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Per chi come é cresciuto nella ‘politica’, in un mondo impregnato di politica, dove tutto era politica e l’impegno politico un dovere civico, é dura. Ma il distacco razionale , uno spazio riparato dal gorgo delle emozioni è quello che mi serve in questo momento particolare per tentare di capire l’anno che si sta per chiudere e quello che potenzialmente potrebbe aspettarci. Avvertenza: É un saggio lungo , per lettori profondi, nel senso per lettori che ‘hanno tempo da perdere


Antefatto

L’altra sera accendo la tv e becco un approfondimento di Sky news sulla notizia che diversi governi stanno prendendo in considerazione l’arruolamento di giovani nell’ esercito, in forma volontaria, per il momento, ma si comincia a parlare di leva obbligatoria. Ieri, leggo un articolo de Il Post in cui si parla della Germania che si sta riarmando velocemente. E penso a come una notizia come questa sarebbe stata presa solo qualche anno fa. E mi sono chiesto, ma che sta succedendo?

Parentesi

Faccio sempre più fatica a leggere giornali, seguire i telegiornali, i dibattiti in tv, le trasmissioni di pseudo approfondimento. Lo faccio per difesa. Voglio salvaguardare il mio benessere mentale e il mio distacco razionale, evitando di essere preso nel gorgo delle pure reazioni emotive, delle rappresentazioni fittizie della realtà e dei giudizi morali precipitosi.

E mi sento in colpa, perché sento così di estraniarmi dal mondo e di non ‘partecipare’ anche solo emotivamente a quanto accade attorno a me.

Per chi come é cresciuto nella ‘politica’, in un mondo impregnato di politica, dove tutto era politica e l’impegno politico un dovere civico, é dura. Ma il distacco razionale , uno spazio riparato dal gorgo delle emozioni è quello che mi serve in questo momento particolare per tentare di capire l’anno che si sta per chiudere e quello che potenzialmente potrebbe aspettarci. Avvertenza: É un saggio lungo , per lettori profondi, nel senso per lettori che ‘hanno tempo da perdere

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Mi sono imbattuto casualmente nel termine 'sentiment' in qualche post di marketing e vi ho colto un concetto interessante per assegnare una parola a qualcosa che avevo in mente, ma non riuscivo a condensare e concretare. Le riflessioni che seguono nascono da questa intuizione iniziale.

Il sentiment come categoria di analisi

Per comprendere cosa intendo per 'sentiment', è necessario partire dalla sua definizione tecnica. Nel panorama geopolitico del 2025, assistiamo all'emersione di una forma di conflitto che trascende le categorie tradizionali della guerra. Si combatte per il controllo delle emozioni collettive, di quello che gli analisti chiamano 'sentiment': l'orientamento emotivo di una popolazione rispetto a eventi, persone o idee, estrapolato attraverso l'elaborazione automatica del linguaggio naturale.

Ciò che rende questa forma di conflitto particolarmente insidiosa è la sua natura ibrida: opera simultaneamente sul piano materiale e simbolico, sfruttando tanto le vulnerabilità delle infrastrutture fisiche quanto quelle cognitive delle popolazioni. L'Europa si trova oggi al centro di questa tenaglia, stretta tra pressioni che convergono verso un unico obiettivo: destabilizzare la fiducia nelle istituzioni democratiche attraverso la manipolazione sistematica delle emozioni collettive.

Ma cosa significa esattamente 'sentiment' in termini operativi? Il sentiment rappresenta la capacità di classificare l'orientamento emotivo di un testo attraverso algoritmi di elaborazione del linguaggio naturale. I sistemi più sofisticati riconoscono emozioni discrete come rabbia, paura, disgusto o gioia. Questa granularità emotiva è cruciale per comprendere l'uso strategico del sentiment: rabbia e paura si sono rivelate le emozioni più efficaci per generare mobilitazione politica e coinvolgimento digitale.

Gli algoritmi delle piattaforme social hanno scoperto empiricamente ciò che la psicologia evoluzionistica aveva teorizzato: le emozioni legate alla minaccia producono risposte più immediate e intense. Questo ha creato un perverso allineamento di incentivi. Le piattaforme digitali, il cui modello di business dipende dal tempo di permanenza degli utenti, privilegiano contenuti che generano forte engagement emotivo. Il risultato è una distorsione sistemica: contenuti che suscitano indignazione o paura ricevono maggiore visibilità rispetto a quelli che promuovono riflessione o empatia.

