Lo strombazzare di un clacson spalancò le finestre della stanza dove riposava beatamente il nostro Socrate. Lui iniziò a grugnire e a chiedersi, con gli occhi socchiusi, che cosa avesse fatto di male anche quella mattina. Eppure gli era stato consigliato da uno della sua “allegra combriccola”, un giovanotto di buona famiglia, Platone, di acquistare quella casa tutta bianca e le finestre blu cobalto, riparata dal caotico centro di Atene. Platone gli aveva assicurato: << L’idea di comprarla non è male e penso che di traffico, nelle vicinanze, non ce ne sia. Però è una mia idea, eh! Poi non arrabbiarti con me se non è così nella realtà!>>.
un forte mal di testa cingeva le sue rugose tempie
Mentre raccoglieva i pensieri e le forze per alzarsi, un forte mal di testa cingeva le sue rugose tempie. Non ricordava se i dolori fossero dovuti al vino bevuto la sera prima, in compagnia del suo amico Ippocrate. Erano andati, tutti e due, ad un incontro “culturale”: era arrivato in città un certo Protagora che con i discorsi, a differenza del nostro Socrate, ci guadagnava. Infatti Protagora era un mezzo avvocato e un po’ politico che stava tentando di candidarsi per le prossime elezioni greche. Con la lingua e la parlantina - qualcuno la chiamava retorica - qualche dracma se la portava a casa. Figuriamoci, poi, se non ci sarebbe riuscito a riservarsi un posto in Parlamento!
Ad un tratto si ricordò che quel mal di testa era dovuto ad una cosa meno metafisica: alle varie “cucchiarellate” di sua moglie Santippe che lo aveva atteso, invano, per la cena. Il povero Socrate era rimasto lì, tutta la sera, a discutere e controbattere le argomentazioni del barbuto Protagora. Mamma mia quanto parlava! Per fortuna che quelli di Abdera erano gente riservata e di poche parole!
<<Mannaggia a Zenone e a quando ci ha regalato quel cucchiaio di legno! Per il nostro matrimonio avrebbe potuto regalarci una bustarella come tutti gli altri invitati! No, invece! Una cucchiarella tutta intarsiata dai sapienti mastri di Elea! Mannaggia a lui, Achille e alla tartaruga; fanno venire meno mal di testa con il loro paradosso>>, Socrate borbottò.
Entrato in cucina, vide Santippe con una sorta di turbante in testa e, con in mano, l’aspirapolvere pronta a partire. La donna gettò un’occhiata minacciosa al suo svampito marito che saltellò, con falsa indifferenza ed in ciabatte, verso il bagno.
Socrate specchiandosi, iniziò ad osservare quel suo naso camuso - che infilava dappertutto per la curiosità - e quei pochi capelli bianchi che gli erano rimasti in testa. Poi, pensando alla giornata lavorativa che l'aspettava, disse: << Sarebbe stato meglio fare il mestiere di quella buon’anima di mio padre Sofronisco! Uno scalpello, due blocchi di pietra e qualche statua da fare. Nessuno che ti rompe e ti chiede progetti, documenti, file, chiamate Zoom dove tutti fanno gli affari loro… >>.
Rientrato in cucina e fatta la sua colazione con fette biscottate, yogurt greco e miele, si apprestò per uscire. Ma anche questa volta, Santippe con uno sguardo che avrebbe impietrito la Medusa e anche Perseo con tutto lo scudo, gli urlò: <<Stasera torna in tempo per le sette; c’è tuo figlio Lamprocle che deve essere accompagnato alla partita di calcio. Non ti fermare in nessun Kafeneio con i tuoi amici vagabondi! Dritto a casa! Altrimenti domani ti ritrovi la forma della famosa tartaruga di Zenone sulla fronte>>. Il nostro valoroso eroe, quatto quatto, uscì da casa e si avviò, rigorosamente a piedi, verso il suo ufficio.
Il suo lavoro distava dieci minuti a passo svelto dalla sua nuova casa e, durante il tragitto, se incontrava qualcuno di interessante, Socrate iniziava ad incalzare lo sventurato con alcune domande. Chi lo conosceva, o cambiava strada o chiudeva la discussione <<Socrate, guarda vado di fretta. Poi ne parliamo . . . Stammi bene!>>.
Finalmente arrivato e sedutosi alla scrivania, iniziò a tempestare di domande il povero Aristippo che ogni giorno cercava, senza successo, di promuovere, al direttore del personale, il suo progetto di benessere aziendale (anche se era più intenzionato a chiamarlo piacere aziendale; da qualche altra parte qualcuno, persino, ha cercato la felicità aziendale). Ma mentre Socrate aveva appena accennato ad Aristippo un <<Ma cos'è il benessere?>>, entrò, a tutta carica, il suo capoufficio che gli disse: <<Mi raccomando, tra 10 minuti collegati su Zoom che abbiamo il kick-off meeting>>.
Dopo aver sentito così, al nostro protagonista non soltanto iniziarono a girare gli occhi per questo nuovo anglicismo ma anche altri attributi. Il suo capo era uno straniero venuto da una città lontana, ad oggi conosciuta come Mediolanum che, aveva avuto una nota influenza da parte dei Galli insubri i quali utilizzavano degli arcaismi d’Oltremanica per farsi più belli e sembrare più intelligenti.
sapendo di non sapere, fece spallucce
Socrate, si chiese tra sé e sé <<Ma cosa è questo kick-off meeting?>>. Ma poi, sapendo di non sapere, fece spallucce e si dimenticò già di ciò che si era appena domandato. In realtà lui faceva un po’ il finto tonto, giusto per provocare e capire a quanto un altro potesse spingersi più avanti, a quanto le meningi del suo interlocutore si sarebbero spremute. Sapeva, come sempre, che la risposta tutti la trovano dentro se stessi.
