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25 aprile. Il saluto romano non è romano. Il fascismo non è un’opinione. L’ignoranza non è una scusa.


Oggi è il 25 aprile. Giornata di liberazione, si dice. Ma da cosa siamo davvero liberi, se in ogni bar, piazza o profilo social aleggia ancora il tanfo dell’ignoranza vestita da patriottismo? Liberi da Hitler e Mussolini, certo. Ma non dai loro fantasmi, che oggi indossano Ray-Ban, fanno podcast sul “declino dell’Occidente” e si fanno chiamare “influencer della tradizione”.

Tra i tanti travestimenti del passato che infestano il presente, il più grottesco è il “saluto romano”. Quella pantomima da teatro di periferia, con il braccio teso e il mento in avanti, è spacciata come eredità dell’antica Roma. Peccato che i romani non l’abbiano mai usata. Tacito non ne parla, Vegezio nemmeno, Tito Livio neppure. Ma volete mettere un selfie con l’avambraccio alzato, il bomber nero e la didascalia “Tradizione, onore, identità”? Altro che cultura classica: questa è Disneyland con l’odio al posto delle orecchie di Topolino.

Il gesto nasce nei dipinti rinascimentali, si consolida nelle pellicole d’epoca, e viene adottato dai fascisti italiani come strumento di propaganda. Una farsa per legittimare l’autoritarismo facendo finta di essere eredi di Cesare, quando in realtà si è solo epigoni di un’oppressione grottesca e provinciale. L’unico vero legame tra fascismo e Roma è che entrambi amavano le colonne. Ma almeno Roma costruiva acquedotti.

Chi oggi glorifica quel gesto non è “contro il pensiero unico”. È contro il pensiero, punto. L’ignoranza si maschera da dissidenza, ma è solo paura dell’intelligenza. Fascismo, oggi, non è più solo un’ideologia: è un marchio per falliti che vogliono sentirsi forti senza esserlo. È una zavorra storica con la camicia stirata dalla nonna e il lessico da telepromozione.

I nuovi fascisti sono educati male e lettori peggio. Si informano su YouTube, citano autori che non hanno mai letto, si dicono “realisti” mentre difendono regimi che ammazzano giornalisti. Ma guai a farglielo notare: si offendono, si sentono discriminati. La loro fragilità è pari solo alla loro arroganza. Sognano “la nazione forte”, ma si offendono se qualcuno li chiama ignoranti. Cari miei: se ti offendi quando ti chiamano ignorante, la soluzione non è arrabbiarti. È studiare.

Il fascismo non ritorna solo con manganello e olio di ricino. Ritorna con l’ignoranza tollerata, con la retorica svuotata, con l’italiano approssimativo che chiama “valori” il rancore. Ritorna ogni volta che un simbolo viene decontestualizzato per alimentare la nostalgia di un’autorità che si vorrebbe cieca, dura, maschia, vendicativa. Come se la violenza fosse una garanzia di ordine, e non la sua negazione.

Il problema non è solo politico. È antropologico. È il fallimento di una scuola che non insegna a pensare, di una televisione che educa al vuoto, di una cultura che ha smesso di interrogarsi e ha cominciato a scrollare. Il fascista di oggi non ha nemmeno più bisogno di leggere Evola: gli basta un reel motivazionale.

Difendere il 25 aprile non è commemorare. È combattere. È dire le cose con nome e cognome. È chiamare ignorante chi glorifica simboli criminali. È ricordare che la libertà non è data, è guadagnata ogni giorno con la fatica del pensiero e il coraggio della parola.

Non ci sarà mai una società giusta finché chi insulta la memoria dei partigiani potrà dire “era solo un’opinione”. Le opinioni sono discutibili. Il fascismo, invece, è un crimine storico. Il saluto romano è un falso. E chi lo usa oggi, sapendolo, è complice. Chi lo usa senza saperlo è un orpello: un soprammobile ideologico buono solo per i tavolini della rabbia repressa.

Nel 2025, chi ancora inneggia al fascismo è come chi, nel mezzo di un incendio, difende l’odore del fumo perché gli ricorda la casa della nonna. Una società seria non celebra i piromani. Li allontana, li disarma, li educa. E se rifiutano di imparare, li deride. Con ferocia, se serve.

Il 25 aprile non è un ricordo. È un test. E l’Italia, ancora oggi, non è del tutto promossa.


Pubblicato il 25 aprile 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto