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In tempi nei quali proliferano filosofi pop e guru di intelligenze artificiali generative varie, la filosofia sembra sempre più morta, azzerata. Però forse non lo è, la filosofia è pur sempre una pratica che si porta dietro attività di lettura e di scrittura, favorisce l’immaginazione, spinge a vivere la vita come uno spartito musicale, come una danza (“forma di pensiero e di espressione che va oltre la dimensione umana” diceva Nietzsche).


Compito della filosofia, e quindi dei filosofi, è porre e porsi domande. Le domande da porsi, in un’era dominata, per non dire controllata, dalle tecnocrazie tecnologiche con le loro piattaforme digitali, sono numerose, ma c’è un problema. Quali domande possiamo porci, nell’agire tutti da filosofi, se la nostra forma mentale è ormai colonizzata, asservita, al servizio delle logiche del digitale? Siamo così ibridati con la tecnologia da esserlo anche cognitivamente, ci crogioliamo dentro le narrazioni dominanti, senza consapevolezza e incapaci di cercare una via di fuga, una risposta altra, alternativa agli assetti, anche narrativi, ai quali siamo ormai assuefatti. 

Prendere posizione, mettersi di traverso, suggerire alternative, assumere una postura critica(anche scettica andrebbe bene), non è da tutti. Molti sono coloro che preferiscono stare dentro la narrazione dominante, sfruttare la logica dei media che la veicolano, fare finta di inventarsi vie di fuga, anche interessanti ma sempre dentro le logiche “markettare” e consumistiche, ipnocratiche, dell’era digitale. Uso le parole non a caso, perché è sull’ipnocrazia che si vorrebbe oggi “inventare nuovi modi di fare filosofia […] far vivere un’esperienza e […] co-creare assieme all’intelligenza artificiale”. 

Nel fare questo però molti filosofi non propongono alcuna nuova forma di fare filosofia, si limitano a celebrare, a loro modo e con le adeguate giustificazioni/motivazioni, il fatto di avere accettato di stare dentro l’era digitale, dedicando le loro capacità e risorse alla narrazione della nuova religione tecnologica, ammantandolo di una sacralità su cui fanno calare il loro verbo filosofico, diventato sacerdotale, perché inserito nella grande chiesa degli ultimi giorni tecnologici che viviamo. Come ha scritto Francesco Varanini “Finiscono così per essere ingenui ed acritici apologeti di una nuova indiscussa verità.” 

Al posto della critica, ci si accontenta di stare dentro la corrente dell’inconscio tecnologico del così fan tutti, si accettano le menzogne come verità, si costruiscono falsi spacciandoli per veri, si costruiscono narrazioni critiche artefatte che contribuiscono a creare sconcerto, disillusione e la percezione che ogni trasgressione vera sia ormai impossibile. A forza di cercare spunti per essere visibili ci si dimentica che nel farlo non si sta facendo altro che alimentare la macchina superiore che governa l’era digitale dell’online. 

Bisognerebbe tornare indietro nel tempo, bisognerebbe ritrovare il coraggio di rompere le logiche e le regole, bisognerebbe provare a ridare senso alle cose e alla loro estetica rifiutando quella mercificata dei tanti mondi fasulli come quelli che la Disney aveva creato con la costruzione della città di Celebration, nei pressi di uno dei suoi parchi a tema. Bisognerebbe, ma dove sono coloro che hanno il coraggio di fare questo? Quanti sono i filosofi che di questo coraggio si fanno forza? Ci sono ancora in circolazione filosofi come Stiegler, Virilio, Galloway, Sadin, Benasayag, Marcuse, Heidegger, Galimberti, ecc. ecc.?

 


 

 

 

 

 

 

Pubblicato il 05 maggio 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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