Arrivò l’ora di questa benedetta riunione: tutti collegati e, dopo lo scambio dei saluti di rito, iniziò la discussione. Il bello è che i partecipanti erano presenti nello stesso stabile ma, per fare quelli che erano avanzati tecnologicamente, si riunivano virtualmente. Mentre si parlava di alcuni progetti (di cui Socrate, come al solito, era dubbioso se potessero essere definiti tali), un certo Eraclito, assunto da qualche mese e nipote di un omonimo di Efeso, iniziò a sbraitare, con un certo fare enigmatico. La nuova matricola precisò che quella azienda era un caos unico e che non si poteva andare avanti così! Le nuove generazioni dovevano essere rispettate e che, se anche se suo nonno gli diceva sempre <<Dalla confusione nasce sempre qualcosa>>, in azienda le uniche cose che si stavano coltivando e raccogliendo erano le dimissioni di tutte le nuove leve (e non solo!). Insomma l’acqua più che scorrere sotto i ponti, li stava sgretolando.
Anche se non era il tema del giorno, il Direttore della divisione di Socrate, rivolgendosi a quest’ultimo, gli ordinò: << Mi faccia il favore di fare lei il verbale. Prenda nota di ogni singola parola di questo giovanotto qui che, quando parla, nessuno lo capisce. L’unica cosa che ho compreso è che vuole ricevere un bel richiamo scritto. Altro che dimissioni!>>. Bella grana per Socrate! E adesso chi gli diceva al Direttore che di scrivere non se ne parlava? La verità, sosteneva Socrate, non può che essere ricercata con il dialogo. Adesso se faccio il verbale, si perde tutto nelle parole scritte e l’essenza di quello che si diranno questi due scassamaroni non potrà mai essere catturata da quattro parole appiccicate su di un foglio di carta. In altri termini: le parole scritte non parlano e non colgono le sfumature del dialogo.
Per fortuna che a quella riunione partecipava anche Platone, stagista assegnato a Socrate (quello di buona famiglia che gli aveva suggerito la casa appena fuori dal centro), il quale conoscendo bene le idee del nostro protagonista sulla scrittura si offrì a redigere il verbale. Platone intervenne: << Direttore ci penso io! Però scrivo tutto sotto forma di dialogo! Almeno si capisce meglio ed è più facile lettura per chi non è presente>>. In sottofondo si sentì Socrate ancora una volta: << Eccolo lui, sempre ad annotare tutto! Speriamo che non ci metta del suo, come al solito!>>.
Dopo aver annotato ogni scambio di battuta per filo e per segno (a modo suo), Platone iniziò a perdersi nelle sue idee e il suo tutor Socrate cadde quasi in catalessi iniziando a chiedersi con un tono di sconforto: <<Che cos'è il lavoro?>> (in teoria stava anche pensando a <<Chi me lo ha fatto fare stamattina di venire qui? Tutta colpa di Santippe che mi ha iscritto ad una lista di collocamento. Stavo bene quando facevo i fatti miei, girovagando per le piazze di Atene, prendevo un bel caffè con qualche povero sventurato che mi stava ad ascoltare e rispondeva alle mie domande. Quella sì che era vita!>>).
Ad un certo punto il protagonista del nostro fatterello guardò l’orologio appeso alla parete di fronte a lui. Ma come può un certo marchingegno misurare qualcosa (il tempo) che forse forse non esiste? Per fortuna le lancette gli ricordarono che era giunto il momento di andare a prendere Lamprocle da scuola per portarlo alla partita di calcio. Salutò il suo collega d’ufficio Aristippo, intento quest’ultimo a documentarsi, senza fine, sul benessere aziendale (lo faceva anche un po’ per interesse individuale e soprattutto per piacere personale), e diede una pacca di conforto allo stagista Platone che sarebbe rimasto in ufficio, per usanza aziendale, almeno fino al tramonto del Sole.
Recuperato il figlio da scuola, ed avendolo salutato con un sorriso pensieroso, per strada iniziò a ripensare a tutte quelle domande che si era posto durante la giornata <<Che cos'è il benessere? Che cos'è il kik-off meeting? Che cos'è il lavoro? >>. Mentre rifletteva su questi concetti dentro di sé, pensò che questa società era un po’ confusa come le parole odierne del giovane Eraclito che, alla fine, qualcosa di sensato aveva detto. Per risollevare l’animo e poter interrogare altre persone su sui dubbi, trascinò il povero figlio in un Kafeneio lì vicino.
era meglio un tempo dove ci si dedicava e si sacrificava la vita per la verità e per i propri valori
Non vedeva l’ora di porgere delle domande a qualcuno ma notò qualcosa di strano. Mentre lui si soffermava a riflettere dentro di sé, ad aleggiare nei propri pensieri, gli altri avventori del Kafeneio no. Negli occhi di questi riflettevano immagini proiettate da quegli apparecchi chiamati telefoni. Questi aggeggi, forse inventati dai discendenti di Prometeo, allontanavano gli Ateniesi nel conoscere loro stessi, portandoli, invece, per lidi poco conosciuti come i territori al di là delle colonne di Ercole. Guardando la scena, Socrate pensò che forse era meglio un tempo dove ci si dedicava e si sacrificava la vita per la verità e per i propri valori, ricercati in se stessi e non nelle ombre altrui.
Cari coraggiosi lettori, alla fine, anche quella sera Socrate sarebbe rincasato tardi e la verità avrebbe atteso invano. Ma le “cucchiarellate”, colme dell’Amore di Santippe, sarebbero giunte in perfetto orario sulla testa del nostro protagonista.