A Vienna, nel 1919, nei giorni dell’inizio della fine di un'epoca -la prima Guerra Mondiale è appena terminata, il millenario Impero si è sbriciolato- Sigmund Freud, riprendendo in mano un più vasto saggio che aveva da anni nel cassetto, scrive a proposito dell’Unheimlich.1
Riflette attorno a “quella sorta di spaventoso che risale a ciò che ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”.
Poco ci importa che i traduttori italiani abbiano ormai canonizzato una traduzione: perturbante. Questa espressione rende ben poco del tedesco. Unheimlich, nota Freud, è evidentemente l’antitesi di Heimlich, da heim, ‘casa’, e di Heimisch, ‘patrio’, ‘nativo’, e quindi: ‘familiare’, ‘domestico’, ‘abituale’. E’ ovvio dedurre che “se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è noto e familiare”. Ecco quindi l’inquietante, sinistro, lugubre, sospetto, spaventoso, tenebroso, straniero, estraneo, fonte di disagio, di cattivo augurio. Uncanny, unconfortable, gloomy, ghastly. L’inquiétante étrangeté. Lo ominoso.
I fratelli Grimm, nel loro Dizionario, aggiungono qualcosa che fa riflettere Freud.2 Alla voce Heimlich ci parlano del ‘familiare’, ma aggiungono uno specifico riferimento a “Heimlich in quanto alla conoscenza”. In questo senso, ci dicono i Grimm, Heimlich traduce il latino mysticus, divinus, occultus, figuratus. Sicché “Heimlich assume il significato proprio di Unheimlich, come mostra una frase del drammaturgo Friedrich Maximilian Klinger: ‘a volte mi sento un uomo che vaga nella notte e crede negli spettri; per lui ogni angolo è sinistro (Heimlich) e dà i brividi’”.
Seguendo questa indicazione, siamo portati a ricordare che anche a casa nostra, anche nella nostra città, nella nostra patria, nel mondo caldo e familiare dove dovremmo essere protetti da ogni pericolo esterno viviamo nel sospetto e nel timore. Heimlich e Unheimlich sono indissolubilmente legati.
Ma più che sulla filologia dei fratelli Grimm, Freud fonda la sua riflessione su una frase di Schelling. “Unheimlich", dice Schelling, "è tutto ciò che avrebbe dovuto restare segreto, nascosto, ed invece è affiorato”.3
Anche a casa nostra, anche nella nostra città, nella nostra patria, nel mondo caldo e familiare dove dovremmo essere protetti da ogni pericolo esterno viviamo nel sospetto e nel timore.
Freud segue Schelling e i fratelli Grimm: vuole parlarci dell’inconscio, ma è interessante notare che nel farlo ci sta parlando di conoscenza.
L’ Heimlich-Unheimlich: una conoscenza che ci è familiare, che ci rassicura e ci offre conferme. E che e al contempo ci è estranea, provoca spavento, contiene qualcosa di inquietante e sinistro che preferiremmo tenere lontano da noi.
Tecnici, ed 'esperti', filosofi, cantori delle magnifiche novità digitali, sostengono: i poveri e ignoranti esseri umani hanno paura del nuovo, dell'innovazione, del progresso
Ma no! C'è di certo, dolorosamente presente, la paura
Ma è la paura di ogni essere umano di fronte tutto ciò che noi stessi ci risulta oscuro, ambiguo, difficile da accettare. La paura che affiori ciò che vorremmo restasse segreto
Le macchine che vanno sotto il nome di intelligenze artificiali sono il progetto che nasce dalla paura di guardare dentro sé stessi
Imperfezione umana
Mentre Freud ci invita ad accettare le nostre tenebre, ed il nostro stesso essere stranieri a noi stessi, scienziati e filosofi tentano di definire linguaggi capaci di rendere esplicita ogni oscurità, linguaggi capaci di descrivere ogni cosa.
Progetto che vede i suoi esiti nella computazione: tentativo di sostituire all’informe conoscenza una informazione ben controllata e codificata; assoggettata a un canone e ad una autorità, cosicché si possa essere esentati dal dover guardare in terreni ignoti, dal dover prendere in considerazione ciò che appare pericoloso e scandaloso.
