e abitudini, a seguire contatti, relazioni e reti sociali. Dati e informazioni e comportamenti sono organizzati e mappati dietro le quinte da una schiera sempre più folta di società di raccolta dati con l’obiettivo di individuare i nostri profili personali e le nostre preferenze politiche ma anche quale il paio di scarpe che abbiamo adocchiato online, per poi venderle agli inserzionisti delle grandi marche e catene di distribuzione commerciale.
Il risultato è che ognuno vive la propria vita in un mondo fatto a misura di un marketing che finisce per diventare costrittivo, ciò che Eli Pariser chiama la "bolla dei filtri". Un'isola di sole notizie gradevoli, attinenti ai nostri interessi e conformi alle nostre convinzioni, che lascia sempre meno spazio a punti di vista diversi e a incontri inaspettati, limita la scoperta di fonti di creatività e innovazione, e restringe il libero scambio delle idee. Un'invisibile e inquietante rivoluzione che distorce il nostro modo di apprendere, conoscere e informarci, fino a stravolgere la formazione dell'opinione pubblica e il funzionamento della democrazia.
“ Io ho un orientamento politico liberale, ma ho anche tanti amici conservatori. Un giorno ho notato che nello stream di Facebook erano scomparsi tutti i link e gli update dei conservatori. Tra le notizie di mio interesse, almeno secondo Facebook, c’erano solo quelle postate dagli amici della mia stessa area politica” Eli Pariser
Il mondo digitale, nel quale passiamo molto del nostro tempo e che fino a ieri era un mezzo anonimo nel quale tutti potevano agire indisturbati con le loro personalità multiple, è diventato uno strumento potente nelle mani di pochi, per raccogliere e analizzare dati personali. Google, Facebook, Amazon, Linkedin sono tutte realtà che offrono un servizio che paghiamo in gran parte con le informazioni che forniamo su di noi e che sono poi cedute e trasformate in denaro sul ‘mercato dei comportamenti’ e del marketing. Un mercato sempre più ricco e promettente, poco rispettoso del ‘permission marketing’ e che fa di ogni click in rete una merce da vendere al miglior offerente.
Il web che frequentiamo è sempre più personalizzato e le informazioni che cerchiamo con Google sono filtrate dal profilo che il motore di ricerca ha costruito su di noi. Le informazioni sono estrapolate dopo aver stabilito quali sono le cose che ci piacciono e quali possano essere i nostri comportamenti futuri. Per capire quanto ciò sia vero, è sufficiente fare una ricerca con Google su un tema che ci interessa usando il nostro personal computer o tablet e poi ripeterla usando quello di un amico. La differenza è straordinaria, in numero di link ma soprattutto di contenuti personalizzati.
Il problema è che non possiamo evitarlo, il servizio che ci è offerto in qualche modo ci piace perché disegna intorno a noi un mondo su misura nel quale sembrano trovare soddisfazione tutti i nostri bisogni, gusti, stili di vita. Ma nel momento in cui permettiamo alla tecnologia di agire da intermediario tra noi e il mondo, dobbiamo sapere che essa non è mai neutrale . La tecnologia può distorcere in vari modi la nostra percezione del mondo e le conseguenze che finiamo per pagare sono numerose. Un mondo costruitoci addosso su misura ci impedisce di scoprire e imparare cose nuove, limita e condiziona le nostre scelte e delega a entità esterne la ricerca di possibili alternative.
Per dirla con l’autore del libro The Filter, Eli Pariser: “avevamo pensato che Internet ci avrebbe portati alla civiltà della mente e rischiamo invece di farci una lobotomia globale”; “I motori di ricerca e i social network ci conoscono sempre meglio. Grazie alle tracce che lasciamo in rete, sanno cosa ci piace. E selezionano i risultati, scegliendo solo i più adatti a noi. Ma in questo modo la nostra visione del mondo rischia di essere distorta”.
La responsabilità della personalizzazione spinta attuale va fatta risalire al fondatore di Amazon Jeff Bezos e all’idea che alla base del suo progetto ci dovesse essere della intelligenza artificiale per trovare la corrispondenza tra clienti e libri e di favorire il processo di scoperta. Poi è arrivato Google con il PageRank ma soprattutto con Gmail e Google Apps che sono serviti a mettere a punto gli algoritmi per la personalizzazione. Infine Facebook ha reso sociale la rete in modo da permettere alle persone di condividere i loro interessi e gusti attraverso la loro rete sociale di amici e conoscenti. Tutte e tre le società si contendono oggi un mercato ricchissimo, fatto di informazioni che le grandi marche si contendono per vendere di più e meglio i loro prodotti. Anche l’informazione già oggi è in gran parte prodotta, selezionata e distribuita da macchine più che da persone come ben illustrato da strumenti editoriali automatizzati come Paper.li e Scoop.it.Ci avevano raccontato che Internet era bella perché disintermediava creando opportunità per tutti, oggi scopriamo che tutto ciò è un mito e che nuovi intermediari hanno semplicemente sostituito i vecchi diventando per di più invisibili. Capita così che contenuti di bassa qualità trovino la via per una popolarità diffusa e immeritata e che altri di qualità maggiore siano destinati all’anonimato e a essere snobbati dalle masse. Tra questi ultimi finiranno molte notizie scomode, complicate, approfondite, alternative e impegnate.