Quando questa dinamica viene compresa e sfruttata da attori geopolitici ostili, il sentiment cessa di essere una metrica di mercato e diventa un'arma. La capacità di amplificare artificialmente determinate emozioni collettive trasforma le piattaforme digitali in vettori di destabilizzazione psicologica di massa.

Insomma, avrei potuto usare termini meno desueti in questo contesto, come ‘clima’ . Ma ‘sentiment’ credo colga insieme al concetto il meccanismo di funzionamento e di attivazione.

La tenaglia geopolitica

L'Europa del 2025 si trova sottoposta a una pressione coordinata su due fronti. Dal fronte orientale, attraverso operazioni nella 'zona grigia': droni su infrastrutture critiche, brevi violazioni dello spazio aereo, sabotaggi di cavi sottomarini. L'obiettivo non è la distruzione fisica, ma la creazione di un sentiment diffuso di vulnerabilità. Ogni episodio, preso isolatamente, appare troppo minore per giustificare un'escalation; ma l'accumulo genera una percezione di esposizione continua.

Questa strategia potrebbe essere definita 'gaslighting geopolitico': una manipolazione che mira a far dubitare la vittima della propria percezione della realtà. Le popolazioni europee si trovano in ansia permanente, incapaci di distinguere tra minacce reali e amplificazioni mediatiche.

Dal fronte occidentale, la retorica isolazionista americana alimenta un sentiment di abbandono. Presentando l'Europa come parassitaria o irrilevante, si induce la paura di trovarsi soli, spingendo verso accordi bilaterali separati che minano la coesione europea. L'efficacia di questa doppia pressione risiede nella sua simmetria funzionale: le operazioni nella zona grigia suggeriscono che le istituzioni europee sono incapaci di proteggere; la retorica americana che non ci si può fidare nemmeno degli alleati. Il risultato è una popolazione ansiosa, frammentata, incline a soluzioni autoritarie.

I meccanismi automatici dell'amplificazione emotiva

Sarebbe fuorviante attribuire esclusivamente alle piattaforme digitali la responsabilità dell'amplificazione emotiva. I media tradizionali premiavano già sistematicamente notizie che suscitano paura, allarme o rabbia. Questo bias non riflette necessariamente cattiva fede, ma risponde a una logica economica elementare: le notizie emotivamente cariche attirano l'attenzione. Il vecchio adagio 'if it bleeds, it leads' codificava questa dinamica.

Ciò che è cambiato con il digitale non è la natura di questo meccanismo, ma la sua velocità e pervasività. Dove prima un redattore decideva quali notizie enfatizzare, oggi algoritmi monitorano in tempo reale l'engagement e adattano la visibilità. Il risultato è una convergenza funzionale: infotainment televisivo, giornalismo online e social media rispondono tutti all'imperativo di massimizzare l'attenzione attraverso l'amplificazione emotiva.

Questo significa che è l'intero sistema mediatico a creare un'atmosfera, un clima, un sentiment generale. Anche notizie fattuali accurate, quando selezionate secondo criteri che privilegiano sistematicamente la negatività, producono cumulativamente una percezione distorta della realtà. Consideriamo la sequenza di micro-eventi europei: droni non identificati, sconfinamenti di navi, palloni sonda, interruzioni di cavi. Presa singolarmente, ciascuna notizia è relativamente innocua. Ma quando vengono affollate nello stesso spazio informativo, riportate in successione, enfatizzate con titoli allarmistici, creano un'atmosfera di assedio permanente.

Chi comprende questi meccanismi può manipolarli deliberatamente. Non è necessario controllare le redazioni. Basta creare le condizioni per l'attivazione di queste dinamiche automatiche: un incidente apparentemente casuale qui, una dichiarazione ambigua là. Il sistema mediatico, seguendo la propria logica di massimizzazione dell'attenzione, amplificherà spontaneamente il messaggio nella direzione emotivamente più carica. Questo è precisamente ciò che sta accadendo in Europa: il clima di isteria collettiva alimentato dal combinato disposto della retorica americana e della strategia russa, amplificate attraverso meccanismi mediatici che operano secondo logiche proprie.

