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Alcuni giorni di trekking nel deserto del Sahara mi hanno messo a confronto con realtà umane lontane anni luce dalle nostre. Ne è nata una breve riflessione sull’autenticità. Su quanto essa sia vissuta e raccontata nella nostra era tecnologica nella quale prevale l’individualismo a scapito dei vincoli collettivi. Vincoli, legami, esperienze ben presenti in realtà dove non manca lo smartphone ma prevalgono ruoli sociali riconosciuti, sincerità, norme condivise e sentimenti di comunità.

Alcuni giorni di trekking nel deserto del Sahara mi hanno messo a confronto con realtà umane lontane anni luce dalle nostre. Ne è nata una breve riflessione sull’autenticità. Su quanto essa sia vissuta e raccontata nella nostra era tecnologica nella quale prevale l’individualismo a scapito dei vincoli collettivi. Vincoli, legami, esperienze ben presenti in realtà dove non manca lo smartphone ma prevalgono ruoli sociali riconosciuti, sincerità, norme condivise e sentimenti di comunità.

 

Il viaggio è sempre stato per me un bisogno, l’esigenza insopprimibile ed emergente di soddisfare un’urgenza legata all’immaginazione e alla curiosità, alla scoperta della natura, del bello, del nuovo, all’incontro con l’altro, il diverso, il lontano e lo sconosciuto (METAVERSI PER VIAGGIARE? NO GRAZIE! ).. Un bisogno sempre legato alla lettura, alla esplorazione, anche interiore, alla letteratura. Patagonia e Australia sono stati i capisaldi di un viaggiare iniziato sulle orme di Bruce Chatwin nei lontani anni 90 (viaggiavo già da tempo!) che aveva raccontato come andare alla ricerca della tana del Milodonte e seguire le tracce dei walkabout degli aborigeni australiani.

Leggere e viaggiare (LIBRI E BOSCHI) sono segno di inquietudine, da placare continuando a cercare e a leggere, a mettersi sempre in viaggio, girovagando in posti lontani, quando si può, o leggendo i resoconti, anche inventati, del girovagare di altri. Poi si ritorna a casa per scoprire quanto è comodo il vecchio e familiare cuscino. Il giorno dopo, a lavatrice conclusa, l’inquietudine riemerge e si ricomincia a sognare o a programmare il nuovo viaggio a venire (𝐏𝐀𝐑𝐓𝐈𝐑𝐄 𝐎 𝐑𝐄𝐒𝐓𝐀𝐑𝐄!). 

L'autenticità

La globalizzazione ha reso la terra piatta e come tale da tutti visitabile, in particolare da parte dei cosiddetti fanatici del dappertutto, dei collezionisti di viaggi e dei performanti (“anche questo viaggio l’ho già fatto”). Trovare posti autentici, non ancora visitati, è diventato impossibile, eppure l’autenticità si trova sempre, in particolare se si ha la sensibilità del viaggiatore attento all’incontro con l’Altro, con il suo volto e sguardo, con la sua visione del mondo, la sua cultura, generosità e sincerità. 

L’autenticità di cui parlo, sperimentata anche nel mio ultimo viaggio nel deserto del Sahara, è molto diversa da quella che oggi viene celebrata dallo storytelling conformistico di moda, dal marketing e dalla comunicazione. Come ha scritto il filosofo francese Gilles Lipovetsky nel suo ultimo corposo libro, siamo dentro “La fiera dell’autenticità”, una febbre che colpisce tutti, un mantra pandemico, una parola feticcio, un valore cool di culto. Dentro un mondo precarizzato e incerto, mercificato e ibridato tecnologicamente, tutti vogliamo essere autentici, tutti siamo alla ricerca di sincerità, trasparenza, identità, verità e purezza. Una ricerca vana perché nella nostra realtà attuale l’autenticità non può essere un ideale assoluto o un rimedio miracoloso, non ha nulla di magico, spesso finisce per diventare semplice forzatura, inautenticità.   

L'autenticità celebrata

Nella società liquida descritta da Zygmunt Bauman percorsa da una sofferente voglia di comunità, molti sono vittime di veri e propri abbagli legati alle mode del momento. Uno di questi è legato al bisogno di autenticità. Un bisogno collegato a quello dell’identità, che coinvolge tutti, individui, consumatori, politici, brand e produttori, tutti impegnati a promuovere, spesso solo a parole, ciò che è vero, originale, trasparente, autentico. Il bisogno è rivolto anche a sé stessi, nella ricerca di coerenza e affermazione individuale del proprio sé. 

Come in altri ambiti e per altre parole, anche l‘autenticità è finita nel tritacarne mediale delle narrazioni che ne hanno superficializzato il concetto, i significati filosofici profondi, smarrito il prestigio. Tutti impegnati a essere sé stessi, per seguire le mode e i memi del momento, si finisce per condividere in modo conformistico la propria autenticità con molti altri, tutti diventati uguali, quindi tutti inautentici. 

Chi volesse cercare la propria autenticità deve oggi fare i conti con la società dello spettacolo dei media sociali, che vede la prevalenza del virtuale sul reale, dell’apparente sul vero, del sembrare (apparire) sull’essere, dei profili digitali e degli avatar disincarnati sulle persone in carne e ossa. Deve tener conto delle false verità e delle verità alternative, delle bufale, delle immagini e dei testi prodotti da intelligenze artificiali come Deep Dream o ChatGPT, dei mondi virtuali e dei metaversi prossimi venturi. Deve soprattutto imparare a difendersi dal potere degli algoritmi che, mentre si raccontano come strumenti di autenticità, agiscono sempre come potenti agenti stranieri, da manipolatori e carcerieri del nostro immaginario, impedendo libertà di scelta, ricorso all’immaginazione e comprensione della realtà. 