Dove l’uomo rischia di soccombere alla sua inesausta ricerca di scoprire ciò che è segreto -l’ambizione di Faust così come ci è narrata da Goethe- nasce il bisogno di disporre di macchine. Se l’uomo non può sopportare il brivido della paura che coglie chi cerca l’ignoto, il segreto, il troppo difficile, potranno forse andare oltre macchine.
Macchine che superino l’imperfezione umana. Non a caso Freud ci parla in Das Unheimliche di “figure di cera”, “bambole ingegnose”, “automi”. E del dubbio che “un essere apparentemente animato sia vivo davvero”, e che viceversa “un oggetto privo di vita non sia per caso animato”.4
La paura
Tecnici, ed 'esperti' vari, filosofi, cantori tutti delle magnifiche novità digitali, sostengono: i poveri e ignoranti esseri umani hanno paura del nuovo, dell'innovazione, del progresso.
Ma no! C'è di certo, dolorosamente presente, la paura.
Ma è la paura di ogni essere umano di fronte tutto ciò che noi stessi ci risulta oscuro, ambiguo, difficile da accettare. La paura che ciò affiori ciò che vorremmo restasse segreto, nascosto.
Le macchine che vanno sotto il nome intelligenza artificiale sono il progetto che nasce dalla paura di coloro che considerano troppo difficile, pesante, faticoso guardare dentro sé stessi.
Questa paura spingere a costruire macchine che si spera sondino l'oscuro al posto nostro. Macchine che ci sostituiscano nell'inquietudine. Macchine quietanti.
Ciò che Freud ci dice
Ciò che Freud ci dice è che ci sono in noi cose oscure a noi stessi che non vorremmo vedere:
impulsi infantili, pensieri primitivi. Temiamo il momento in cui tutto ciò, che avrebbe dovuto restare segreto, nascosto, invece affiora.
C'è qualcosa in noi di inquietante. Qualcosa che non ci piace. Ma possiamo imparare a convivere con tutto questo solo accettandone l'esistenza.
La cura di noi stessi può iniziare solo accettando tutto questo. Ci conviene depotenziare il terrore e trasformarlo in consapevolezza.
Invece, ecco la via di fuga: la macchina. Invece di accettare le nostre tenebre, e di iniziare il cammino per illuminarle, affidiamo il compito di illuminare l'oscurità ad una macchina.
Ci affidiamo a macchine che sono scatole nere, scatole che possono ben contenere tutto ciò che consideriamo inquietante, sinistro, lugubre, sospetto, spaventoso, tenebroso, straniero, estraneo, fonte di disagio, di cattivo augurio. Ci illudiamo così di aver allontanato da noi tutto questo.
E vogliamo comunque considerare queste macchine capaci di avvicinarsi a una qualche verità.
Anche questa è una illusione.
La macchina simula poveramente il percorso faticoso del prenderci cura di noi stessi, come individui, come società. Percorso che ci pare troppo faticoso intraprendere.
Più ci affidiamo a queste macchine, più ci allontaniamo dall'accettare e dal conoscere noi stessi. Senza conoscere noi stessi, non potremo mai dire di conoscere il mondo.
1Sigmund Freud, “Das Unheimliche”, Imago, Band V, Wien, 1919; trad. it. Leonardo e altri scritti, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, I, Boringhieri, Torino, 1969, pp. 267-307.
2Jakob e Wilhelm Grimm, Deutsches Wortërbuch, Hirzel, Leipzig, 1877.
3"Unheimlich nennt man alles, was im Geheimnis, im Verborgenen... bleiben sollte und hervorgetreten ist." Friedrich Schelling, Philosophie der Mythologie (Libro II, 28ª Lezione), sta in Sämmtliche Werke, a cura di K.F.A. Schelling (1856–1861), Volume II/2, p. 649, J.G. Cotta, Stuttgart und Augsburg.
4Erns Jentsch, "Zur Psycologie des Unheimlichen", in Psychiatrisch-Neurologische Wochenschrift, VIII, 22, pp. 195-198 e n. 23, pp. 203-205, cit. in Sigmund Freud, “Das Unheimliche”, Imago, Band V, Wien, 1919.