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Parlare di informazione significa parlare di forma, e ogni forma è già interpretazione. L’architettura dell’informazione nasce da qui: dal bisogno di rendere il sapere accessibile, riconoscibile, abitabile. Non è solo organizzazione di contenuti, ma costruzione di contesti cognitivi. L’architetto dell’informazione non disegna pagine: tesse percorsi, abilita comprensioni, media significati. In un’epoca di dati opachi e rituali aziendali, il suo compito è anche critico: restituire al linguaggio progettuale la capacità di orientare. L’informazione non è mai neutra, e ogni struttura è una scelta.

"Parlare di informazione significa parlare di forma, e ogni forma è già interpretazione."

Parlare di architettura dell'informazione implica necessariamente evocare il ruolo e l'identità del suo professionista: l'architetto dell'informazione. Ignorare questa figura sarebbe come analizzare una sinfonia senza considerare il lavoro del compositore. Rendere le informazioni "attraenti e accessibili" significa interrogarsi su cosa intendiamo con tali aggettivi in un contesto di knowledge management e sviluppo cognitivo.

"Accessibilità non è solo tecnica: è una questione di riconoscibilità, di senso, di tempo."

Il termine "accessibile" non va letto unicamente in senso tecnico-normativo, bensì in chiave esperienziale e cognitiva. Accessibilità, in questo caso, implica usabilità situata, adattabilità contestuale, riconoscimento semantico. Non esistono solo persone diverse, ma momenti diversi per le stesse persone. L'architettura dell'informazione si muove allora tra molteplici istanze di significato, tempi d'uso e soggettività percettive. In questa visione, si integra la prospettiva di un'ecologia dell'informazione proposta da Luciano Floridi, per il quale la costruzione della "infosfera" è un processo etico e cognitivo, non solo tecnologico.

"Ogni struttura informativa è una scelta interpretativa, un atto di mediazione tra l'intenzione e la comprensione."

Più che semplice facilitatore di accesso, l'information architect è un tessitore di contesti: individua le connessioni latenti, struttura la conoscenza in modo che possa essere abitata. Ogni struttura informativa è una scelta interpretativa, un atto di mediazione tra l'intenzione e la comprensione. L'information architect, infatti, definisce ontologie, organizza gerarchie concettuali, disegna mappe di navigazione, stabilisce vocabolari controllati e criteri di classificazione. Il suo compito è epistemico prima ancora che ergonomico. Qui si innesta la riflessione sulla "sense-making methodology", dove l'architetto opera come agente che abilita la costruzione di senso nei diversi contesti d'uso.

"Ogni strumento è un gesto di pensiero, ogni tecnica è un modo per dare forma alla conoscenza."

Dal card sorting alla task analysis, dalla tassonomia ai wireframe, ogni strumento utilizzato è una forma di esplicitazione della conoscenza e di prefigurazione dell'esperienza. L'informazione, così trattata, non è più solo un contenuto, ma una configurazione relazionale tra concetti, usi, tempi e dispositivi. L'information architecture si fa quindi pratica transdisciplinare, dove psicologia cognitiva, semiotica, interaction design e filosofia della mente si incontrano. Secondo Thomas D. Wilson, comprendere il comportamento informativo umano è essenziale per progettare sistemi che rispecchino i reali modelli mentali degli utenti.

"Tra corteccia e ipercorteccia digitale, l'architetto dell'informazione costruisce spazi per il senso."

Riprendendo le suggestioni di una epistemologia cognitiva avanzata, possiamo leggere l'information architect come un mediatore tra la corteccia e l'ipercorteccia digitale: tra la memoria personale e la memoria condivisa computabile. La sua funzione non si limita alla strutturazione del sito o del database, ma contribuisce a costruire un ambiente di senso, una semiosfera abitabile, dove il sapere può essere cercato, trovato e trasformato. Anche la progettazione pratica, come sistematizzata nell'information architecture contemporanea, si fonda sulla capacità di rendere visibile ciò che è utile, rilevante, contestuale.

"L'informazione attraversa corpi e contesti: il suo architetto è prima di tutto un etnografo del digitale."

