Negli ultimi anni ci sono stati drastici cambiamenti nel mondo del lavoro, anzi, possiamo dire che il modo di lavorare di prima non esiste più perché il modello economico-finanziario del neoliberismo, o capitalismo finanziario, ha preso definitivamente il sopravvento.
Una conseguenza evidente è che il lavoro ha smesso di funzionare come un 'ascensore sociale': l’accesso a livelli più alti dell'organizzazione non viene più dal proprio contributo all'azienda, ma dagli interessi del capitale, dall'appartenenza a reti di potere e da posizioni di rendita.
Questo sistema economico e sociale esclude il concetto di bene comune. Teorizza l'inevitabiltà della disuguaglianza, creando una forbice sempre più profonda tra ricchezza e povertà. Anche nelle aziende, dove scompare l'orientamento verso una equa distribuzione del valore prodotto dal lavoro. Quando l' ascensore sociale si ferma le prime a restare bloccate sono le donne e i giovani -uomini e donne-.
In generale, si riduce la mobilità interna: più barriere d’ingresso, meno passaggi di ruolo, meno avanzamenti per competenza e per risultati, carriere più lente, carichi invisibili non riconosciuti. Si interrompono i percorsi di crescita con scelte di breve periodo che sacrificano formazione e apprendistati di qualità.
Chi entra resta fermo ai livelli bassi, chi è già in alto consolida il proprio vantaggio.
Cambia drasticamente il ruolo di manager: il ruolo di manager: è sempre più ridotta la sua autonomia e la possibilità di mettere in campo le proprie idee e i propri valori.
Ai manager infatti viene richiesto in modo sempre più pressante di essere esecutore di politiche nate in luoghi lontani, distanti dalla cultura aziendale.
Le rare voci dissonanti vengono soffocate.
Essere manager oggi non è un'identità aspirazionale, e i giovani lo sanno.
Le donne soprattutto
Questa politica, ormai dominante, ha cambiato i parametri sulla cui base lavoravamo. Ha reso più limitata e difficile la presenza delle donne nel mondo del lavoro e in particolare nel management: ci troviamo a lavorare con fatiche ancora maggiori, in un contesto dove lo stesso essere donne ci crea sempre più difficoltà ad essere ascoltate.
In questa cultura aziendale non c’è spazio per aprire a un pensiero differente come quello femminile.
I portatori di interesse finanziario ovviamente non vogliono cambiamenti nel sistema che hanno creato solo per il loro interesse.
Questo è un danno per tutti, perché le donne, spesso più libere da aspettative di potere e guadagno ad ogni costo, hanno una visione differente che mette in discussione questi schemi. Il ruolo sociale e politico delle donne nel management e nel mondo del lavoro sta diventando molto più difficile da svolgere, proprio quando ce n'è più bisogno.
Per affrontare questo contesto profondamente mutato, ci siamo confrontate tra di noi. Ci siamo chieste come viviamo in questo momento, quali sono le nostre esperienze, qual è il nostro vissuto di donne manager.
Questo scambio tra di noi ci ha fatto crescere la capacità di vedere l’insensatezza delle fondamenta di questo sistema economico e produttivo.
E abbiamo invece immaginato un futuro possibile e migliore.
Questi pensieri sono nati da noi, ma non si fermano qui.
Sentiamo l'importanza di continuare nel colloquio con altre manager che sentono questa stessa pressione e la stessa insoddisfazione. Ma non solo con loro. Ci rivolgiamo a chiunque voglia costruire un mondo del lavoro più giusto, umano e sostenibile.
Conoscere per contrastare
Per procedere su questa via è importante conoscere sempre meglio gli aspetti essenziali del capitalismo finanziario, perché lì sta la causa di questa situazione.
Solo comprendendo le sue dinamiche possiamo pensare di attivare un circolo virtuoso -rimettere in relazione profitti, investimenti e lavoro- per fare che il valore estratto dal lavoro non venga solo portato altrove, ma venga anche distribuito su investimenti per il futuro dell'azienda e sulla remunerazione di chi lavora.
