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Come la programmazione visuale cambia il modo di pensare i dati


Viviamo in un tempo in cui i dati sono diventati la principale forma di conoscenza. Ogni decisione pubblica o privata, ogni strategia, ogni previsione nasce da un numero. Ma il numero non è mai neutro: è sempre il risultato di una scelta. Qualcuno decide cosa osservare, come misurarlo, quale metodo adottare. Il dato non fotografa la realtà: la costruisce.

La programmazione visuale offre un modo nuovo di affrontare questa complessità. Al posto delle righe di codice, utilizza un linguaggio fatto di nodi e collegamenti. Ogni blocco rappresenta un’azione, ogni connessione mostra come un’informazione passa da un’operazione all’altra. Il risultato è un processo leggibile, in cui la logica è visibile e quindi discutibile, controllabile, migliorabile.

Questo modo di lavorare ha trasformato il mestiere del data scientist. L’analisi dei dati non è più solo un’attività riservata a chi conosce linguaggi di programmazione complessi. Oggi anche chi proviene da altre discipline può comprendere e contribuire ai progetti, perché i flussi visuali mostrano come un dato viene elaborato, passo dopo passo.

Le piattaforme dette “a basso contenuto di codice” permettono di costruire modelli e analisi trascinando elementi su uno spazio di lavoro. È come disegnare un pensiero: ogni collegamento rende chiara la relazione tra le parti. Questo favorisce la collaborazione tra analisti, tecnici e decisori, che possono discutere sul processo, non solo sul risultato.

Il valore più grande di questo approccio è la trasparenza. Quando il processo è visibile, diventa anche verificabile. Tutti possono vedere quali dati sono stati usati, quali trasformazioni hanno subito e quali criteri hanno guidato le scelte. La chiarezza non è un ornamento estetico: è una condizione di fiducia.

I flussi visuali rendono inoltre possibile una conoscenza condivisa. Chi entra in un progetto può comprendere subito la logica di lavoro; chi lo eredita può seguirne il percorso; chi lo coordina può valutarne la coerenza. Ogni passaggio resta documentato. La conoscenza non è più rinchiusa nelle righe di codice di una singola persona, ma diventa patrimonio collettivo.

La verificabilità è la vera misura della qualità. Un buon modello non è solo quello che funziona, ma quello che si può spiegare. Sapere come e perché un risultato è stato ottenuto è parte integrante del suo valore. Questo principio, che proviene dal metodo scientifico, torna oggi al centro del lavoro con i dati: dalla possibilità di ripercorrere ogni passaggio.

Il data scientist è una figura che unisce rigore tecnico e curiosità intellettuale. Lavora per individuare schemi nascosti, ridurre l’incertezza e restituire significato ai numeri. È un mestiere paziente, fatto di prove, confronti e correzioni continue. Come un artigiano digitale, lavora la materia dei dati fino a darle forma e senso.

I flussi visuali sono la sua officina. Permettono di vedere dove il processo si interrompe, dove si può migliorare, dove nasce un errore. Rendono la conoscenza tracciabile. In un’epoca in cui le organizzazioni accumulano modelli che nessuno sa più interpretare, la rappresentazione visiva diventa un atto di chiarezza e di responsabilità.

La programmazione visuale è, in fondo, una forma di pensiero. Disegnare un flusso significa costruire un ragionamento che resta visibile nel tempo. È un linguaggio che unisce precisione e collaborazione, tecnica e comunicazione. Il dato smette di essere un oggetto chiuso e torna a essere un linguaggio condiviso, un campo comune in cui le competenze si incontrano.

Il data scientist di oggi assomiglia a un monaco digitale. Lavora in silenzio, osserva le variazioni minime, cerca equilibrio tra rigore e intuizione. La sua pratica è una disciplina della mente: ridurre il rumore, mantenere la coerenza, cercare la verità dei dati nel loro contesto. I flussi visuali aiutano in questo esercizio. Mostrano il pensiero mentre prende forma, rendono visibile la struttura nascosta del processo. Non sostituiscono il codice, ma lo completano. Il codice è dettaglio, la visualizzazione è visione d’insieme. Insieme costruiscono un sapere comprensibile, controllabile e condiviso.

Il dato è un linguaggio. Comprenderlo significa usare la tecnologia per pensare meglio, non per delegare le decisioni alle macchine.


Un libro per orientarsi

Per chi desidera avvicinarsi a questa cultura del dato, un testo utile è The Visual Data Language – The KNIME Way di Dennis Ganzaroli. L’autore, con oltre venticinque anni di esperienza nella progettazione e nell’analisi dei dati, unisce il rigore del tecnico e la sensibilità di chi conosce i limiti cognitivi dell’uomo che lavora con le macchine.

Il libro spiega in modo chiaro come costruire flussi di lavoro leggibili e affidabili attraverso KNIME, una piattaforma di programmazione visuale che consente di integrare analisi, automazione e modellazione predittiva. Ganzaroli accompagna il lettore passo dopo passo: dalla preparazione dei dati all’esecuzione dei modelli, dalla gestione delle dipendenze logiche al controllo dei risultati. Ogni capitolo introduce una competenza, mostrando come il linguaggio visuale aiuti a mantenere ordine nel pensiero e coerenza nel metodo.

Tra le pagine emergono esempi concreti: la pulizia dei dati (data cleaning), la combinazione di fonti eterogenee, la costruzione di pipeline (catene di elaborazione) modulari e riutilizzabili, la documentazione automatica dei passaggi. C’è anche una riflessione costante sulla necessità di rendere il lavoro “comprensibile a chi verrà dopo”: un principio di responsabilità tecnica che attraversa tutto il libro.

Quando Dennis Ganzaroli era ragazzo, rimase affascinato da una scena di Ritorno al futuro II. Biff Tannen, il cattivo della saga, trovava un almanacco sportivo che conteneva i risultati di decenni di competizioni. Viaggiando indietro nel tempo, usava quel libro per scommettere e diventare ricchissimo. Ganzaroli ricorda di aver pensato, da adolescente, che quell’oggetto fosse la perfetta rappresentazione del potere della conoscenza: avere i dati giusti nel momento giusto significa cambiare il corso degli eventi.

«Capire i dati non è prevedere il futuro, ma vedere con chiarezza ciò che abbiamo davanti agli occhi»

Nel libro, scrive che quel momento – più del viaggio nel tempo, più della DeLorean volante – gli fece intuire la forza dei dati. Non come magia, ma come memoria: un modo per leggere il mondo con precisione, scoprendo gli schemi nascosti dietro ciò che sembra casuale. «Capire i dati», spiega, «non è prevedere il futuro, ma vedere con chiarezza ciò che abbiamo davanti agli occhi».

Da quell’immagine nasce il suo modo di intendere la scienza dei dati: non come gioco di previsioni, ma come esercizio di lucidità. Ogni flusso di lavoro, ogni modello, ogni grafico diventa una piccola macchina del tempo: non ci porta avanti, ma ci permette di tornare sul presente con più consapevolezza.

The Visual Data Language – The KNIME Way è un manuale nel senso più nobile del termine: nasce dalla pratica e restituisce strumenti. È un invito a pensare con chiarezza, a costruire processi trasparenti, a trattare il dato non come un fine, ma come un mezzo per comprendere meglio la realtà.


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Pubblicato il 19 ottobre 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / etiam capillus unus habet umbram suam