L'information architect è, in definitiva, un interprete situato, un facilitatore di percorsi cognitivi, un progettista della navigabilità semantica. La sua responsabilità è etica prima che tecnica: garantire che l'informazione, lungi dall'essere opaca o precostituita, sia attraversabile da soggetti diversi in contesti diversi. In questo senso, l'architettura dell'informazione non è solo una professione, ma una postura cognitiva, intesa anche come forma di responsabilità sulle scelte che determinano l’accesso e l’organizzazione del sapere.

"Ogni organizzazione è anche una forma di vita: le sue liturgie rivelano il suo volto più profondo."

A questo punto, è impossibile non interrogarsi su come le pratiche di gestione dell'informazione vengano inglobate dalle strutture organizzative contemporanee, spesso sotto forma di rituali metodologici. Tra questi, l’Agile si è imposto come liturgia aziendale post-moderna. Presentato come antidoto alla burocrazia, esso si è convertito, nel tempo, in nuova grammatica dell’obbedienza: standup quotidiani come ore canoniche, retrospettive come esami di coscienza, planning come atti penitenziali. Il sapere non scorre, viene reiterato; il valore non si crea, si celebra.

La metafora del monachesimo aziendale svela una soggettività lavorativa modellata non più sull’efficienza, ma sull’adesione liturgica a un framework. La collaborazione si fa sorveglianza reciproca, la motivazione performance di appartenenza, la comunicazione una forma di esibizione disciplinata. È una forma di “potere diffuso”, per usare un lessico foucaultiano, che plasma la soggettività attraverso il linguaggio, la calendarizzazione, l’introspezione forzata. È in questo contesto che l’architettura dell’informazione assume anche una funzione critica: quella di disinnescare l’opacità nascosta nella trasparenza apparente, quella di restituire al linguaggio progettuale la sua funzione primaria — orientare, e non dettare.

In questa direzione, l’idea di Intelligent Business Agility suggerisce che l’agilità non può più essere ridotta a schema rituale, ma deve diventare un’infrastruttura cognitiva, capace di connettere la capacità adattiva dei team con l’analisi predittiva dei dati. L’informazione non è solo materia prima, ma ambiente di azione; non solo contenuto, ma contesto abilitante. Integrare l’intelligenza artificiale nella gestione dell’informazione significa quindi progettare spazi di collaborazione in cui umani e agenti intelligenti co-evolvono, trasformando le organizzazioni in sistemi reattivi, riflessivi e anticipatori.

Questa visione si avvicina profondamente al concetto di intelligenza collettiva, come delineato da Pierre Lévy. Se la collective intelligence è la capacità di una comunità di produrre senso, innovazione e decisione attraverso la condivisione delle conoscenze, l'Intelligent Business Agility ne rappresenta una declinazione operativa e dinamica. L’una fornisce l’orizzonte epistemico, l’altra ne concretizza la realizzazione nei processi aziendali: insieme, tracciano un paradigma in cui l’intelligenza distribuita delle persone si integra con la potenza analitica dell’intelligenza artificiale per generare ambienti di lavoro adattivi, interconnessi e sensibili al cambiamento.

Il compito dell’architetto, in definitiva, è anche quello di discernere: individuare ciò che serve da ciò che semplicemente rassicura, distinguere il processo dal rituale, la coerenza dal conformismo. Rifiutare la tautologia organizzativa in favore di una progettualità situata. In questo senso, tornare all’Agile originario significa restituirgli la sua forza critica: non vangelo da recitare, ma via da percorrere.


Fonti principali:

  • Felice Pescatore, Intelligent Business Agility, 14 maggio 2025. ISBN: 979-1224003991.

  • Pierre Lévy, The Semantic Sphere 1: Computation, Cognition and Information Economy, ISTE/Wiley, 2011. ISBN: 978-1-84821-251-0.

  • Luciano Floridi, The Philosophy of Information, Oxford University Press, 2011. ISBN: 978-0-19-923238-3.

  • Thomas D. Wilson, "Models in information behaviour research", Journal of Documentation, 1999.

  • Brenda Dervin, "Sense-making theory and practice", 1998.

  • Louis Rosenfeld, Peter Morville, Jorge Arango, Information Architecture: For the Web and Beyond, O'Reilly Media, 2015.

Pubblicato il 29 maggio 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto