Un bosco sottoposto
a pressioni sintomatiche
eleganti fissativi interrano
margherite di plastica.
Sugli alberi al neon sta un falco
che emana luce intermittente.
Nel lago artificiale
l’acqua di colonia
stordisce pesci sottovuoto.
Sulla riva sta un pescatore in cravatta
chiedo -ma cosa speri di prendere?
la risposta arriva come un pugno in pieno viso
-nulla, so che qui non c’è vita
mi piace solo l’attesa.
Così inseguo l’insolita
transazione emotiva
verifico l’assenza della spontaneità
e salto dal fiore della follia
tornando seme.
Invocare o evocare
(manca il punto interrogativo ma è una domanda).
Esita l’immaginazione
s’ammala, soffre
per alleviare i patemi del mondo.
L’iconografia porta fistole nell’anima
e sforna pappagalli carnivori.
Alle sue spalle
arrivano due nobili presenze
coerenza e dignità,
orologi in stallo
sui pensieri del tempo.
Plasticherie ereditate ai margini delle strade demaniali
ordigni anagrafici attentano alla giovinezza.
Luccica la scemenza di sindaci alluvionati
il tempo restituisce i soprusi
facendo piovere
polmoni smussati dall’asma delle scorie
si gioca a rimpiattino tra un frigorifero e l’altro,
la festa patronale si svolge in discarica
dove gabbiani terricoli in crisi d’identità
raspano vermi nella melma
perché hanno perso le zampe palmate
e dove cani randagi mangiano ossicodone scaduto.
La rabbia di Madre Natura sta crescendo
e altri ancora verranno “liberati”.
Il salice lacrima gesso
imbiancando la piena dei fiumi
la neve di questo millennio è già calce.
Sono un minatore.
Scavando scolpisco il buio
la stanchezza fiacca le ossa.
Tracce di desiderio
ingoiate dalla grotta
questo cerco.
Ere incarnate
sedimenti di vita giacciono
scorporati, distaccati.
Ora non ritrovo la parete della risalita
in tale abissale miniera
vivrò da immortale
gli ultimi anni di vita.
L’infinito esiste
racchiuso tra due limiti.
Stanco di cercare ancora
mi siedo sulla migliore melodia
attendo e osservo.
L’amore decolla dopo l’ultimo scalo
colonizza ambienti diabetici
dove la dolcezza manca da sempre
e l’invidia condisce l’anima.
La perfezione si ottiene
esplorando la pausa
serve la morte
per mantenere fresca la bellezza.
Non conosco chi muore
non conosco chi vive
l’altra volta ho scoperto il silenzio
è stata la prima che ho abbracciato me stesso,
da queste latitudini serie
la rinuncia si veste di volontà.
Incarnando luce chi è senza peccato
ne trovi uno per continuare a sognare.
Ho chiesto asilo mentale al luogo
privo di ombre dove la luce splende
diversa e il suono non ha vocali.
Sfoglio il tempo, apprezzo
le emozioni liberate trascurando
l’orologio di panna
che dal muro monta le ore.
Le immagini inconsapevoli
mantengono il cuore vergine,
dall’umiltà carnivora
allegre cadenze cadono precise
e nuovi affreschi si rincorrono
sulla volta cristiana.
Il buio collassa sul letto orfano
affetti collaterali solleticano il gusto del vero
respiro immobilità trovando ristoro
nel continuo tumulto delle correnti vive.
Intravedo un ricordo tra le lacrime
e non voglio dirgli addio.
Sulla strada secondaria
un lumivendolo rispetta l’orario
solo i poveri sono puntuali.
Altrove le risate escono
da stampi d’ossa.
Il rantolo della promessa
passa di stella in stella
mentre le anime cadono oblique
-mancando i corpi-
nel pozzo maestoso dell’esperienza.
Il volo è superiore
alla sopportazione dell’ala.
Le piume pregano
la mancata apparizione
che ha scelto d’esistere
in altezze criminose,
irraggiungibili dai normodotati.
Sul passo urbano giunge
la sanzione d’obblighi legali
con la stima in catene
nella stanza d’orgoglio.
La mutazione comunica
intuizioni all’ambiente disabile
ma il divino androide
ha ucciso l’uomo scimmia
e sul mare elettronico
lunghe onde radio
friggono i nervi
della rivoltosa nascenza.
All’ufficio delle concessioni
sono pronte le patenti dei poeti
s’ammassano uomini corti e donne lunghe
(quanti siamo a nutrire necessità psicologiche)
l’orecchio nel suono drammatico
il verbo nuovo non vuole brevetti.
Filoesotisti, palati fini e letterati
curano il potere estetico della parola
ammalando il vigore acustico del significato,
dalle retrovie un cuore anonimo
bussa alla porta mentale
inventa uno spartito d’autore
e la morte diventa gioiosa esistenza.
Che strano ho l’utero.
Un arcidiavolo mi ha spiegato
che darò alla luce una figlia.
Ha aperto una finestra
(d’improvviso)
crepando le mura di casa.
Da quel futuro
risplendeva una scritta
sospesa nel gel di fede
beato vergine Marìo
padre della puttana
che ha salvato l’umanità.
Mi trovo su Zeta Reticoli
immerso in una atmosfera al nylon.
Vedo un marziano
con una corona in testa.
Chiedo -chi è quel tipo?
mi rispondono
-dice di chiamarsi Cristo.
Aggiungo con sorpresa
-scusate, ma in che anno siamo?
Un’altra risposta disarmante
-è il 4020 e quella cosa
che stiamo costruendo
si chiama croce
e lì lo appenderemo.