L’autenticità tanto celebrata finisce così per diventare pura illusione, è stata normalizzata dentro mode felicitarie finalizzate al benessere, all’essere sé stessi, alla realizzazione personale. Si è stemperata dentro migliaia di selfie, post, messaggi, cuoricini, video tiktok e mille altre attività digitali varie. E anche il rapporto con gli altri non avviene più tra persone ma tra avatar che le rappresentano. Per citare nuovamente Lipovetsky “siamo entrati nella fase consumistica dell’autenticità” e l’autenticità è diventata il motore industriale di interi settori economici, compreso quello del turismo e dei viaggi. 

Viaggiando in cerca di autenticità

Vivendo negli Stati Uniti (Rochester, Minnesota) già negli anni 80 ho visitato un parco a tema che richiamava il medioevo europeo, oggi viviamo tutti dentro un’allucinazione fatta di simulacri del reale che hanno abolito, citando Baudrillard, la distinzione tra vero e falso, tra autentico e inautentico. Un’abolizione resa ancor più profonda dall’imperversare di schermi che fanno da filtro sulla realtà trasformandola in illusione, iperrealtà. 

Il mondo è diventato un grande parco a tema, una Dysneyland globale (Praga, Venezia e Everest, il turistificio che avanza!) che ha artificializzato il pianeta, ma la voglia di autenticità non ha perso di valore. Lo sanno bene gli operatori turistici che su di essa da tempo hanno incentrato il loro marketing e le loro strategie promuovendo vacanze verdi, atipiche, sostenibili, solidali ed eco-compatibili, verso mete rurali, vergini, incontaminate, come deserti o terre polari. Al turista di massa, superficiale, che si accontenta dell’apparenza del vero, facile da abbindolare e falso viaggiatore, si contrappone il viaggiatore autentico, quello “vero” che, per definizione, detesta il turismo degli altri. Il viaggiatore “vero” vuole distinguersi, far valere la differenza soggettiva, sentirsi anticonformista e libero di scegliere, costruire una identità personale e singolare, riconoscibile dagli altri. Vuole viaggiare diversamente, esercitare pratiche alternative, viaggiare altrimenti, anche nella scelta dei tempi, dei compagni di viaggio e delle mete. Ai luoghi conosciuti e rinomati preferisce quelli quotidiani, naturali, rurali, multietnici e multiculturali. Vuole vivere rapporti veri con le persone, rapporti autentici, diretti e in sintonia con gli autoctoni incontrati viaggiando. Per questo vuole viaggiare lentamente (Lentezza digitale e boschi!), camminando, dormendo in tenda o alloggiare tra la gente del posto. 

In un mondo ormai trasformato in un unico e globale artefatto, anche virtuale e tecnologico, essere autentici, ricercare l’autenticità è diventata una missione impossibile (Kamčatka tra vulcani, orsi, risvegli e resurrezioni). Proliferano i viaggi per vedere copie del reale, luoghi inautentici e scenari artificiosi. È come se l’autenticità non importasse più a nessuno, fosse meno importante dell’aspetto commerciale, ludico e complice che sempre è in opera dentro i mondi virtuali della rete, a cui moltitudini si sono ormai assuefatte. 

La ricerca dell’autenticità non si è però spenta. Molti desiderano ancora sperimentare l’Altrove, avere esperienze esistenziali personali che nascano dall’incontro in presenza con persone, luoghi, paesaggi, eventi e situazioni.  Il desiderio è tanto più grande quanto più sofferente è la (ap)percezione che tutto sia ormai diventato artificiale, virtuale e immateriale. All’esperienza disincarnata si preferisce quella incarnata, allo schermo il volto della persona e del panorama, alla chat il confronto dialogico, al GPS il perdersi e il ritrovarsi. 

Nostalgia dell'autenticità 

Su tutto domina una grande nostalgia di autenticità. L’autenticità è in declino e proprio per questo non la lasciamo andare, la incateniamo con i nostri sentimenti nostalgici che la fanno rivivere, esistere. Un modo per godere di questa nostalgia è di resistere al digitale, alle sue profilazioni e algoritmi che vorrebbero indicarci cosa è autentico per noi e cosa l’autenticità dovrebbe essere. In una realtà dominata dagli algoritmi, dai profili social e dalle intelligenze artificiali, ci stiamo abituando a vivere rapporti virtuali, con persone inanimate, disincarnate, ben lontani e diversi dai rapporti incarnati autentici che vorremmo avere. La soluzione non va cercata nella disconnessione o nel ritorno al passato. Il mondo è ormai ibridato tecnologicamente e con esso bisogna fare i conti, anche sul concetto di autenticità. Esso andrebbe contestualizzato in un quadro concettuale diverso in modo da assegnare al alla parola autenticità nuovi significati, nuovi vocabolari e nuove interpretazioni. 

In attesa che ciò avvenga, e qui ritorno al viaggio appena concluso, ci si può sempre accontentare del vissuto esperito, sentirsi soddisfatti per l’esperienza di autenticità fatta in luoghi mai visitati prima e a contatto con persone che la loro autenticità non l’hanno ancora regalata a un profilo digitale, a un avatar o a un algoritmo. 

Nel Sahara poi l’autenticità più vera, più forte, più calda è quella dei dromedari!

 

Bibliografia

  • Gilles Lipovetsky, La fiera dell’autenticità, Marsilio – 2021
  • Hans-Georg Moeller, Paul J. D’ambrosio, Il tuo profilo e te, Mimesis – 2022
  • Bruce Chatwin, In Patagonia, Adelphi - 1982
  • Bruce Chatwin, Le vie dei canti, Adelphi - 1995
  • Zygmunt Bauman, Voglia di comunità, Laterza - 2003

 

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Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – STULTIFERANAVIS Co-founder

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