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Una mia intervista con Marco Vannini, il più importante studioso italiano di mistica speculativa


Grande studioso di Meister Eckhart (ha tradotto nell’arco di un trentennio l’intera sua opera), Marco Vannini è il più importante studioso italiano di mistica speculativa. Per la bibliografia del filosofo.

La mistica – sostiene Vannini - non è altro che filosofia e, in quanto tale, implica una libertà di pensiero che non riconosce nessuna autorità sopra di sé. Per questo può confliggere con le religioni perché tutte possiedono un apparato dogmatico, ma è in realtà la lingua universale delle diverse religioni.

La mistica è un itinerario privilegiato per la conoscenza di sé stessi ed è accessibile a tutti. È la scoperta dell’essenza di noi stessi, libera dall’ego. L’etimologia della parola ‘mistica’ rimanda alla chiusura, al silenzio interiore. Un silenzio che è distacco. Riprendendo l’immagine del filosofo Plotino, Vannini afferma che ognuno di noi dovrebbe scolpire la propria statua cioè togliere tutto ciò che è inessenziale (e quasi tutto è inessenziale) per giungere alla profondità della propria anima: lo spirito. La filosofia come esercizio del distacco che conduce all’unità con l’infinito.

Il distacco non significa rinuncia alla vita attiva, come dimostrano le vite dei grandi mistici. Significa essere distaccati nell’azione, senza avere pretese di merito.

Noi viviamo, invece, in un tempo in cui tutto è psichico ed è scomparsa la spiritualità. Un tempo caratterizzato, non a caso, da un diffuso malessere interiore e da un disorientamento che porta alla ricerca continua di una bussola per muoversi nel mondo.


 

Vannini, nel suo libro “Storia della mistica occidentale” (Oscar Mondadori 2010), lei sostiene che la mistica è la vera continuatrice della filosofia classica e che la sua sorgente non è la Bibbia ma l’Iliade. Può chiarirci perché? 

Il libro cui Lei fa riferimento porta come sottotitolo “Dall’Iliade a Simone Weil” ed è alla filosofa francese che si deve soprattutto ricorrere per rispondere alla Sua domanda.

La mistica è l’unica continuatrice della filosofia classica perché – come spiega magistralmente Pierre Hadot – essa era essenzialmente un genere di vita, la vita nel distacco e, siccome anche la mistica lo è, in questo senso mistica e filosofia sono la stessa cosa.

L’ Iliade, così come Simone Weil la interpreta nel suo splendido saggio « L’Iliade, poema della forza», è il poema in cui si impara a conoscere la forza, la pesanteur, che governa tutte le azioni umane, e, insieme, a non rispettarla, a non amarla, aprendo invece lo spazio alla grazia.

 

La lezione magistrale che lei ha tenuto al festival della filosofia di Modena (2024) dedicato alla “psiche” ha avuto come tema il “distacco”. Praticare il distacco è un’operazione talmente lontana dal modo di essere dell’uomo del nostro tempo da apparire priva di significato, incomprensibile. È anche vero però che lo stesso uomo spesso vive con sofferenza il suo essere nel mondo. Forse la psicologia, senza una dimensione spirituale, non riesce a dare risposte alla richiesta di senso. È questa la sua posizione?

Sicuramente la nostra psicologia occidentale, almeno nelle sue forme prevalenti, è una psicologia senza spirito, quindi una conoscenza mutila dell’anima umana. Anzi, in quanto pretenda di essere conoscenza piena, e quindi poi anche possibilità terapeutica, rappresenta al contrario una patologia.

Questa definizione la riprendo da Ananda K. Coomaraswamy, grande esperto del mondo tanto occidentale quanto orientale, che sottolinea la necessità di una pneumatologia, una scienza dello spirito, senza la quale non v’è piena conoscenza dell’anima, e, ovviamente, neppure la possibilità di porre rimedio alla grande sofferenza esistenziale del nostro tempo.

 

Il processo della conoscenza (non dell’informazione) comincia con il dubbio. Ma il dominio della tecnologia e la fascinazione che produce l’AI generativa può produrre in molti una rinuncia a pensare, a porre domande, a manifestare dubbi. Vede anche lei questo rischio?

Certamente. Su questo punto credo che la “via del distacco” sia quanto mai necessaria, non solo in senso morale-spirituale, ma anche in quello pratico, con un saggia astensione, seppur non totale, dal mondo fascinoso ma pure ingannevole, dell’intelligenza artificiale e di tutti gli strumenti simili e correlati.

