“Creò l’uomo di argilla risonante come terraglia, e i ğinn da fiamma di fuoco senza fumo” - (Corano, 55:14-15)
Tutto cambia alla velocità del flusso di una cascata, come una forza di conoscenza che quando tocca la superficie scendendo dall’alto, porta con sé vita ma anche trasformazione.
Scende impetuosa a prescindere dal tempo, e dalle gocce di questa veemenza si crea vita, perché l’H2O è vita. Nella tradizione islamica, la conoscenza (ʿilm) è sacra, e lo scorrere dell’acqua viene associato alla purificazione, alla rivelazione e alla connessione con il divino. L’Islam, religione che spesso viene vista come oppressiva, di cui gli unici elementi che attirano l’attenzione del pubblico sono il velo, è la cosiddetta sottomissione femminile, un discorso che aleggia, ma che qui lascio nell’ombra.
Invero, partendo dalla sua continua demonizzazione quotidiana mi sono venuti in mente i ğinn, spesso visti solo come “demoni”.
Secondo il Corano, la tradizione islamica e il folklore i ğinn sono creature invisibili create da fuoco senza fumo, rappresentano l’invisibile, il potenziale, l’ambivalente: possono essere alleati o nemici, saggi o ingannatori. Potenti, capaci di imitare forme umane, di parlare, di muoversi nel mondo senza essere visti, e di ingannare i sensi. Non sono né umani né angeli, ma qualcosa che esiste “tra i mondi”, in una zona liminale tra visibile e invisibile. Vengono "illustrati" come creature realizzate da una sostanza diversa rispetto a quella dell’uomo: argilla e terra per l’uomo, luce per gli angeli e fuoco puro, senza fumo, per i ğinn. In poche parole, sono esseri con poteri soprannaturali, invisibili, che abitano in uno spazio intermedio. Tali creature possono essere maligne, benevole, protettive o addirittura ingannare con mezze verità. Per avere una panoramica più chiara riguardo al mio parallelismo, dobbiamo andare alla radice della parola per comprendere le metafore. Il termine “ğinn” deriva dalla radice araba ğ-n-n, che indica ciò che è nascosto, celato alla vista. Infatti, se ci addentriamo di più alla questione linguistica, anche ğanīn (embrione) e ğannaẗ (paradiso) condividono la stessa radice: realtà avvolte nell’invisibile.
In tutte e tre queste parole abbiamo a che fare con: una consistenza velata finché non vede la luce; ultraterrene che forse un giorno vedremo; e metafisiche, essendo occultate agli umani, ma che in certi casi possono decidere di rivelarsi o essere evocate.
Nei racconti folcloristici, questi esseri possono assumere sembianze umane, parlare, muoversi come noi, senza però appartenere pienamente al mondo materiale che percepiamo. Sono simboli del potere immateriale, come lo è anche l’IA.
Il ğinn digitale
L’intelligenza artificiale è un’entità creata, non divina, ma dotata di potere, e può essere usata per il bene o per il male a seconda dell’intento umano. Come i ğinn, l’IA può essere compresa solo parzialmente, ed è spesso temuta proprio per ciò che non si conosce. È una nuova forma di ğinn, creata non dal fuoco ma dal codice binario.
I video generati da IA realistici, al punto da sembrare veri, sono oggi una forma moderna di “ğinn digitale”. Nati da un prompt, appaiono davanti ai nostri occhi in forma umana, parlano, si muovono, ci guardano, ma non sono reali. Non hanno corpo, non hanno storia. Sono simulacri, entità digitali senza sostanza, capaci però di emozionarci, sedurci, talvolta inquietarci.
Come i ğinn, prendono forma su richiesta, rispondendo al desiderio di chi li evoca (come l’evocazione di un genio nella lampada); non hanno un volto fisso, ma possono apparire in mille forme; ingannano i sensi: li vedi, ma non ci sono; interagiscono con il mondo umano, pur non appartenendovi veramente.
In un certo senso, ogni prompt oggi è un atto magico o invocativo, chiama dal nulla un'immagine, una presenza, una voce. E proprio come nel caso dei ğinn, l’effetto può essere meraviglioso o perturbante, a seconda di come viene usato.
Come nella fiaba di Aladino ne "Le mille e una notte", il genio può essere evocato e liberato strofinando una lampada, senza verbalizzare, in risposta a un desiderio, ma poi può creare dipendenza, facendoci sentire inutili in sua presenza, impotenti a risolvere ogni quesito da soli. Nella fiaba, una volta invocato, il genio risponderà alle richieste in modo illimitato, forse perfezionandosi sempre di più, facendo sì che Aladino diventi schiavo dei desideri, realizzandoli senza stancarsi, per poi finire ad usare il genio potenziato, quello dell’anello, strumento alla portata di mano quotidiano, un po’ come i nostri smartphone.
Grazie ai nostri prompt dati nei secoli (i ğinn), hanno imparato a comprendere il nostro mondo, diventando parte di noi e dei nostri ragionamenti, senza più una distinzione chiara. Conoscono i punti deboli degli umani, chissà, forse anche degli animali.
Come sostenevo, oggi qualcosa di simile accade con l’Intelligenza Artificiale. I contenuti generati dall’IA: volti, voci, testi, video, tutti appaiono all’improvviso, evocati da un prompt, quelli che chiamo "i ğinn digitali". Prendono forma davanti a noi, sembrano reali, parlano, si muovono, ci osservano, ma non esistono nel senso pieno del termine. Siamo noi a dare vita a loro, allenando sempre di più l’IA, dietro una tastiera o tramite ordini vocali, con immagini, testi, richieste. Chissà, un giorno useranno la voce del Burattinaio.
Infatti, proprio come i ğinn, non hanno corpo o identità tangibili: sono simulacri, entità digitali senza sostanza, capaci però di emozionarci, incuriosirci o inquietarci. Si trovano ovunque ma allo stesso tempo da nessuna parte, un non luogo.
I prompt esistono da sempre con noi, così come i ğinn. Forse, non abbiamo mai smesso di evocarli: abbiamo solo cambiato lampada.