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Essere 'autori' significa assumersi responsabilità. C'è differenza tra l'essere umano che cura e la macchina che simula la cura.

Italo Svevo cura la propria malattia scrivendo un romanzo. Il costruttore di macchine addestra una intelligenza artificiale a curare gli umani, anche a curare il costruttore stesso della macchina.

Questo pensiero mi è venuto in mente ieri, mentre partecipavo al seminario 'Orientarsi nell’era dell’intelligenza artificiale: prospettive, timori, possibilità', organizzato dal Centro Ricerche Psicoanalitiche di Gruppo (CRPG), appartenente all’Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo. 

Per me una boccata d'aria.

Qualcosa di vitale, differente dal colloquio che cerco di tenere aperto con computer science, tecnologi, filosofi, persone che stimo, spesso anche amici personali. Limita il colloquio con loro l'ansia, che mi sembra traspaia dalle loro parole, di tenere in campo in ogni pensiero la macchina; l'incapacità o l'impossibilità di parlare di sé, e dell'altro -umano- prima della macchina, in assenza della macchina.

Grazie quindi a Marco Taddeo, Chiara Rossi, Laura Pigozzi, Paolo Magatti, Tommaso Mangiò, Luciano Moro e agli altri partecipanti.

Due modi di essere autore. Due diverse 'scritture'.

Il romanziere scrive per sé. Smette di scrivere quando non ha più bisogno di scrivere. O quando muore.

E lascia così ai lettori, senza prevaricare, un monito: prendetevi cura di voi stessi.

Il costruttore di macchine digitali scrive codice e algoritmi tesi a trasferire a macchine le proprie responsabilità.

Le macchine così costruite impongono ai cittadini-utenti una cura predefinita. (Forse è meglio dire: la simulazione di una cura).

Pubblicato il 16 novembre 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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