 

Sulla rivista da lei diretta “Mistica e filosofia” c’è un saggio di Federico Faggin su “La differenza fondamentale tra intelligenza umana e intelligenza artificiale” (III,1,2021). Secondo Faggin, l’AI può imitare la nostra capacità di argomentare e produrre, ma non riuscirà mai a sentire e comprendere ciò che produce, perché non ha l’esperienza soggettiva della coscienza, che è un elemento irriducibile dell’essere umano. Gli umani però corrono il rischio di vedere la macchina come un oracolo e di svalutare sé stessi, non tanto per opera della macchina, ma quanto per chi la crea e la controlla per scopi di potere. La svalutazione di sé può poi portare conseguenze molto serie come la perdita dell’autonomia di giudizio, la deresponsabilizzazione e l’affidarsi all’altro. Lei che cosa ne pensa? 

Sono d’accordo con l’amico Federico Faggin, che – ricordo di passaggio per chi non lo sapesse – è figlio di Giuseppe Faggin, primo studioso italiano di Eckhart, cui sono debitore per la prima conoscenza del Meister.

 

Siamo in una fase storica cruciale sia dal punto di vista dello sviluppo della tecnologia, sia dal punto di vista della crisi della democrazia. Due aspetti collegati tra loro? I potenti sono violenti, non tollerano limiti e hanno la possibilità, attraverso la tecnologia, di influenzare e condizionare una popolazione sempre più impotente e sempre più ignorante. Ma non possiamo arrenderci a tutto questo, dobbiamo cercare di comprendere la realtà per rispondere responsabilmente, attraverso la cooperazione e non la competizione, ai problemi che emergono. Stultiferanavis è un tentativo in questa direzione. Qual è la sua posizione?

Penso che ciascuno debba fare quello che può, ciascuno nel proprio ambito, piccolo o grande che sia. Come nella celebre novella di Andersen sui vestiti dell’imperatore, occorre dire la verità, ossia che l’imperatore è nudo: anche se la dice un bambino, la verità finisce sempre per venire a galla, nonostante l’ipocrisia dei potenti.

 

Utilizziamo le stesse parole per esaminare il funzionamento del cervello umano e della macchina (intelligenza, capacità di agire, efficienza… ). Ci stiamo abituando lentamente a pensarli simili, perdendo la differenza tra esistere e funzionare. Qual è la sua opinione in merito?

Nell’opinione comune è sicuramente, o molto probabilmente, così. Non so questo processo quanto andrà avanti, o se e quando finirà. Credo comunque che prima o poi ci si renderà conto dell’errore che stiamo commettendo.

 

L’antropocentrismo, il considerarsi, come esseri umani, superiori a ogni altro aspetto della natura e quindi in diritto di dominarla, è figlio del Cristianesimo. Solo la Laudato si‘ di papa Francesco ha messo in discussione questo aspetto. Invece il mondo greco, come ci ricorda S. Weil, aveva ben chiaro che “la libertà senza misura non può essere. I Greci avevano scolpito nella pietra del pensiero un monito che attraversa i secoli: “nulla di troppo”. È la massima incisa sul tempio di Apollo a Delfi, accanto al celebre “conosci te stesso”. Viviamo oggi nell’ebrezza dell’illimitato: senza limiti di consumo, di velocità, di accumulo. Ma il limite non è negazione: è il volto stesso della libertà. Come i Greci, possiamo imparare che la libertà non cresce nel deserto del senza confini, ma nel giardino fragile della misura.” Lei ritiene possibile un ritorno alla misura?

Il ritorno alla misura ci verrà non per nostra scelta libera, ma ci sarà imposto dalle cose, quando la prepotenza, la ybris, la dismisura, avrà raggiunto il suo culmine e finirà per distruggere se stessa.

Questo probabilmente richiederà un grande prezzo da pagare, ad  esempio nei termini di una fine di quel benessere, quell’opulenza, cui siamo tutto sommato abituati, e fors’anche di un ritorno alla povertà dei nostri padri o dei nostri nonni. Comunque anche la dismisura deve soggiacere alla misura: è proprio la lezione che ci arriva dall’ Iliade, come dicevamo all’inizio, nella splendida lettura che ne dà Simone Weil.


Stultiferanavis è un  progetto di riflessione critica sulla tecnologia coordinato da Carlo Mazzucchelli e Francesco Varanini.    È un progetto che non ha alcuna finalità di guadagno, che nasce aperto, plurale, transdisciplinare, collaborativo e comunitario. 

 

 

 

Pubblicato il 15 novembre 2025

Anna Colaiacovo

Anna Colaiacovo / Consulente filosofico presso Phronesis

http://filopratica.com