Il tutto con la nostra complicità, perché consumare informazioni conformi alla nostra idea del mondo, è piacevole, consumare informazioni che ci stimolano a pensare diversamente è più difficile perché ci obbliga a metterci in discussione. Un orizzonte limitato finisce così con intralciare la nostra volontà di cambiamento e di ricerca di innovazione. Così Internet da strumento potente e democratico si sta trasformando in un grande database delle intenzioni. Un ambiente nel quale diventerà sempre più facile trovare quello che sappiamo già e sempre più difficile avere visione della realtà delle cose e della pluralità delle conoscenze.
In questo modo il Web e il suo massimo rappresentante, Google, perde la sua serendipità (si cerca una cosa e se ne trova un’altra), una delle sue qualità migliori che favorivano evoluzione e innovazione. Oggi Google dispone di decine di indicatori che usa per costruirsi un profilo esatto di chi siamo, cosa facciamo, cosa pensiamo, con chi ci relazioniamo, quali siti o social network visitiamo, cosa scriviamo, cosa compriamo e con chi.
Il lavoro di personalizzazione non si ferma alla nostra attività online ma continua anche offline, dal 2009 è sempre meno basato su un ‘pagerank’ delle ricerche basato sulla maggiore corrispondenza e rilevanza con i termini cercati e sempre più su risultati che ritiene siano più adatti a noi. Altre persone con le stesse parole chiave vedono cose diverse e due ricerche condotte su computer eterogenei offriranno risultati diversi perché differenti sono le informazioni personalizzate disponibili al motore di Google per elaborare la risposta.
Opporsi a questa evoluzione non è obbligatorio ma neppure impossibile. Internet è uno strumento duttile la cui forza reale sta nella sua capacità di modificarsi. Si può ancora cambiare strada e lo si può fare seguendo il consiglio del creatore del web Tim Berners-Lee: “Siamo noi a creare il web. Siamo noi a scegliere quali proprietà vogliamo che abbia o non abbia. Prima però dobbiamo avere una visione e capire qual è il nostro obiettivo”.
Il libro di Eli Parisier merita una lettura attenta perché svela quanto sia manipolatoria la relazione che intratteniamo con la tecnologa dell’informazione. L’uso dilagante di filtri avviene nella nostra totale inconsapevolezza del fatto che la nostra percezione di Internet e del mondo sta cambiando. Una trasformazione dovuta alla capacità dei mezzi tecnologici di informazione di sapere chi siamo, che cosa ci piace e che cosa vogliamo per trarne profitto. Ne deriva una concentrazione di potere nelle mani di pochi attori e la trasformazione degli individui, cittadini della rete, in destinatari statici e passivi di messaggi personalizzati che servono a dare forma a bisogni e desideri oltre che a soddisfarli.
Il pericolo della personalizzazione è la sua invisibilità e il fatto che sfugge al nostro controllo. Non siamo neppure consapevoli del fatto che i nostri profili digitali online stiano prendendo il posto su quelli reali e diventino sempre più manipolabili da entità sconosciute che ci manipolano e controllano.
Internet sembra esserci sfuggito di mano ma è al tempo stesso uno strumento estremamente duttile con numerosi anticorpi e la grande forza di sapersi modificare in continuazione. Un messaggio di ottimismo che arriva verso la fine del libro e che serve a sottolineare come “grazie a una combinazione di comportamenti individuali, senso di responsabilità delle aziende e regolamentazione da parte dei governi, è ancora possibile cambiare strada”.
Eli Priseer sembra sposare la tesi di Tim Berners-Lee citata sopra e pensare che siamo ancora in tempo a costruire sistemi di informazione che ci presentino nuove idee e che ci stimolino in modo nuovo.
Prima però c’è bisogno di una visione ed è necessario capire qual è il nostro obiettivo individuale.
“ La democrazia dipende dalla capacità dei cittadini di confrontarsi con punti di vista diversi. Quando ci offre solo informazioni che riflettono le nostre opinioni, internet limita questo confronto.” - Eli Pariser
Bibliografia
- Il filtro. Quello che internet ci nasconde. - Il Saggiatore
- How the Internet is being filtered specifically for you, una intervista per American Public Media, 2011