Il circolo vizioso: sentiment, agenda e decisioni

Il meccanismo di amplificazione emotiva innesca un circolo vizioso che vincola l'azione politica. Il sentiment generale creato dal sistema mediatico diventa l'agenda dei governi, spingendoli a decisioni che, proprio in quanto prese, confermano che il problema esiste. Si stabilisce una spirale auto-rafforzante: percezione emotiva genera risposta politica, che legittima e amplifica la percezione iniziale.

La sequenza è schematizzabile così: un evento innesca una reazione; i media creano un clima emotivo; questo genera un sentiment diffuso; il sentiment stabilisce l'agenda politica; i governi prendono decisioni congruenti; le decisioni confermano il sentiment originario. Il ciclo ricomincia con intensità amplificata. È come una mandria che pochi cowboy esperti riescono a spingere in una direzione: l'inerzia collettiva, una volta innescata, diventa autonoma.

Ma c'è un aspetto sistematicamente rimosso dal dibattito: la responsabilità dell'opinione pubblica stessa. Colpevolizziamo i politici per le decisioni prese, senza riconoscere che siamo stati noi, come collettività, ad averli costretti. Il sentiment che abbiamo contribuito a generare diventa il vincolo entro cui i governanti devono operare. Quando le cose vanno male, chi ha indirettamente spinto colpevolizza chi ha deciso, senza assumersi responsabilità. I governi governano esattamente nella misura in cui sono governati dal sentiment dell'opinione pubblica.

Questa analisi funziona?

Due esempi possono interessare. Franklin Roosevelt comprendeva già nel 1939 che gli Stati Uniti avrebbero dovuto intervenire militarmente contro il nazismo. Ma il sentiment isolazionista glielo impediva. Solo dopo Pearl Harbor, quando il sentiment cambiò, Roosevelt poté prendere la decisione strategicamente necessaria da anni. Non fu Pearl Harbor a cambiare la situazione militare, ma a cambiare il sentiment rendendo politicamente possibile ciò che prima era impossibile.

Un esempio contemporaneo: il sentiment nei confronti dei temi ambientali sta scemando, davanti a preoccupazioni sulle ricadute economiche e sociali immediate della transizione ecologica, e i governanti si tirano indietro da impegni precedenti. Questo non riflette un cambiamento nella validità scientifica delle previsioni climatiche. Riflette che la popolazione non è disposta a pagare il prezzo immediato della transizione. Chi si opponeva dice 'avevamo ragione', ma questa interpretazione è scorretta: non avevano ragione sui fatti, sono stati più bravi a manipolare il sentiment, attivando paure immediate che hanno sovrastato preoccupazioni sul futuro. La vittoria politica non implica validità epistemica, ma efficacia nel plasmare il sentiment collettivo.

Strategie di resilienza e resistenza

Di fronte a questa forma di conflitto che opera primariamente sul sentiment, le risposte tradizionali si rivelano inadeguate. Occorre sviluppare resilienza cognitiva e istituzionale specificamente calibrata sulla natura psicologica della minaccia.

Per i governanti, questo richiede un cambiamento radicale nella comunicazione politica. L'attuale tendenza a rispondere a ogni picco di sentiment con dichiarazioni aggressive si è rivelata controproducente: conferma lo stato di crisi e alimenta la vulnerabilità che gli avversari cercano di indurre. Sarebbe più efficace una 'politica della verità trasparente': spiegare le minacce senza enfasi emotiva, contestualizzarle storicamente, fornire dati che permettano ai cittadini di calibrare autonomamente il livello di preoccupazione. Questo richiede il coraggio di guardare meno ai sondaggi immediati e più alla pedagogia politica di lungo termine.

Per media e intellettuali, la responsabilità è svelare esplicitamente i meccanismi di manipolazione emotiva. Non basta riportare i fatti: occorre educare il pubblico a riconoscere quando un evento è progettato per manipolare le emozioni. Diventa cruciale sostenere forme di giornalismo 'slow' che privilegino il contesto rispetto alla velocità. Questo richiede modelli di finanziamento alternativi al clickbait, forse attraverso sostegno pubblico che preservi l'indipendenza editoriale.

Per i cittadini, se l'intero sistema mediatico opera secondo meccanismi che amplificano il sentiment negativo, le strategie difensive devono essere radicali. L'unico modo per stare veramente al riparo potrebbe essere sottrarsi, creare deliberatamente camere di isolamento informativo. Questo non significa ignoranza volontaria, ma selezione estremamente rigorosa delle fonti. Significa rinunciare all'illusione di essere 'sempre aggiornati', riconoscendo che questa immediatezza è il veicolo della manipolazione emotiva.