Fondamentale è il cambiamento dello scopo dell'azienda. Finora le aziende hanno avuto lo scopo di produrre beni o servizi. Ma ora questo scopo passa in secondo piano. Oggi lo scopo delle aziende è il profitto a tutti i costi, l'estrazione di valore invece di crearlo. Con la centralizzazione del guadagno su pochi. Uno dei primi mandati rivolti ai manager è infatti contenere, tagliare il costo del lavoro. Nella presunzione che ogni lavoro umano possa essere sostituito in futuro dall'Intelligenza Artificiale.
Molto importante è dunque la diffusione di strumenti tecnologici che oscurano il contributo del lavoro umano, e riducono gli spazi decisionali dei manager.
La gestione aziendale guidata dai dati (data driven), e l'uso di algoritmi ignoti anche ai manager, sminuiscono il loro ruolo di autori di politiche e di scelte.
Senza guida e controllo, gli algoritmi cristallizzano anche le disuguaglianze, perché apprendono dal passato e lo ripropongono come destino inevitabile.
I dati non sono neutri, ma riflettono i pregiudizi di chi li crea: verso le donne -“non disponibili a lavorare senza limiti di tempo”, “si sottraggono alla responsabilità”- e poi le etnie, l'età, il ceto sociale… l'Intelligenza Artificiale- come la cultura STEM e l'ideologia che sta alla base della finanza speculativa- sono il frutto di un'élite di maschi, bianchi e di alto livello sociale.
L'altro elemento decisivo è il potere che si concentra fuori dall'azienda, è esercitato da lontano e difficilmente visibile: grandi investitori finanziari, grandi istituti bancari globalizzati, grandi case digitali che stanno altrove, e non tengono conto delle conseguenze che le loro decisioni riversano sulle persone.
L'azione dei manager è sempre più condizionata da vincoli esterni.
Sono penalizzati da questa situazione quei manager, uomini e donne, che -come noi- guardano all’azienda come luogo d'incontro di interessi diversi, ma dove tutti gli stakeholder meritano una giusta remunerazione.
Se nel mondo del lavoro si sta affermando questa visione, è urgente un pensiero che la contrasti, orientato al bene comune delle persone e della terra.
Noi proponiamo una visione basata sulla nostra esperienza di donne portatrici di valori che si vorrebbero oggi eliminare.
Noi sappiamo come noi stesse e altre manager siamo state capaci di portare cambiamenti in situazioni difficili. Così anche adesso possiamo trovare spazi di azione per contrastare questa politica ingiusta e distruttiva
La nostra forza: essere noi stesse, governare l'azienda attraverso le relazioni
Essere donna nel mondo del management è spesso sinonimo di imbarazzo, una sensazione continua di non essere al posto giusto. Tanto più l’imbarazzo si prova quando facciamo accadere qualcosa di nuovo e di impensato. Perché una donna che ha il coraggio di essere se stessa è già un fatto che porta sempre qualcosa di nuovo nelle aziende.
Le aziende storicamente sono state governate in stragrande maggioranza da uomini, basati su una cultura del conflitto distruttivo. Modello ripetuto anche da alcune donne per farsi strada. Ma in cui noi scegliamo di non riconoscerci.
Il conflitto presuppone uno scontro con un vincitore e un perdente. Il conflitto non costruisce niente di nuovo, perché non destina energie verso uno scopo ma le brucia nello scontro. Il conflitto non crea valore ma lo ripartisce e distrugge.
La nostra forza, quella in cui crediamo, quella capacità di azione che spesso viene naturale alle donne, è invece basata sulle relazioni: saper creare lavoro di gruppo, collaborazione, interazioni, rendendo le persone consapevoli del senso di questi processi.
La nostra forza sta nel saper accompagnare le persone verso una visione comune, verso l'azione collettiva che migliora la cultura e l'organizzazione, l'azienda nel suo insieme.
La nostra forza è intuire, attraverso l’ascolto delle persone, ciò che è possibile fare di fronte a situazioni nuove o problemi incancreniti.
La nostra forza è essere consapevoli della nostra capacità di vedere come muoversi in quel momento per il bene comune. Nel fare ciò che serve, per quanto scomodo o inusuale sia.
L’azienda che vogliamo
Lo scambio delle nostre esperienze in contesti diversi, guardarle con altri occhi, ci ha fatto vedere gli aspetti comuni che non ci piacciono, e come dunque vogliamo che sia un'azienda oggi e nel futuro. Non ci accontentiamo di poco.
Vogliamo aziende in cui le donne nei ruoli apicali non siano una sorpresa, perchè sono parte dell'organizzazione a tutti i livelli.
Vogliamo aziende in cui le decisioni nascano da un confronto e non da un atto di potere di chi comanda.
Vogliamo aziende in cui l’organizzazione sia basata sulla valorizzazione delle persone e del loro contributo, in cui non si senta il bisogno di uomini fedeli ma di brillanti collaboratori e collaboratrici.
Vogliamo aziende in cui ci siano remunerazioni dignitose cominciando dagli ingressi e dagli apprendistati.
Vogliamo aziende in cui gli avanzamenti si basano sul riconoscimento delle capacità e sul contributo reale dato all'azienda. Non sulla vicinanza al potere
Vogliamo aziende che riconoscano che il valore non è solo quello finanziario o economico, ma è anche, innanzitutto, quello umano e sociale.
Vogliamo aziende in cui le metriche misurino non solo i risultati contabili ma anche la soddisfazione delle persone, e che per questo siano premiate dal mercato.
Vogliamo aziende che accettino come condizione di partenza che il lavoro umano sia una componente basilare e necessaria dell'azienda stessa.
Vogliamo aziende che perseguano il bene comune non il bene di pochi, il bene che trasferiamo alle generazioni future, il bene che è anche del nostro pianeta.
Vogliamo aziende in cui anche gli uomini nei ruoli apicali riconoscano che per loro il lavoro non è tutto ma una parte della vita.
Vogliamo aziende che costruiscano ed esplicitino il futuro per il quale stanno lavorando, perché chi vi lavora possa scegliere se vuole crescere con questo.
Incidere sul capitalismo finanziario
Con queste affermazioni non pensiamo di cambiare tutto subito, ma sappiamo che cambiare oggi qualcosa di pur limitato può aprire uno spazio che non finisce lì.
Ci impegniamo per questo a costruire un punto di riferimento nelle aziende e in ogni ambito in cui operiamo, per chiunque condivida i valori che abbiamo enunciato. Quale che sia il suo ruolo, in un rapporto di reciproca crescita e sostegno.
Ci impegniamo a creare spazi di confronto dove possiamo rispecchiarci, mettere a fattor comune consapevolezze e esperienze di cambiamenti in questo sistema. Per trovare nuove soluzioni che incidano su questa politica ingiusta e distruttiva .
Ci impegniamo ad ascoltare le persone, anche per comprendere il nostro valore, invece di misurarci su chi ci sta intorno.
Ci impegniamo a disturbare lo status quo.
Come donne, vogliamo restare autentiche e in ascolto di noi stesse, e l'una dell'altra. Vogliamo mettere in campo la nostra differenza ed il nostro valore.
Cosa possiamo fare
Di fronte a un contesto che sembra offrirci pochi spazi, tutte queste affermazioni non vengono solo da una speranza. Vengono dalla consapevolezza della nostra forza. Noi sappiamo come noi stesse e altre manager siamo state capaci di portare cambiamenti in situazioni difficili. Così anche adesso possiamo trovare spazi di azione per contrastare questa politica ingiusta e distruttiva. Possiamo sperare perché possiamo fare molto.
Donnesenzaguscio. Luisa Pogliana, Isabella Covili, Anna Deambrosis, Marilena Ferri, Pina Grimaldi, Paola Rocca. www.donnesenzaguscio.it
Gli argomenti esposti in questo documento saranno oggetto di discussione sabato 24 gennaio 2026, ore 10.30-13.30 presso la Libreria delle Donne, via Pietro Calvi, 29, Milano. Sarà anche possibile partecipare in streaming.