Una camera di isolamento informativo potrebbe consistere nel limitare l'esposizione a notiziari quotidiani, preferendo sintesi settimanali che permettano di distinguere eventi significativi da rumore transitorio. Potrebbe significare eliminare i social media dalla propria dieta informativa. Questa proposta apparirà elitaria, ma la domanda dovrebbe essere rovesciata: come può una democrazia funzionare quando il flusso informativo è progettato per manipolare le emozioni? L'isolamento selettivo potrebbe non essere rinuncia alla cittadinanza attiva, ma sua precondizione in un ambiente informativo tossico.

Queste pratiche individuali, per quanto necessarie, non possono però sostituire interventi strutturali. Occorre ripensare la regolamentazione delle piattaforme digitali in modo che i loro algoritmi non siano più calibrati esclusivamente sulla massimizzazione dell'engagement emotivo. Questo potrebbe significare imporre trasparenza sugli algoritmi di raccomandazione, o addirittura vietare certe forme di ottimizzazione che si basano sull'amplificazione della rabbia e della paura.

Illusioni?

Che fare?

La guerra del sentiment rivela una vulnerabilità fondamentale delle democrazie liberali nell'era digitale. Sistemi politici basati sulla deliberazione razionale si trovano esposti a forme di manipolazione che operano al di sotto della soglia della consapevolezza razionale, direttamente sul piano emotivo. La posta in gioco non è semplicemente resistere a questa o quella campagna di disinformazione, ma preservare quella che potremmo chiamare 'sovranità cognitiva': la capacità collettiva di processare informazioni e formare giudizi in modo relativamente autonomo da interferenze esterne.

Riconquistare questa sovranità richiede un progetto politico e culturale di vasta portata. Sul piano tecnologico, significa sviluppare alternative europee alle piattaforme esterne per garantire che gli algoritmi che mediano la nostra esperienza informativa non siano calibrati esclusivamente su logiche commerciali o strategiche altrui. Sul piano educativo, significa integrare nei curricula competenze di critical thinking digitale, insegnando non solo a verificare i fatti ma a riconoscere i pattern di manipolazione emotiva. Sul piano istituzionale, richiede organismi indipendenti che monitorino e rendano pubblici i tentativi di manipolazione, operando come sistema immunitario cognitivo della democrazia.

L'analisi della guerra del sentiment potrebbe portare a pessimismo paralizzante. Ma sarebbe un errore cedere. La storia delle tecnologie della comunicazione mostra che ogni nuova forma di mediazione genera inizialmente caos, ma le società sviluppano gradualmente anticorpi. La stampa ha prodotto guerre di religione prima di contribuire all'Illuminismo; la radio è stata usata per propaganda totalitaria prima di diventare strumento di educazione democratica. Non c'è ragione di credere che le piattaforme digitali costituiscano un'eccezione.

Ciò che serve è la volontà politica di accelerare lo sviluppo di questi anticorpi. Questo richiede quella combinazione di pessimismo della ragione e ottimismo della volontà che Gramsci identificava come necessaria per ogni trasformazione sociale. Il pessimismo della ragione ci impone di riconoscere la gravità della situazione. Ma l'ottimismo della volontà ci ricorda che questa battaglia non è predeterminata. Le democrazie liberali hanno dimostrato storicamente una capacità notevole di adattarsi a nuove minacce.

La sfida è riconoscere che la difesa dell'Europa passa tanto per la protezione delle frontiere cognitive quanto per quella delle frontiere fisiche. Il sentiment non è semplicemente una metrica di marketing, ma l'infrastruttura invisibile su cui poggia la possibilità stessa di una democrazia deliberativa. Proteggere questa infrastruttura dalle interferenze esterne è il compito strategico che ci troviamo di fronte. In ultima analisi, la guerra del sentiment ci costringe a ripensare cosa significhi difendere una società democratica: occorre difendere la capacità collettiva di restare ragionevoli in un mondo progettato per farci perdere la calma. Questa è la vera posta in gioco della guerra del sentiment.


Pubblicato il 21 dicembre 2025

Pietro Alotto

Pietro Alotto / 👨🏽‍🏫 Insegno, 🧠 penso (troppo) e ✍🏽 scrivo (quando mi va e quanto mi basta) 📚pubblico (anche)